Può non essere facile approcciarsi col proprio medico di famiglia in questo periodo di pandemia Covid-19. Prima il dialogo era aperto, qualche volta sbrigativo perché c’erano tanti i pazienti in sala d’attesa. Oggi no. La paura negli occhi del professionista sanitario appare con limpidezza. Ecco quindi il racconto di un pomeriggio in uno studio medico per farsi il vaccino antinfluenzale insieme ai propri genitori.
Un pomeriggio qualsiasi, appuntamento in studio medico fissato all’11 novembre 2020, ore 17,30. C’è voluto un mese d’attesa per riuscire a raggiungere questo traguardo, farsi il vaccino antinfluenzale. Così ho preso i miei genitori non più giovanotti e in auto ci siamo diretti verso lo studio del medico di famiglia.
Ma non è andato tutto in maniera semplice e lineare.
Il racconto di quei momenti come fossero vissuti adesso
Il brevissimo viaggio. Andamento lento, in auto a una velocità non superiore ai 35 chilometri l’ora.

Perché così lenti?
Beh, mio padre, come suo costume fin dagli anni 60, vuole sempre uscire in anticipo, in grande anticipo. Non lo dice direttamente, ma ogni 30 secondi guarda l’orologio al polso, poi controlla quello dello digitale dallo schermo di Alexa (recente conquista), poi le lancette dell’orologio a muro incastonato in un piatto di ceramica di Caltagirone. E il giro ricomincia. Non la finisce più.
Così, mia madre e io ci osserviamo. Conosciamo da lungo tempo il “pollo”. Quindi, tutti in piedi! Indossiamo i cappotti e le mascherine, poi scendiamo ancora prima che l’orologio a pendolo batta i tre quarti delle 16 e via verso l’auto.
Andamento lento anche a piedi anche perché, oltre a dover perdere tempo visto il forte anticipo, il loro “ritmo pedonale” non è più quello di una volta: lo stare prevalentemente chiusi a casa durante la clausura forzata o lockdown che dir si voglia, ma anche nei periodi successivi, li ha fatti andare fuori forma; non è stato un bene per il loro fisico alla loro età.

Una volta in auto, tutto a posto, accensione e via. Ma non a razzo. Più in stile tartaruga-lumaca, come se fossimo in corteo con la Regina Elisabetta e dovessimo salutare dignitosamente e compassati i sudditi ai lati della strada.
Pur trovandoci nella sterminata Roma, lo studio del medico è raggiungibile in circa dieci minuti. Tabella di viaggio: accessione del motore e avvio lungo la Nomentana alle ore 16,45… appuntamento alle 17,30. Ripeto, dieci minuti al massimo di normale percorrenza.
Ho detto tutto.
Il parcheggio l’ho trovato facilmente, purtroppo, persino vicino al cancello del complesso dove si trova il medico di famiglia (neppure questa fase ci ha fatto perdere un po’ di tempo).
Arriviamo in studio alle 17,10 vero record di lentezza tra percorso in auto e a piedi.
Non c’è nessuno nella sala d’attesa. L’appuntamento scandisce bene gli assistiti, anche se siamo giunti con 20 minuti d’anticipo. Mio padre si affaccia alla porta della stanza del medico (l’unico presente nell’appartamento) per dire che siamo arrivati e già sento, a volume piuttosto alto, una risposta che mi sembra come un “Non parli!“.

Penso subito, tra me e me, “Chissà che avrà detto il dottore. Devo aver sentito male”.
Mio padre torna in sala d’aspetto, ma io non chiedo. Ci osserviamo belli imbavagliati e protetti dalle mascherine.
Finalmente il medico chiama.
Per primo deve andare papà. La voce del medico giunge da lontano, ad alto volume, come dalle profondità di una caverna riverberante: lui rimarca (dalla sua stanza lungo il corridoio) che papà deve togliersi giaccone e maglione prima di raggiungerlo in fondo al corridoio; mio padre deve spogliarsi in sala d’attesa, poi si avvia in maniche di camicia.
Gli viene fatto il vaccino e torna da noi.

