Vampiro e Vampirismi. Piacere-punizione-dolore, sesso-sangue, ricerca di sé

Nell’epoca di internet in cui la chat rende il corpo invisibile o alterabile attraverso il filtro della webcam, in un periodo in cui la fisicità si inoltra, frantumandosi e componendosi ancora negli spazi immensi del cyber e del catodico, osserviamo la nascita di un nuovo linguaggio del corpo riesumato da antichi linguaggi tribali.

articolo del dottor Danilo Moncada Zarbo di Monforte, psicanalista
da il Cinemante” (link), direttore responsabile Claudio Caruselli,
ripubblicato su Di Roma Magazine
anno 1 (2013), numero 0, pagine 34, 35, 36, 37, 38
supplemento della testata giornalistica online Di-Roma.com,
direttore responsabile Giuseppe Grifeo

Sopra: immagini delle pagine dal Di Roma Magazine

Il tatuaggio, il piercing, il cutting, fino ai Blood-sport praticati nei celebri locali quali il Gauntlet o il Bondage, sono oramai entrati nella nostra esperienza quotidiana. Le performance di Gina Pane del 1974, di Gunter Brus o della notissima e attuale Orlan, hanno prodotto un’attenzione dei media sul fenomeno del “Corpo che parla”.

Il corpo, la pelle, non è più solo superficie, solo epidermide, non più una pellicola che nasconde ma, al contrario, si trasforma e racconta.

Narra di sogni e di miti, ad esempio il linguaggio Mahori del tatuaggio o di rabbia irrisolta e autodistruttiva come nei bloodsport. Una Nuova Carne, com’è chiamata, che esprime se stessa attraverso il martirio e l’autopunizione.

A differenza delle autoflagellazioni rituali, come nella processione dei misteri a Trapani, il segno lasciato sulla pelle dei fautori della “nuova carne” non è offerto a nessun Dio ma allo scambio di piacere, a una sorta di Narcisismo cui la psicologia guarda dal punto di vista della complessità.

Il Narciso che non cerca specchio che rifletta altro se non l’immagine di cui è innamorato, fino alla morte per annegamento. Il Narciso dunque che non si specchia nell’altro, che non si confronta con l’immagine che gli rimandano gli altri, che si rifiuta di vedere il vuoto che lo circonda nel quale si è volontariamente perduto.

Nell’icona del vampiro, il “non morto” evita gli specchi perché non lo riflettono; perché mostrerebbero il suo “non essere”.

Del resto il secolo 19° si chiudeva con il tradimento del sogno romantico e di quello decadente.

Ultime due immagini: The Underwater Art of Peter Benke – “Sangue Rosso” 2012

Il destino, l’Eros, il Thanatos non sono più auguste o tenere figure che svolazzano per campi in mietitura o tra vette imprendibili. Edipo non è soltanto il luogo dell’altrove; l’essere umano che si era rappresentato in una proiezione fa i conti con la sua crisi, essa (la crisi) diventa un luogo interiore, uno spazio della persona, la fucina delle emozioni dell’uomo, delle sue passioni.

Si passa in altre parole da un concetto di possessione (da parte d’agenti esterni), a quello d’ossessione o, per introdurre concetti psicanalitici, Zwangsneurose, la Nevrosi Ossessiva.

L’occhio incantato si rivolge all’inconscio alla ricerca di risposte ai perché e al bisogno, l’ineluttabilità del piacere e della sofferenza.

La nascita della psicanalisi, al finire dell’Ottocento, sancisce una crisi culturale e una trasformazione.

Si parla di sesso e di passioni che non posseggono come uno spirito che cala e invade l’uomo, ma che nascono dall’uomo e chiedono soddisfazione, a rischio altrimenti di Obsidere. L’Obsidere, l’ossessione con le sue caratteristiche di incoercibilità, estraneità, invasività, compulsività e cerimoniale. La lotta tra Es e Super Io, direbbe Freud, ha inattivato la facoltà di mediazione dell’Io. Lotta dunque tra i bisogni d’amore senza confine e la Legge Morale severissima che nega soddisfazione, l’Io (il conscio) prigioniero del conflitto si nutre delle briciole sintomatiche fino a perirne.

