Eudemonìa, εὐδαιμονία, felicità? Finzione e realtà

Eudemonismo, εὐδαιμονισμός, εὐδαιμονία, εὐδαίμων, felicità e felice. Naturalezza della felicità per l’uomo? L’obiettivo è ancora raggiungere la felicità? Finzione e realtà.

Beatitudine quale premio della virtù per la morale cristiana, felicità come perfezione individuale seguendo la definizione aristotelica, con l’uomo che attua le proprie capacità, quindi identità di virtù e felicità.

Attenzione: nulla a che vedere con l’edonismo, con l’inseguimento del piacere immediato.

Teoria e realtà: bisogna guardare ai fatti. L’aspirazione è chiara, ma l’applicazione quotidiana è altrettanto evidente nella sua lontananza dall’obiettivo.

Dopo Epicuro, Aristotele, Lucio Anneo Seneca e loro illustri successori che seppero teorizzare i motori della felicità e quello che dovrebbe essere lo stato umano per raggiungerla, ecco che arriviamo noi.

Siamo sempre più in affanno. Sfido chiunque a sostenere il contrario.

L’impressione è che un mare di obiettivi, di finti propositi vincenti, abbia confuso la nostra vista mentale. Una sorta di caleidoscopio-trappola che ha fatto smarrire ogni traccia di quel che può portare al reale appagamento del nostro stato d’animo. Svanisce la capacità di realizzare e applicare le nostre autentiche capacità.

Il risultato concreto? Dilaga una spinta irrefrenabile nel dare l’idea di sembrare appagati, realizzati. Lievita l’impellenza di farci ammirare e apprezzare a ogni costo, al di là di ogni vera consistenza.

Foderati da false sicurezze, ripieni di apparenti intraprendenze per dare l’idea di essere vincenti, farciti di conoscenze posticce. Mostriamo sorrisi di plastica, filtrati online da ricomposizioni digitali di visi e corpi. Riempiamo discorsi di citazioni strappate dal giusto contesto, che capiamo poco o per nulla.

Diveniamo difensori risoluti di verità e teoremi che appartengono più a capipopolo che a noi: lo facciamo perché ci fanno sentire appartenenti a qualcosa, a una tribù omogeneizzante… in piena contraddizione con l’emersione individuale a ogni costo. Un comportamento che nasconde altro.

In breve, è fuga da una profonda solitudine e da una malintesa normalità identificata (falsamente) come grigiore. Il mercato ci vuole così, non guarda a come e a cosa siamo, al nostro tesoro interno.

Così emergono coloro che sanno indossare meglio le maschere, splendide, vistose, ma esangui sotto quei colori dipinti.

Tutto questo si traduce in una situazione esistenziale atroce, quella di forzati ad emergere non per proprie qualità. Costi quel che costi. Ma in questo modo non si emerge. Per nulla.

È una folle corsa senza freni, col rischio quotidiano di frantumare muso e anima contro il granitico muro della realtà.

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