É il mio turno. Come da nuovo “capitolato” sanitario dello studio, devo però togliermi il giaccone prima di entrare nella stanza del medico: non ci si può spogliare lì dentro perché bisogna starci il minor tempo possibile.
Medico – “Altre volte il vaccino ti ha mai dato fastidio?“.
io – “No, mai avuto problemi se non un po’ di indolenzimento nel punto dell’iniezi… “
Medico (interrompendomi con fare brusco) – “Non parlare!“.Il tono della sua voce non è stridulo, ma ha un timbro più alto, come quando si avvisa di un pericolo improvviso.
Per alcune frazioni di secondo rimango interdetto senza capire che sta avvenendo… poi comprendo che, nonostante le mascherine, il medico non vuole che io parli per evitare che possa spargere anche un solo virus nella stanza nel caso fossi infetto. L’unica spiegazione possibile è questa, avvalorata anche dagli occhi sbarrati dello specialista e dalla sua espressione in viso per nulla tranquilla.
Mi fa l’iniezione e poi mi chiede, “Sua madre? Ora tocca a lei“.
io – “No dottore, mia madre come per gli scorsi anni, avendo una reazione allergica al vaccin…“.
Medico (bloccandomi ancora bruscamente) – “Non parli! Niente allora, sua madre non fa l’antinfluenzale”.
io – “Ma mia madre è venuta qui per fare il vaccino contro la polm…“.
Medico (interrompendomi di nuovo) – “Si fermi e non dica altro! Il vaccino antinfluenzale e quello contro la polmonite sono la stessa cosa: se sua madre ha una reazione al primo, l’avrà pure all’altro, quindi non le faccio nemmeno il secondo!“.
Nulla da fare anche se mamma, dopo la mia uscita dalla stanza dello specialista, si è affacciata con la scatola di fiale di adrenalina in caso di reazione allergica: il vaccino antipolmonite non glielo ha fatto. Il dottore è prudente, preferisce evitare con forte determinazione.
Non vi dico poi quando ho iniziato a elencare i sei farmaci che doveva prescrivermi con apposita ricetta:
Il medico mi interrompe con un suo ennesimo – “Non parli!“;
La mia risposta – “Dottore, se non parlo, come faccio a rispondere alle sue domande e come dovrei indicarle cosa mettere nelle ricette per le nostre terapie? Il linguaggio dei gesti non lo conosco“.
Elenco le altre medicine da lontano, praticamente dalla porta che dà sul corridoio dello studio e lui batte sulla tastiera del computer poi stampa le ricette. C’è mancato poco che me le lanciasse per tenermi lontano.
Comunque, mi devo sbrigare perché tre persone aspettano fuori dal cancello del palazzo per poter entrare nello studio medico (ed eravamo arrivati con 20 minuti d’anticipo).
“Faccia in fretta a dirmi questi medicinali che c’è gente che aspetta fuori e voglio evitare una denuncia da parte del condominio!“.
Queste le ultime parole del medico. Dopo lo saluto sbrigativamente con un “Salut!“, lo stretto indispensabile per non emettere troppo fiato.
Ecco l’effetto covid, quello che in questi casi distanzia anche i medici, ancora più degli altri. Forse per una loro maggiore consapevolezza sulla terribile realtà di questa pandemia. Nei fatti, rischi ne corrono a non finire, moltissimi di loro si sono ammalati e molti sono anche morti nel nome della professione, curando gli altri. É connaturato al ruolo che hanno sposato.
Però, proprio in questo periodo di stress mentale/psicologico e di grande pericolo per la salute, un piccolo corso di padronanza di se stessi e di cortesia renderebbe migliore il loro rapporto con gli assistiti.
É solo un consiglio, uno spassionato suggerimento, per vivere tutti al meglio questo momento d’emergenza aspettando quell’istante tanto desiderato in cui potremo stringerci di nuovo le mani, abbracciarci, incontrarci senza paura.