Amore e morte, come ci racconta proprio in quegli anni con gli strumenti della letteratura Bram Stoker nel suo Dracula.

Una paziente, che pratica una particolare forma di Bloodsport appresa negli Usa, riferisce un triste vissuto di bambina: «Fin da piccola ero punita a sangue, quando ero sorpresa a toccarmi».

Da bambina, tentava, come è normale nella crescita, di conoscere e sperimentare il proprio corpo e le sensazioni connesse a quest’esplorazione. Tra queste esplorazioni anche quelle genitali e la masturbazione.

La risposta ambientale, familiare, fu spropositata. La bambina era legata polsi e caviglie al letto, producendo spesso ferite sanguinanti. Tali attenzioni sembravano essere le uniche

manifestazioni di affetto da parte dei familiari, questo almeno il vissuto della paziente. Credo sia stata prodotta, in quella circostanza, l’associazione tra piacere-punizione-dolore, poi divenuta rapidamente piacere-dolore e, successivamente, sesso-sangue.

Da sempre il sangue è portatore di emozioni, nella cultura classica e popolare sono molte le espressioni che associano uno stato d’animo alla metafora del sangue. “Il riso fa buon sangue”, “mi ribolle il sangue”, “mi fa sangue”, spessissimo quest’emozione è più esplicitamente correlabile al sesso come ciò che fa ribollire il sangue nelle vene. Comunque il sangue e le vene sono il “portale d’accesso” di energie vitali; “il sangue è vita” dice il celebre Conte nell’ultimo Dracula di Coppola.

Coppola, di famiglia emigrata dal meridione d’Italia conosce bene, come il vampiro e il narciso, il frutto dolcissimo e paralizzante della malinconia. Coppola ripropone quel rapporto indissolubile tra morte e vita, sempre presente e incombente come nel dipinto “il trionfo della morte”.

Il regista ripresenta, in termini artistici e autentici, la costanza tra sangue e violenza, tra desiderio e distruzione che ha tipizzato il sud d’Italia nel mondo e, oserei dire, il sud del mondo.

Il Bloodsport è una pratica sessuale o, forse, una spettacolarizzazione in cui il sangue è un elemento di scambio tra i praticanti. Si scambiano magliette sporche di sangue, si beve leccandolo il sangue (mestruo o da ferita ecc.), si assiste a spettacoli a sfondo necropop.

La paziente in particolare amava offrire il proprio sangue durante il rapporto sessuale ricevendo in cambio sperma. Sentiva il bisogno che qualcuno prendesse il suo sangue per riaffermare la sua esistenza in vita, in cambio del sangue ne riceveva altro fluido vitale.

L’identificazione con Elisabetta\Mina, moglie di Dracula, era fortissima nella paziente. Il locale americano dove praticava questo “esecrabile” tipo di sessualità, è tutt’oggi il locale dei vampirofili statunitensi.

In quest’ultimo film, Dracula pur terribile e temibile, è un affascinante ed elegante uomo che rinuncia alla vita per amore, rinuncia a Dio per il dolore e abbraccia la “non morte” come tentativo (vano) di allontanare da se la sofferenza per la morte di Elisabeta.

È un Narciso elegante e raffinato, mai volgare neanche nelle scene più macabre, è un uomo che sceglie una “non morte” che equivale a una “non vita”. È anche però un essere mostruoso, licantropo, vecchissimo e deforme, un essere tutto topi: il mostro inaccettabile, da non guardare.

Questa duplicità ben rappresenta il celebre conflitto tra Gradevole e Sgradevole, Accettabile e Inaccettabile, alla base di molti disagi psicologici.

Il bisogno di sentirsi accettare e, prima ancora, di accettare la parte meno gradevole di noi stessi, la nostra rabbia e la nostra aggressività e ancora, il desiderio, le fantasie più fervide. Il bisogno che la nostra parte mostruosa e sgradevole sia accolta dall’altro e, prima ancora, da noi stessi. Come, ad esempio, il bisogno di sentire accolta la propria sessualità, anche se vissuta come inaccettabile da se stessi o dalla società.

