Ore 21,47 del 13 gennaio 2012, la nave da crociera Costa Concordia finì su uno scoglio dell’Isola del Giglio: il capitano Schettino voleva far manovrare la nave nella pratica assurda dell’inchino come omaggio all’isola sfiorando la riva. I passeggeri stavano cenando. Il disastro portò a un bilancio fatto di 32 morti, fra loro Giuseppe Girolamo, bassista e batterista di trent’anni, nato ad Alberobello, uomo che si sacrificò lasciando il posto nella scialuppa di salvataggio a una donna con due bambini.
Di lui è stato raccontato poco e comunque poco messo in risalto, poco ricordato, non a sufficienza. Eppure il musicista fu protagonista di un vero atto d’amore e di enorme coraggio, quello che fa passare in secondo piano la propria esistenza per salvare altri esseri umani.
Dieci anni dopo il disastro navale a Giuseppe Girolamo fu riconosciuta la medaglia d’oro al valore civile alla memoria, conferita dal Presidente della Repubblica il 12 luglio 2022 con la seguente motivazione (link): “Per aver perso la vita dopo aver ceduto il suo posto ad altri naufraghi sulla scialuppa di salvataggio durante il tragico naufragio della nave “Costa Concordia”. Grande esempio di coraggio, di solidarietà e di spirito di sacrificio. 13/14 gennaio 2012— Isola del Giglio (GR)“.
Riconoscimento dato a due giorni da quello che sarebbe stato il suo quarantesimo compleanno.


Chi era Giuseppe Girolamo
Musica nel sangue, Giuseppe Girolamo sognava di mettere le mani su una bacchetta di Michael Stephen Portnoy, batterista, corista e co-fondatore dei Dream Theater, band progressive metal nata nel 1985 a Boston.
Delle nove volte in cui era riuscito a essere presente a un concerto del gruppo statunitense, Giuseppe raccontò che una volta mancò proprio poco quel suo obiettivo di afferrare una delle bacchette di Portnoy.
In quel gennaio del 2012 era a Bordo della Costa Concordia per suonare nella formazione dei Dee Dee Smith come batterista.
L’ultimo pezzo eseguito a bordo della nave fu The Greatest Love of All, di Whitney Houston.
La sua passione musicale non coincideva bene con il genere preferito dalla band che si esibiva sulla nave.
I gusti di Giuseppe Girolamo erano chiari già dalla sua passione per i Dream Theater, ma ascoltava anche i Metallica, gli Alice in Chains. Aveva studiato da bassista a Roma e cercava di mettere a frutto questo suo impegno guadagnandosi da vivere anche con questo tipo di contratti che lo portarono sulla nave da crociera.


