Non c’è trasmissione televisiva/radio che non abbia uno spazio di approfondimento su ogni aspetto degli omicidi commessi in Italia. Assassini spietati sempre più numerosi? A osservare la programmazione televisiva e ascoltando le emittenti radiofoniche sembrerebbe proprio così. A tal punto da far venire in mente la tesi sul comportamento aggressivo appreso per imitazione. Un suggerimento è arrivato dal dottor Danilo Moncada-Zarbo di Monforte, psicanalista, l’idea di dare un’occhiata all’esperimento della bambola Bobo risalente al 1961: ideato dallo psicologo Albert Bandura, è una ricerca sperimentale sull’aggressività e sull’apprendimento per osservazione o apprendimento sociale. Gli ho dedicato il secondo capitolo di questo articolo completato da un video.
(immagine di copertina e le altre da Freepik)
Contrariamente a molti sentiment scritti e detti da molti, oggi non si tratta di moltiplicazione mediatica dei casi di omicidio, come da osservazioni superficiali social del tipo, “oggi si pubblica di tutto in pagina, per questo sembrano molti di più“.
Sbagliato.
Gli omicidi sono numerosi e sempre più eclatanti, sanguinari, inimmaginabili.
Per questi delitti (link notizie di cronaca su Google), a cominciare da quelli più efferati, c’è sempre stato ampio spazio sulle pagine delle testate giornalistiche. Non è un fatto, un’attenzione mediatica degli anni più recenti.
Con la nascita della comunicazione radio, poi televisiva, i fatti di sangue sono stati sempre riportati anche su questi mezzi d’informazione.
Gli omicidi non sembrano moltiplicarsi perché raccontati dalla stampa.
Pensate al passato: sicuramente il numero di persone ammazzate sarà sembrato molto inferiore quando la stampa non poteva ancora essere chiamata tale e non era diffusa. Ma era solo un’impressione per mancanza di dati e di conoscenza.

Leggendo i numeri rilevati dall'Istat, gli ultimi dati ufficiali appartengono al 2023. I casi di omicidio volontario in quell'anno furono 330, in crescita rispetto ai 322 del 2022.
Crebbe il numero degli uomini assassinati mentre, stranezza per l'andamento registrato in diversi anni, diminuirono - di pochissimo- gli omicidi di donne, 120 rispetto ai 126 del 2022. Come dato stabile, oltre la metà degli assassinii erano attribuiti al partner o all’ex partner della donna uccisa e circa il 20% ad altri parenti. Per completare il quadro, 4 omicidi su 5 avvennero nell’ambito familiare ristretto o allargato che fosse.
Analizzando i 322 omicidi del 2022, questi già avevano rappresentato una crescita nel numero, +6,2%, rispetto al 2021. Aumentò il numero di uomini uccisi da sconosciuti (0,37 per 100.000 maschi; 0,27 nel 2021) e di donne uccise da parenti (0,14 per 100.000 donne, 0,10 nel 2021).
Il 92,7% degli italiani fu ucciso da connazionali (tra le donne il 93,9%) e il 71,6% degli stranieri fu ucciso da stranieri.
Furono 61 le donne ammazzate da un partner o un ex partner, tutti di sesso maschile.
In quell'anno si stimò che i femminicidi erano stati 106, sul totale delle 126 donne uccise.
Solo nel precedente passaggio 2020-2021 ci fu un lieve calo dei casi di omicidio, comunque avvenuti per quasi la metà dentro le famiglie, soprattutto donne le vittime (100 donne su 139 assassinii in famiglia).
I minorenni furono uccisi da persone che conoscevano.
Volendo chiudere con quest'orgia di dati, ecco un raffronto per il periodo 1990-2018: le donne assassinate sul totale degli omicidi sono passate dall’11% del 1990 al 38,6% nel 2018.
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A questo punto restano da vedere i numeri del 2024. Li conosceremo l'anno prossimo anche se, a onore del vero, da gennaio ad aprile è stato registrato un calo per questo tipo di delitto.