Il Paziente sta meglio e inizia un percorso di guarigione nel momento in cui sente di poter trovare una parola che descriva il suo disagio e lo incontri. Lavora con se stesso attraverso un atto di fiducia nel lavoro terapeutico e non si sente rifiutato ma accolto, anche nell’aspetto mostruoso.

Elisabetta/Mina bacia il suo Dracula oramai mostruoso, lo bacia con amore e tenerezza infinita su quella bocca empia, il loro rinato amore congiunge gli opposti, risolve il conflitto, sconfigge le tenebre e ridarà la pace ai protagonisti del film e allo spettatore.

Il Vampiro, col conseguente vampirismo, nasce per far fronte a un terribile dolore e alla separazione dall’Oggetto d’amore: la moglie amatissima. È dunque una formazione reattiva che dovrebbe distanziare il disperato dalla sua disperazione, il sofferente dalla sua sofferenza. Diviene invece, come nella patologia psicologica, un circuito che dà briciole di piacere. Il soddisfacimento sostitutivo porta ad un imprigionamento dell’Io.

La persona (Dracula) è costretto a rituali (il giorno e la notte, la bara con la terra, il morso, gli specchi da evitare ecc.) tipici di uno stile Ossessivo di personalità.

Un altro paziente racconta dell’angoscia provata: «Avevo 15 anni giocavo a fare sesso con un compagnetto, avevamo i pantaloni calati, ed entrò mia madre; chiamò mia sorella, i miei fratelli, mio padre. Io piangevo la pregavo come un Dio di perdonarmi. Papà prese la cintura e mi frustò a sangue».

Un gioco comunissimo tra adolescenti diventa un bisogno da evitare, da punire, da rimuovere: «Pur di non soffrire come allora, m’impongo sofferenze fisiche di tipo diverso».

Il paziente non ha più erezioni, il piacere è sostituito da tagli che s’infligge con rasoi, chiodi, penne, sigarette da spegnere sui capezzoli. Gli unici rapporti sessuali, sono con persone non desiderate, rapporti non protetti e estremamente a rischio «così da punire il male che ho in me».

Il piacere represso dalla punizione diventa la ricerca della punizione come sostituto del piacere.

Nel film di Coppola, come nel libro di Stoker, tutto sarà risolto quando la rinuncia all’oggetto privilegiato d’amore, l’accettazione della separazione, il principio di realtà sarà vittorioso sul principio di piacere: Elisabetta/Mina dà la pace a Dracula e chiaramente gli taglia la testa e spacca il cuore.

“Bene” direbbero alcuni, “terribile” altri.

I moralismi non attengono alle riflessioni scientifiche, il Vampiro come metafora densa di riflessioni simboliche, offre spunto per ogni forma di tensione tra bene e male, tra giusto e sbagliato, tutti concetti ai quali non è sempre necessario sacrificare la riflessione.

Nei casi clinici appena accentati, però, i precetti moralistici obsoleti hanno prodotto un dolore fortissimo: l’idea che il sesso e il corpo siano luoghi di peccato e di colpa, dunque da nascondere e da punire. Il piacere represso e negato, continua a cercare vie di soddisfacimento passando attraverso il tortuoso sentiero dell’autopunizione.

Il Vampirismo, in vecchi trattati di psichiatria e psicologia (sempre più vecchi quanto più reiterati nella convenzionalità di un certo pensiero scientifico) è descritto come la patologia sessuale del provare piacere dal succhiare sangue dal collo delle vittime.

Questa riduttiva concezione del vampirismo mi ricorda il primo libro sui vampiri del 909 d.C. di P. Costantino da Baviera che elenca 500 modi per divenire vampiro tra cui: morire scomunicato, morire da licantropo, morire con una maledizione da parte del genitore e… morire cadendo sul lato sinistro del Carro (?!).