Le fasi del naufragio fino alla conclusione eroica raccontano il carattere di Giuseppe così come confermato dai superstiti.
Il musicista stava salendo su una delle scialuppe, la terza, ma venne richiamato da una donna. Si girò ascoltandola. Si trattava di Antonella Bologna, a bordo della nave con il marito e i due figli gemelli di tre anni.
Quella donna disperata pregò Giuseppe di farli salire.
Il giovane batterista non se lo fece ripetere e lasciò il posto a loro.
Giuseppe non sapeva nuotare, questo fa capire cosa dovesse provare in quel momento, ma non ci pesò sopra due volte. Il posto era per quella famiglia.
Giuseppe doveva anche sapere che forse non sarebbe riuscito a salvarsi. Pochi i posti nelle scialuppe di salvataggio che erano utilizzabili. Non poteva tuffarsi, né allontanarsi a nuoto.
Dopo, Antonella Bologna raccontò quel che era accaduto definendo Giuseppe Girolamo come un angelo: dopo averli aiutati a salire sulla scialuppa, il musicista scomparve dalla vista.
Antonella Bologna, la donna che Giuseppe ha salvato insieme ai figli di tre anni: “A guardare la scena stava un uomo vestito di nero, in un angolo, con la testa china e io ricordo di avergli detto: La prego, mi deve far salire, ho due bambini. Nel panico generale è riuscito a restare calmo e ad aiutarci. Credo fosse un angelo o mi è parso tale. Perché solo grazie a lui siamo riusciti a salire nella terza scialuppa e accomodarci nella parte finale. Dopo di ciò è scomparso”.
Costa Concordia 13 gennaio 2012, i momenti del naufragio
Il capitano Francesco Schettino voleva fare “l’inchino” davanti alle case di Giglio Porto. La nave era partita tre ore prima da Civitavecchia, così in corrispondenza del promontorio dell’Argentario il capitano decise di farle abbandonare la rotta per Savona facendola puntare verso l’Isola del Giglio.
“L’inchino” è quella manovra che porta la nave il più vicino possibile alla costa. Così vicina da poter salutare direttamente chi è sulla terraferma. Quel 13 febbraio 2012 fu condotta in maniera maldestra. Schettino aveva deciso di compierla per omaggiare Antonello Tievoli, maître della Costa Concordia, originario proprio dell’isola.
Tornando agli eventi di quella sera, la Costa Concordia arrivò fin sotto costa a una velocità di 15-16 nodi.
Alle 21,44 il capitano si accorse di aver azzardato troppo e cercò di aggiustare rotta e velocità per allontanare la nave dagli scogli. L’eccessiva vicinanza alla scogliera, la successione continua di comandi, l’incomprensione di un ordine da parte di Rusli Bin, timoniere indonesiano, tutto questò portò al disastro.
Ore 21,47 e 7 secondi, il lato di sinistra della Costa Concordia cozzò contro uno degli scogli affioranti de “Le Scole”.
L’impatto arrivò alle orecchie di tutti con il suono di un forte boato.
Al ristorante volarono piatti e bicchieri, era il caos. Nella fiancata di sinistra si aprì uno squarcio di 70 metri di lunghezza, falla che avrebbe potuto contenere la Torre di Pisa e anche di più.
L’urto in velocità con gli scogli delle Scole segnò il destino della grande imbarcazione e di molte vite.
Nel salone la band dei Dee Dee Smith con Giuseppe Girolamo alla batteria stavano suonando. La gente cenava.
Nessuno era pronto a tanto, il capitano Schettino al manifestarsi dei fatti sembrava minimizzare l’evento protraendo un’azione d’emergenza che invece doveva essere messa in pratica con immediatezza.
Alle 21,57 con quello squarcio lungo la nave, con l’acqua che entrava facendo saltare i quadri elettrici, la stabilità e il governo della nave compromessi, il primo blackout, il comparto motori e generatori allagati, Schettino cosa fece?
Non diede l’ordine di abbandonare la nave. A quindici minuti dall’impatto la Costa Concordia era inevitabilmente compromessa.
In quel momento Schettino fu soltanto capace di chiamare per la prima volta Roberto Ferrarini, responsabile dell’unità di crisi di Costa Crociere, raccontando quanto era accaduto rassicurando “la galleggiabilità non è compromessa” (!). Il capitano poi ordinò all’equipaggio di non riferire ai passeggeri della vera situazione: “Limitatevi a dire che c’è un blackout”.
Alle 22,24 la nave cambiò sbandata, dal lato sinistro si inclinò sempre più a destra. Inoltre, spinta da venti e correnti andava verso gli scogli di Punta Gabbianara.
Il segnale d’emergenza fu lanciato alle 22,33 e 40 secondi.
L’ordine di abbandonare la nave fu dato solo alle 22,51, diramato però alle 22,54.
Erano passati 67 terribili minuti dall’impatto… un’ora e 7 minuti (!).
Il ritardo accumulato fu fatale. La grande imbarcazione era già fortemente piegata su un lato non permettendo l’uso di una parte delle scialuppe.
Era evidente che gli oltre quattromila passeggeri (di questi, 19 adulti che dovevano essere assistiti, 252 bambini, dei quali 52 sotto i 3 anni) e membri del personale a bordo non potevano essere salvati tutti sulle imbarcazioni utilizzabili.
Ciro Ambrosio, vicecomandante della Costa Concordia: “I passeggeri, colti dal panico, si buttavano sulle lance in maniera disordinata. Si verificavano scene di panico di tutti i generi: alcuni passeggeri malmenavano i componenti dell’equipaggio che impedivano l’accesso alle lance”.
Alcuni scivolano in mare e vengono risucchiati dai gorghi d’acqua gelida attorno alla nave.
Il comandante Schettino era comunque a bordo di una delle piccole imbarcazioni di salvataggio. Lasciava la nave e i passeggeri al loro destino.
Schettino si mise in salvo sulla costa verso l’una di notte, ma alle ore 2,30 la nave di pattuglia della Guardia di Finanza segnalò che nella Concordia c’erano ancora 200 persone…
Visto che circa la metà delle scialuppe era inutilizzabile, molti si diedero da fare pur di salvare altre vite. Uno di questi fu proprio Giuseppe Girolamo che ci rimise la vita.
Ci vollero poco più di due mesi per ritrovare il corpo di Giuseppe finito sul fondale del Tirreno a 20 metri di profondità, nella nave, ancora suo prigioniero.
Quei due mesi furono terribili per i genitori del giovane, Giuseppe era classificato come disperso. I suoi genitori stamparono tantissimi fogli con la sua foto e dati per essere avvisati nel caso fosse stato avvistato e soccorso.

Un altro eroe da ricordare di quella tragica notte è Manrico Giampedroni, commissario di bordo: mise in salvo molti passeggeri portandoli sulle scialuppe utilizzabili, ma doveva essere sicuro che non ci fossero altri da soccorrere, così scese ai piani inferiori per controllare. Si ferì rimanendo bloccato in un ristorante del terzo ponte.
La fortuna di Giampedroni fu quella di essere trovato e soccorso fino a essere portato via in barella da un elicottero dei vigili del fuoco.
Il comandante Francesco Schettino sta scontando la condanna definitiva a 16 anni e un mese di reclusione per omicidio colposo plurimo, naufragio colposo e abbandono della nave.
