Caluso (Torino), Acerenza (Potenza) e Campagnatico (Grosseto) finiscono nella lista dei 67 siti individuati per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Sono le aree di tre importanti Docg italiane – l’Erbaluce di Caluso, l’Aglianico del Vulture e il Montecucco Sangiovese – da lungo tempo vocate all’enoturismo e alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. Insorge l’Associazione Nazionale Città del Vino attraverso le parole del suo presidente Floriano Zambon: “Danno d’immagine incalcolabile e una perdita di attrattività e valore del territorio, con forti ripercussioni dal punto di vista turistico, economico e sociale”.

La “questione” del deposito nazionale per le scorie nucleari: Italia in fortissimo ritardo
L’individuazione delle aree italiane che potenzialmente potrebbero ospitare il grande deposito nazionale che ospiterà 95.000 metri cubi di rifiuti radioattivi, sta suscitando grandi timori, polemiche e alzate di scudi dalle realtà sociali che si trovano nei territori italiani ipotizzati da Sogin (link), la società pubblica che ha il compito di smantellare le centrali nucleari italiane mettendo in sicurezza i rifiuti radioattivi a bassa e media intensità da attività industriali, della ricerca e della medicina nucleare.
Qui sotto, la prima immagine indica dove sono attualmente tenute le scorie nucleari. Le immagini successive riguardano le posizioni geografiche individuate come possibili sedi del deposito unico, più la lista (divisa in tre) con i nomi dei comuni coinvolti (loro malgrado). Cliccare su ogni foto per ingrandirla.









Si tratta di 33.000 metri cubi di rifiuti radioattivi che vanno custoditi in sicurezza, come minimo, per i prossimi 300 anni. La struttura conterrà altri 45.000 metri cubi saranno prodotti nei prossimi anni da settori come l’industria, dal comparto della medicina e da quello della ricerca. Non arriveranno da centrali nucleari perché le quattro rimaste in Italia sono ferme da anni e altre non possono essere attivate dopo il referendum che ha bandito dal nostro Paese la produzione energetica con questo metodo. Da sottolineare che l’Italia è in fortissimo ritardo nel continente europeo sull’edificazione del deposito nazionale e in questo momento le scorie radioattive sono sparse sul territorio italiano.
La presa di posizione di Città del Vino
L’Associazione Nazionale dei sindaci dei 460 Comuni italiani a vocazione enologica si schiera a difesa dei territori e dei paesaggi agrari di pregio. “Una scelta incomprensibile e pericolosa”, ha dichiarato Floriano Zambon, presidente di Città del Vino.
È un totale rifiuto dell’ipotesi di ospitare nei territori enoturistici il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. La lista dei siti “papabili” resa nota nei giorni scorsi da Sogin, comprende anche diverse aree Unesco e comuni a forte vocazione enologica, come Caluso (Torino) patria del bianco Erbaluce di Caluso Docg, o il paese di Acerenza (Potenza), simbolo dell’Aglianico del Vulture Docg, fino a Campagnatico (Grosseto), terra del Montecucco Sangiovese Docg.
Le tre Città del Vino, ma anche tanti altri Comuni italiani (come Segesta e Butera in Sicilia e Gravina in Puglia) o territori Unesco – la Val d’Orcia con Pienza e Trequanda in Toscana – sono da anni impegnati a sostenere un’economia sostenibile basata sull’eccellenza agroalimentare e lo sviluppo turistico e ambientale di pregio. Una strada intrapresa da molto tempo e che entra adesso in evidente contrasto con l’ipotesi di diventare la “discarica” italiana di rifiuti che Città del Vino definisce come “altamente pericolosi e inquinanti“.
L’Associazione Nazionale Città del Vino sottolinea che si schiera compatta accanto ai sindaci e ai produttori vitivinicoli che stanno protestando in tutta Italia dopo che è stata resa nota la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) per la costruzione del deposito nazionale.
Il documento di Sogin (scaricabile a questo link – file compressi, comprese le cartine, da 525 MB) individua 67 aree situate in sette Regioni (Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia), alcune delle quali toccano importanti aree vinicole, enoturistiche e siti Unesco.
“Il problema non è legato soltanto alla tutela dell’ambiente e dei paesaggi agrari e culturali – afferma Floriano Zambon, presidente delle Città del Vino – poiché una discarica di scorie realizzata in certi contesti territoriali, anche se con le più alte garanzie di sicurezza, provocherebbe un danno d’immagine incalcolabile e una perdita di attrattività e valore del territorio, con forti ripercussioni dal punto di vista turistico, economico e sociale. Chi programmerà un viaggio in un’area divenuta deposito di scorie nucleari? E che ripercussioni avrebbero sul territorio e sul paesaggio la nuova viabilità e le infrastrutture che dovranno essere realizzate?”.