La scienza, che chiaramente si mette (o dovrebbe mettersi) in discussione, ha offerto nei secoli diverse interpretazioni tra cui, ma non solo, quella psicologica:

a) La sindrome di Renfield: rara malattia (???) che porta la persona a ritenersi vampiro. Il 99% degli affetti è maschio, con caratteristiche di zoofagia, desiderio di sangue legato al bisogno sessuale ecc. Straordinario valutare, come sostengo da anni, che tale sindrome è stata descritta dopo Stoker e il suo Vampiro. In altre parole, credo che il Mito abbia offerto come sempre un contenitore validissimo per un malessere d’altra natura, come fa Cenerentola, Biancaneve, l’integralismo e i suoi rituali rigidi, ecc;

b) Porfiria: rara malattia del metabolismo, ritenuta base fisiologica del vampirismo dal dottor Dolphin docente di chimica all’Università della Columbia Britannica. Gli esperti di Porfiria hanno “contestato” questa teoria dicendo che il bere sangue non allevia il dolore degli ammalati di Porfiria;

c) Rabbia: suggestiva ipotesi del neurologo Gomez-Alonzo secondo cui alla base della nascita dell’Icona del Vampiro possa esserci un’epidemia di Rabbia scoppiata nell’Europa orientale intorno al 1720. Il neurologo spagnolo descrive le caratteristiche comuni tra l’iconografia del vampiro e i sintomi prodotti dal Virus della Rabbia;

d) Malinconia e Ossessione: citata come ipotesi di lettura psicologica in quest’articolo.

Molto interessante la Rabbia, ma mi preme riflettere come l’icona del vampiro sia di quasi un millennio precedente, anzi includendo la mitologia dello Zohar, il libro dello splendore, ancora più vetusta.

Certo di rabbia si può parlare, ma credo di poterla intendere in un’accezione più psicologica: la rabbia per l’impotenza a gestire una separazione e una perdita, la rabbia del lutto, la rabbia verso una Legge Morale spietata e crudele che non dà spazio all’amore e al dolore, la rabbia verso un mondo acquietato e paludoso (come sono paludati i sacerdoti ortodossi che maledicono Elisabetta non contenendo e alleviando il dolore del Conte, probabilmente producendo il vampiro futuro).

Ma Edipo sarebbe stato senza la profezia? Avrebbe ucciso il re padre e sposato la regina madre, se qualcuno non gli avesse rivelato l’arcano?

Dracula si sarebbe donato all’eterna notte se..?

Una tribù delle Filippine, Bebarlangs, pratica uno strano vampirismo, succhiano le forze vitali attraverso il “corpo astrale” della vittima. Una ricerca psichica di una fonte di energia da depredare. Tale forma di vampirismo è riconosciuta anche in Occidente attraverso più o meno mistificate credenze New o Post o Pre Age.

Il dato è quello della precarietà dell’Individuo e del suo bisogno di rituali per proteggersi, il bisogno di poter dire il bianco è Bianco, il Nero è nero, di categorizzare in modo rigido e riconoscibile il bene dal male.

Tra bianco e nero sappiamo in realtà esserci un’infinità di tonalità, certo la realtà diviene di più complessa elaborazione. Mi sembra, cioè, che la volontà di ridurre a semplice ciò che è complesso sia una tentazione fortissima ma poco fruttuosa.

Questo vampiro è il segno del limitare. Come le passioni più profonde, le pulsioni in termini psicanalitici, i bisogni della psicologia della Gestalt, tutto si manifesta quando le luci della ragione lasciano il posto al buio dell’inconscio.

Mi diceva la paziente: «Il dolore prima e l’angoscia poi, vengono al tramonto… nella solitudine della mia camera e del mio letto… come la bara».

I sogni con il loro contenuto erotico che ci angoscia, con la violenza che ci atterrisce, con Eros e Thanatos che si fronteggiano e flirtano allo stesso tempo, i sogni con il loro nascere al limitare del giorno e della notte. Così il vampiro con la sua carica di sensualità e violenza appare al limitare del giorno e della notte, scompare con il sole.

L’associazione tra vampiro e sessualità sfrenata e rintracciabile in ogni descrizione del maligno, una certa pedagogia di reflusso che crea schiere di sofferenza attraverso l’attualissimo connubio tra sesso e perdizione, piacere e peccato, sfrenatezza e alienazione.

