Stele di 5000 anni fa ritrovata dai Carabinieri TPC, adesso data alla Soprintendenza della Provincia autonoma di Trento: va al Museo di Riva del Garda

Risale all’età del Rame e appartiene al cosiddetto “Gruppo atesino”. È una statua-stele in marmo che ha una storia arcaica, risalente a circa 5000 anni fa. Rappresenta un capo o un avo di una tribù o classe dominante, oppure un dio, narrato da elementi simbolici caratteristici, due pugnali, un’ascia-martello e un drappo. Era finita nelle mani di un privato, ma è stata trovata nella Valle di Ledro, sequestrata e il primo luglio 2025 è stata portata a Trento, al Castello del Buonconsiglio, dai Carabinieri TPC che l’hanno recuperata.
L’antica scultura ultramillenaria di grandi dimensioni (165 x 66 x 17 cm) adesso è destinata al Museo di Riva del Garda dove sono già presenti altri reperti di questo genere. Il Nucleo Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Venezia l’ha consegnata all’U.M.St. Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Provincia autonoma di Trento.

L'età del rame, anche detta Eneolitico o Calcolitico (dal greco χαλκός-chalkós, “rame” e λίθος-líthos, “pietra”), è un periodo della preistoria compreso  tra il Neolitico e l'età del Bronzo: segna il passaggio dal periodo della pietra lavorata all'inizio dell'utilizzo dei metalli, rame e poi bronzo. Nella Penisola Italiana riguarda soprattutto il III millennio a.C..
La stele è decorata sui quattro lati, un cinturone del tipo “a festoni” corre tutt'attorno mentre sulla faccia anteriore sono raffigurati due pugnali in rame disposti orizzontalmente con la punta verso l’interno, a lama triangolare costolata e pomo semilunato, uno dei quali contornato da borchiette.
In prossimità della spalla destra è presente un oggetto a T (ascia da combattimento) con andamento obliquo.
I fianchi e la schiena, fino all’altezza del cinturone, sono ricoperti da un mantello frangiato e decorato da un motivo a scacchiera.

Questo genere rappresentativo fa parte della cosiddetta statuaria antropomorfa europea diffusa dall’Ucraina fino alle rive rivolte verso l’Atlantico nel III millennio a.C.
È una tipologia documentata in Trentino – Alto Adige grazie al ritrovamento, fino a oggi, di 22 esemplari che rientrano appunto nel Gruppo atesino. Otto di questi sono stati scoperti ad Arco (TN) tra il 1989 e il 1990 durante gli scavi per la costruzione del nuovo ospedale.
Questi straordinari monumenti, scolpiti a tutto tondo e forse dipinti, in origine erano eretti all’aperto in un’area a probabile destinazione cerimoniale, nei pressi di un antico canale del fiume Sarca. 

Nel “Gruppo di Arco” sono presenti personaggi maschili, come la stele oggi consegnata dai Carabinieri TPC, riconoscibili in base alle maggiori dimensioni e caratterizzati dall’ostentazione di armi, da figure femminili contraddistinte dalla raffigurazione dei seni e da alcuni particolari dell'abbigliamento, da un personaggio privo di elementi distintivi, di piccole dimensioni, che probabilmente rappresenta un soggetto non adulto.
Le statue stele potevano raffigurare personaggi di rango elevato realmente esistenti, oppure immagini di divinità.
L’ipotesi più probabile è che siano figure commemorative di antenati illustri, forse in origine anche dipinte, opere che con la loro imponente presenza legittimavano il potere dei gruppi dominanti dell’età del Rame. L’esemplare oggi presentato ha particolare attinenza con le statue-stele del Gruppo atesino, in particolare con il reperto denominato “Arco II”.

Come i Carabinieri TPC sono arrivati al recupero di questa stele antica 5000 anni

Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica di Rovereto sono state avviate dal Nucleo TPC di Venezia nel luglio 2024. Il tutto rientrava nella supervisione e controllo della Soprintendenza per i beni e le attività culturali di Trento con cui i Carabinieri TPC collaborano strutturalmente.

La stele è stata trovata in Val di Ledro (TN).

Come risultato delle indagini il reperto è stato sequestrato visto che il privato che lo aveva fra i suoi beni non aveva un valido titolo di proprietà. Comunque il personaggio ha collaborato totalmente durante le indagini, fattore molto prezioso per arrivare a una felice conclusione degli accertamenti.

Il lavoro di ricostruzione dei fatti ha permesso di scoprire parte della storia della statua che, con buona probabilità. è stata trafugata da scavi clandestini o rinvenimenti fortuiti non denunciati alle autorità, avvenuti negli anni 90 del secolo scorso, scavi fatti vicini all’ospedale di Arco dove erano in corso alcuni lavori edili.

La normativa vigente prevede sui beni archeologici provenienti, certamente o presumibilmente, dal territorio italiano una presunzione di appartenenza al demanio culturale. Il privato che intenda rivendicare la proprietà di reperti archeologici è tenuto a fornire la prova che gli stessi gli siano stati assegnati dallo Stato in premio per ritrovamento fortuito; o che gli siano stati ceduti sempre dallo Stato a titolo d’indennizzo, per l’occupazione d’immobili; o che siano stati in proprio, o altrui possesso, in data anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 364 del 20 giugno 1909. Inoltre, per quanto previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti in violazione delle previsioni in materia di tutela, proprietà e circolazione dei beni archeologici indicati nello stesso codice, sono nulli.

Nell’aprile 2025 le indagini sono arrivate al risultato finale e sono state chiuse, quindi il Tribunale di Roveretoha disposto il dissequestro del reperto archeologico e la restituzione a favore della Soprintendenza di Trento. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio riconosce, infatti, la potestà in materia di tutela alla Provincia autonoma di Trento, come previsto dallo Statuto Speciale per il Trentino – Alto Adige e dalle relative Norme di Attuazione.

Per la valutazione di questo bene culturale i militari del Nucleo TPC di Venezia l’hanno fatta analizzare tecnicamente e storiograficamente dai funzionari archeologi della Soprintendenza trentina.

Il recupero di reperti archeologici facenti parte del demanio culturale rappresenta una delle direttrici investigative che il Nucleo TPC di Venezia persegue, attraverso verifiche costanti e metodiche presso gli esercizi commerciali di settore e mediante l’attenta raccolta di segnalazioni da parte di studiosi e appassionati, grazie alla collaborazione degli Uffici del Ministero della Cultura, delle Soprintendenze di Bolzano e di Trento. La restituzione al patrimonio pubblico di questi beni, testimonianze aventi valore di civiltà, riporta alla fruizione collettiva oggetti che narrano la storia di territori e comunità.

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