Da considerare che gli assassinii crebbero molto negli anni Settanta raggiungendo un primo picco nel 1982.
Dopo ci fu una flessione durata quattro anni, poi una nuova, rapida crescita nel 1987.
Crescita e poi forte picco nel 1991, anno in cui gli omicidi toccarono il livello più alto per la seconda metà del XX Secolo: dipese molto dai delitti della criminalità organizzata; dal 1985 al 1991, il totale degli omicidi aumentò di 992 unità, oltre la metà di questi, 522, fu di mafia, camorra o ‘ndrangheta (fonte Treccani, “Mezzo secolo di delitti”, di Marzio Barbagli).
Dopo seguì un deciso calo di questi delitti fino al periodo 2014/2017.
In Italia negli ultimi 12 anni sono stati commessi 4.912 omicidi. Il 43% di questi è avvenuto tra le mura domestiche con oltre la metà dei casi tra il 2019 e il 2021: il valore più elevato, 53%, nell'anno del lockdown.
Se gli omicidi sembrano moltiplicati è perché effettivamente questi casi stanno tendendo ad aumentare nonostante l’alternanza delle tendenze tra i vari anni.
Quel che è cambiato è il lavoro del giornalista, trasformati i servizi giornalistici, è cambiata la rappresentazione, è mutato il tipo di racconto.
Questo sì.
Le tecniche di indagine al servizio delle polizie scientifiche, gli approfondimenti sui risvolti giudiziari e psicologici, la ricerca sulle storie che hanno legato vittime e carnefici, tutti questi particolari e molti altri ancora hanno permesso di far accrescere, spesso a dismisura, il racconto di queste violenze.
Lo “spettacolo” lievita e occupa spazi -non solo televisivi- in ogni canale.
Da qui la presenza incessante, oltre che quotidiana, di circa una ventina di spazi nelle trasmissioni. Sono tutti momenti che narrano gli omicidi, descrivono chi è morto violentemente, chi ha impugnato un coltello, una pistola, un fucile, un martello o ha spento una vita a mani nude.

I social amplificano ulteriormente questa sovraesposizione.
C’è però un aspetto ancora più terrificante che è frutto degli attuali mezzi di comunicazione e ricerca: ci sono i carnefici e le loro ricerche online.
Trovare il metodo per partorire prima del tempo per poi uccidere il proprio neonato, oppure come ammazzare con le proprie mani una donna.
Tutto questo avviene con modalità che imitano le ricerche più “normali“, come quando si deve scegliere tramite Amazon o Google la lampadina led utilizzare per i fari della propria auto. Oppure come far seccare i pomodori preservandone al massimo il gusto o per fare un’ottima passata artigianale, come scegliere un pc portatile facendosi largo tra le infinite possibilità di processore, quantità di Ram, hard disk, scheda grafica ecc.
Sembra di essere al centro di una completa banalizzazione nella ricerca di strumenti di morte, su come uccidere.
Anche nei loro atteggiamenti gli assassini finiti in manette danno spiegazioni assurdamente banali come se stessero descrivendo che tipo di caffè hanno bevuto, regrediscono a reazioni da sempliciotti, bambinesche, quasi da automi che non vivono minimamente l’orrore commesso.
Ma per loro è orrore?
Pronunciano frasi come “Ho ucciso tanto per farlo”, oppure, “Ho cercato come uccidere a mani nude e l’ho ammazzata con una mossa da wrestling”.
Incredibili.
Forse è una strategia , lo fanno per evitare di essere inquadrati come spietati progettisti della morte altrui?
Oppure è totale indifferenza per le vite…
In che famiglie sono cresciuti?
Questo portare alla ribalta i massacratori, vederli comparire continuamente sulle televisioni, raccontati in ogni loro mania e parola, i vestiti indossati, tirar fuori ipotesi comportamentali, psicologiche e ideologiche, tutto ciò può portare altri all’emulazione?
Questi assassini anche giovanissimi che vanno in prima pagina, possono trasformarsi in modelli da imitare?
C’è da domandarsi in che società viviamo…

Non posso fare a meno di pensare che potenziali assassini possano essere portati ad agire.
Anni fa, un potenziale criminale forse non sarebbe mai passato all’azione senza le possibilità e i continui stimoli oggi esistenti.
Sinceramente non so che posizione prendere, non mi sento capace di dare risposte.
Il dubbio rimane.
Siamo preda di coincidenze o di catalisi/emulazione, di imitazione sociale?
L’esperimento della bambola Bobo e il comportamento aggressivo acquisito
Come ho accennato all’inizio, nel 1961 venne eseguito un esperimento basato su una precisa tesi/teorema: il comportamento aggressivo dei bambini può essere frutto di apprendimento per imitazione. Comportamento che rientra in quel meccanismo che consente all’individuo di sviluppare un sentimento di autoefficacia utile a dominare le differenti situazioni.