Come già ai primi del Settecento e agli inizi del 20° secolo, il vampiro rinasce dalle sue ceneri in coincidenza della scomparsa di società tradizionali, dove gli incantesimi di turno e il cattivo di turno tranquillizzavano le inquietudini del cambiamento.

Rituali rigidissimi e vampiri assetatissimi rispecchiavano il malessere di una cultura che si trasforma o muore.

Ho iniziato questa mia riflessione da internet e dai linguaggi di un corpo frantumato dal WEB e dal Catodico e ricomposto nei nostri schermi modificato.

In un periodo in cui i Virus viaggiano via rete, le notizie vampirizzate dagli Hacker, il timore è grande. Ma più grande sembra il cambiamento che si è prodotto a cavallo dei millenni.

Gutemberg o WWW, o altro, Cavallo e Macchina a Vapore, carne cruda o cotta dalla scintilla di Prometeo, l’ansia di risposta è il frutto del metabolismo del cambiamento. L’ansia richiama tutte le angosce e tutte le separazioni, il lutto, l’abbandono, la nostra volontà di non morire e di non lasciar morire chi amiamo.

Nessuno è perfetto? Certo neanche il vampiro.

«Esiste un momento della giornata in cui il crepuscolo, limita la definizione di notte e di giorno; è là che inizia il dolore, il terrore, tutto può accadermi, è come una fortissima pressione sul cuore. Il sangue mi scorre velocissimo, il corpo si riempie d’adrenalina, è come se potessi scoppiare».

Una mia paziente così raccontava, anni fa, di questo forte dolore che nessun esame clinico obiettivo rilevava, il peso sul petto e la sensazione del dover morire che nessun elettrocardiogramma verificava, una sofferenza “vera e reale” ma che nessun macchinario riusciva a certificare.

“Il sangue è vita” recita Dracula. Per anni, prima della diffusione della consapevolezza delle trasmissioni virali, il sangue ha rappresentato l’affermazione della vita, della passionalità.

Ancora una volta ci troviamo a contatto con la necessità che il corpo racconti, che parli, che narri di storie di passioni travolgenti, suadenti, deludenti, struggenti.

Del resto è come se qualcosa oltrepassasse la soglia dell’epidermide per raggiungere l’altro, un messaggio segreto che arriva.

Al limitare, che sia quello del giorno e della notte, che sia quello dell’inconscio e del conscio, della ragione o dell’irrazionalità, del maschio e della femmina, del bianco e del nero, di Hyde e Jekill, al limitare esiste sempre una zona intermedia, un crepuscolo dove tutto è possibile.

Questo “tutto” evoca certo gli spettri. Il più temuto e visitato è quello del “lasciarsi andare alla passione”.

Il tramonto dei romantici è anche contemporaneamente l’attesa penombra degli amanti, il nascondersi nell’ombra e rubare immagini di sesso agli appartati dei voyeur e il rincorrersi tra le penombre di chi sfugge a un’inquisizione poliziesca tra le fratte. Il limitare è il luogo psicologico da trasgredire e da temere. La barriera oltre la quale tutto è possibile, certo anche perdersi.

Oltre il negare la sessualità del marito insoddisfatto dalla routine del rapporto matrimoniale e familiare, oltre il negarsi altri ruoli possibili oltre quelli di lavoratore, padre e marito, là oltre c’è il limite di ciò che credo possa contenere la mia insoddisfazione il mio desiderio di trasgredire.

Trasgressione del chi osa avventurarsi in questa notte fonda, del chi osa viaggiare per le terre desolate senza gli opportuni incantesimi?

“I vostri incantesimi” recita Dracula, i nostri meccanismi di difesa diremmo col linguaggio psicologico che impediscono al conservatorissimo e reazionario mondo del “come è” di insinuare il dubbio del “come voglio che sia”, del come sarà.

Parliamo dunque del disagio di chi, in cerca di Sé, incontri il confine tra ciò che fino ad oggi ho considerato lecito e il finora illecito, il non consentito. Parlo di quei pazienti angosciati dalla propria identità sessuale afflitta dal ruolo e dalle aspettative. Dei mariti e delle mogli insoddisfatte che attendono al crepuscolo con angoscia il desiderio.

Parlo delle donne e degli uomini, che ancora oltre il 2000, nonostante da 20 anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità non consideri più la sessualità omosessuale come patologia, vivono la sessualità come un dolore e di un peccato. Vittime di un totalitarismo moralistico privo di fondamento scientifico essi vivono ancora il desiderio e il sesso come l’oscuro diavolo, il demone, il vampiro.

Un’altra paziente mi dice piangendo: «Internet mi succhia i pensieri, viene al crepuscolo e quando io sono sola e indifesa entra nella mia mente, succhia via me stessa e lascia solo i suoi pensieri sudici e perversi».

Altro caso certo di patologia psicologica più grave, è una grave forma di psicosi, ma anche in questo caso “un essere capace di esistere a prescindere dal corpo penetra in me” portando via il controllo della coscienza e lasciando spazio all’inconscio e ai suoi fantasmi.

È una fantasia di essere incorporata da un essere potente e grandissimo che possa, come Dracula nei suoi film, attraverso il morso partecipare i suoi poteri straordinari. Assimilare le qualità altrui attraverso un’incorporazione passiva, l’essere mangiato.

Parliamo di strutture di personalità che non hanno raggiunto una completa individualità, attraverso il lungo e periglioso cammino della integrazione di Sé e che per esistere necessitano di far parte di un’unione più grande.

In modo straordinario i fantasmi sono sempre gli stessi, tutto inizia con un’angoscia di separazione, la perdita dell’oggetto libidico prescelto è la causa della sconfitta, il dolore.

Unico amore dello sterminatore Dracula è Elisabeta, da cui il Conte non riesce a separarsi, non rinuncia poiché nella sua vita non ha amato altro.

Bello, certo, romantico vero, ma poco pratico se pensiamo che le prime relazioni oggettuali e necessarie separazioni non sono tra adulti innamorati, non tra amanti appassionati, bensì tra un bambino e il proprio genitore di riferimento.

Se il bambino non potrà crescere e differenziarsi, egli succhierà energie a se stesso e agli altri nel tentativo di resuscitare un oggetto d’amore totalmente appagante ormai morto, sepolto e mummificato.

Il sesso è uno dei modi per raggiungere nuovi oggetti d’amore. A volte questi oggetti riescono a diventare soggetti, cioè privati degli aspetti proiettivi gli altri entrano a pieno titolo con il loro carico di diversità nella relazione.

Il sesso e la sua gestione sono anche vissuti come elementi del peccare, del disagio, della condanna morale interiore espressa attraverso la rappresentazione di un tribunale esterno. La proiezione diremmo sull’esterno di una dinamica punitiva di matrice meravigliosamente interiore.

Ecco la sofferenza, ecco il dolore.

L’omosessualità non è certo patologia, come non lo è del resto l’eterosessualità, né gli altri orientamenti in materia di desiderio sessuale.

Certo però che i luoghi dell’eros continuano a essere i luoghi dell’altrui ludibrio e derisione, spesso anche dell’emarginazione e persecuzione.

Accettarne il peso si può, liberare le coscienze dalle sovrastrutture della condanna e coercizione si deve, credo sia uno dei lavori della psicoterapia, uno certo tra i tanti.

La signora di Internet, rinuncia a quell’atto di forza che aveva spezzato la simbiosi con la famiglia e si ricongiunge ad essa rinunciando al proprio mondo erotico e dunque punendosi.

Il vampiro Internet è la causa di quella inquietudine che la porta alla masturbazione e alle fantasie sessuali; esse sono però da rifiutare, da esorcizzare, in questo modo la signora potrà simbolicamente ricongiungersi con il mondo familiare rifiutato e fuggito a 30 anni.

Il represso sessualmente teme la luce sui suoi desideri e li vive nella notte della ragione, la sessualità negata si rifugia nei sogni e vive la notte: come il vampiro, essa penetra nei nostri letti e ci possiede.

Dura la consapevolezza, durissimo il percorso per l’individualizzazione, certo, ma credo sia altrettanto disfunzionale vivere in una bara buia, cercando il solo vivere nel limite o in una casa piena di croci e d’aglio per sfuggire alla notte.

“Per favore non mordermi sul collo”.

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