A sostenerlo il professore Albert Bandura, psicologo canadese naturalizzato statunitense, specialista e studioso che asseriva come le scene di violenza mostrate tramite televisione fossero capaci di produrre emulazione fattiva da parte dei ragazzi.
L’esperimento della bambola Bobo fu ideato da Bandura per verificare la sua tesi e fu realizzato alla Stanford University dove lo psicologo era professore.
Bandura prese dei bambini in età prescolare e li suddivise in tre gruppi da analizzare e confrontare.
Nel primo dei tre gruppi mise uno dei suoi collaboratori. Questi doveva recitare una parte ben precisa, essere molto aggressivo nei confronti di un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo: la bambola, alta un metro e mezzo, raffigurava un clown dei cartoni animati e aveva un peso sul fondo in modo che tornasse in posizione verticale ogni volta che veniva colpita.
L’uomo percuoteva il pupazzo con un martello e mentre lo faceva urlava, “Picchialo sul naso!” e “Pum pum!”.
Di tenore del tutto diverso il secondo gruppo, quello designato a essere gruppo di confronto. Qui un altro collaboratore si divertiva a giocare con le costruzioni di legno. Nel suo atteggiamento mancava qualsiasi segno di aggressività nei confronti del pupazzo, anzi, non se ne interessava proprio.
In ultimo il terzo gruppo, di controllo. Ne facevano parte bambini che giocavano da soli, nessuno a dirigerli, guidarli. Assenza di un modello adulto.
I tre gruppi sono stati poi divisi per genere in sei sottogruppi, in cui metà dei sottogruppi avrebbe osservato un modello di comportamento dello stesso sesso e metà un modello di comportamento del sesso opposto.
Proseguendo l’esperimento Albert Bandura fece condurre i bambini in una stanza dove trovarono due differenti tipi di giochi:
- quelli cosiddetti neutri, quindi peluche, modellini di camion, stampe, adesivi e similari;
- quelli aggressivi come fucili, freccette, mazze e martelli finti, ma pure un set Tinkertoy (simile al Meccano, ma con parti in plastica resistente per costruire oggetti).
Tra questi oggetti c’era anche il pupazzo Bobo.
A quel punto lo psicologo ebbe modo di fare una verifica precisa.

I bambini che avevano fatto parte del primo gruppo, quello con l’adulto che colpiva il pupazzo, presentavano comportamenti spesso aggressivi nei confronti di persone e di oggetti.
Colpivano la bambola con calci, pugni, gli lanciavano contro e la aggredivano con vari oggetti a cominciare dai pezzi e attrezzi della Tinkertoy. Le urlavano contro frasi come come “Dategli un pugno sul naso” oppure espressioni meno aggressive ma ugualmente minacciose come “È davvero un duro” e “Continua a tornare in piedi per averne ancora”. Imitarono quel che avevano visto fare prima dagli adulti.
Questi bambini si differenziavano dagli altri che invece avevano fatto parte del secondo e del terzo gruppo, quelli che non mostrarono comportamenti d’attacco sotto il segno della sopraffazione anche fisica, non badavano alla bambola Bobo e utilizzavano il set della Tinkertoy per il suo vero scopo, quello di costruire oggetti.
Descrivendo questa esperienza con numeri, su 10 bambini che che avevano atteggiamenti anche aggressivi e che picchiavano Bodo, ben 8 appartenevano proprio al primo gruppo.
Ripetizioni di questo esperimento hanno riprodotto gli stessi risultati. In più, il 40% di quei bambini ha mostrato lo stesso comportamento anche dopo otto mesi.
Dopodiché il dottor Albert Bandura continuò questi esperimenti, ma con gruppi di adolescenti.
Il procedimento diede gli stessi risultati, senza differenziazione tra gruppi di appartenenza etnica.
Qualche differenza invece si manifestò tra maschi e femmine:
- i maschi risultarono in qualche modo più inclini a imitare l’aggressione fisica, comportamento fortemente tipizzato in base al sesso, rispetto alle femmine;
- non c’erano invece differenze di genere nell’imitazione dell’aggressione verbale che è meno tipizzata in base al sesso.
Inoltre, sia i maschi che le femmine erano più imitativi dei modelli di comportamento maschili rispetto ai quelli femminili per quanto riguardava la pura aggressione fisica, mentre erano più imitativi dei modelli dello stesso sesso in termini di aggressione verbale.
Tutto questo studio e gli approfondimenti precedenti/successivi di Bandura misero a fuoco quelli che sono i naturali processi di apprendimento, i modi in cui le personalità e la regolazione dei comportamenti si modellano o vengono influenzati dalle esperienze sociali.
Un punto importante di quel che è definito cognitivismo sociale.
Fino a oggi, a distanza di 63 anni, nessuno si è cimentato con altri esperimenti che confermassero o meno questi risultati.

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