Covid e post-Covid, il 18% dei non vaccinati colpito da conseguenze importanti a due anni dall’infezione

Più di una persona su sei – il 18% – dei non vaccinati che hanno contratto il Covid è colpito da conseguenze importati a due anni dall’infezione, mentre il 17% non è ancora tornato alla normalità. Per dirla chiara, senza il vaccino aumentano le probabilità di rischio anche a due anni dall’essersi infettati. La verifica è stata fatta confrontando la situazione con quella di un gruppo di non vaccinati che non hanno preso il Covid.

La notizia di questo studio pubblicato sul British Medical Journal (link) e ultimato dai ricercatori capofila Tala Ballouz e Milo Puhan dell’Università di Zurigo è stata battuta e riportata da diverse testate dopo il lancio ANSA.
Ritengo sia necessario diffonderla ulteriormente per ribadire un concetto semplicissimo: bisogna proteggersi e proteggere gli altri utilizzando gli strumenti predisposti dalla Medicina grazie alla ricerca terapeutico-medica. E poi rimarrà in questo database di notizie, sempre consultabile online.
Per questo motivo ho voluto leggere l’analisi dell’Ateneo svizzero per scriverne qui un’estrapolazione attenta.

Non tengo in alcun conto il folclore di passaparola vari, di pseudo complottismi, di verità aliene, di rivelazioni su pseudo potentati (che non riescono a nascondere la loro segretezza – la cosa fa ridere visto che tutti gli “svelatori” li conoscono), di sottolineature social che hanno centuplicato il numero di “esperti” grazie a verità rivelate quasi dal divino.

L’informazione e la ricerca si basano su professionalità ben precise, sono laiche, sono attente e non influenzabili da vari moti d’anime.

Covid e post-Covid, la ricerca dell’Università di Zurigo

Secondo i ricercatori che hanno ultimato lo studio, bisogna informare adeguatamente i pazienti, gli operatori sanitari e i responsabili politici. Come si legge nelle prime righe del rapporto, deve essere chiarito un concetto: “La condizione post-covid-19 colpisce il 20-30% delle persone non vaccinate da tre a sei mesi dopo l’infezione da SARS-CoV-2 […] non solo è importante determinare la prevalenza, ma anche il suo corso naturale nel tempo. Man mano che si accumulano prove sul notevole onere per la salute pubblica della condizione post-covid-19, sono necessari studi clinici per stabilire interventi che accelerino il recupero o forniscano sollievo per i sintomi associati […] Diversi studi hanno valutato gli esiti a lungo termine relativi alla condizione post-covid-19 e hanno rilevato che il 22-75% delle persone presentava sintomi per più di un anno dopo l’infezione”.

Il virus SARS-Cov-2, le sue varianti, quindi l’infezione da Covid-19, non colpiscono solo nel periodo della positività o poco oltre, ma stanno svelando una ben più lunga influenza sulla vita di coloro che si sono ammalati. Spesso è una situazione definita come long covid che dà perfettamente l’idea della lunghezza temporale di molti sintomi. Fino al 2021 alcune manifestazioni cliniche erano ancora poco conosciute (se non per nulla) nella loro interazione post Covid. Sono passati altri due anni e il monitoraggio sta continuando. In questo modo arrivano sempre più elementi utili a comprendere la situazione.

Covid e post-Covid, sintomi e problemi di salute nel corso degli anni: ecco i dati

Sono 1.106 le persone non vaccinate, contagiate dal Covid-19, che hanno accettato il monitoraggio e lo studio dei loro dati. Il consenso informato scritto o elettronico è stato ottenuto da tutti i partecipanti.
Di questi, 854 hanno continuato molto oltre alla fase iniziale dello studio e 788 (72%) sono arrivati fino in fondo, quindi fino al 24mo mese.
Tra i partecipanti il 51,2% è rappresentato da donne.
Dei 1.106 iniziali, 48 (4,3%) sono stati ricoverati in ospedale durante un’infezione acuta e 951 (86,0%) sono stati i sintomatici.

Il gruppo è stato messo a confronto con 628 affini per età e condizioni che non si sono mai ammalati di Covid.

Rispetto a chi non ha accettato di prendere parte allo studio, i partecipanti erano in media più giovani.

Chi è guarito dal Covid ha presentato un rischio maggiore al sesto mese dall’infezione per problemi di salute come l’alterazione del gusto o dell’olfatto (9,8%), la possibilità di un malessere dopo aver fatto uno sforzo (9,4%), mancanza di fiato (7,8%), problemi di salute mentale come riduzione della concentrazione (8,3%) e ansia (4%).

I vari passaggi per il monitoraggio post infezione sono stati fatti a 6, 12, 18 e 24 mesi dopo l’infezione: hanno riguardato lo stato di recupero per il quale ai partecipanti è stato chiesto se si fossero ripresi rispetto al loro stato abituale prima dell’infezione e rispetto allo stato di salute generale (il metodo di calcolo e classificazione dei risultati lo trovate nella pagina della ricerca).
Gli esiti secondari includevano la prevalenza puntuale e la gravità di 23 sintomi a 6, 12, 18 e 24 mesi dall’infezione.
Di ogni persona i ricercatori conoscevano il quadro clinico preesistente e/o cronico.
Quindi, c’è stata una raccolta tramite questionari elettronici su dati sociodemografici, comorbilità preesistenti auto-riferite come ipertensione, diabete mellito, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, malattie renali croniche, tumori maligni attuali o pregressi e soppressione immunitaria. E ancora, lo stato di salute prima dell’infezione, dettagli sull’infezione acuta, ossia, presenza e severità auto-dichiarata dei sintomi e ricovero.
I questionari includevano domande relative ai sintomi e alla salute fisica e mentale. Sono stati completati a due settimane e a 1, 3, 6, 9, 12, 18 e 24 mesi dopo l’infezione. Il tasso di risposta fino a 12 mesi variavano tra l’88% e il 96%.

– Lo ribadisco subito per inquadrare lo scenario-conclusione dello studio: nonostante una diminuzione della gravità dei sintomi e dei danni alla salute nel corso dei mesi trascorsi dal contagio, il 18% delle persone infette non vaccinate è colpito dalla tipica condizione post-covid-19 a due (2) anni dall’infezione

Ad ogni tappa del monitoraggio sono stati valutati lo stato di salute relativo, la prevalenza e la gravità di ciascuno dei sintomi tra le persone infette da SARS-CoV-2, come sono stati evidenziati i cambiamenti nello stato di salute e i sintomi correlati al covid-19 tra i 6 e i 24 mesi.

  • Tra i partecipanti allo studio, il 5,2% ha avuto un peggioramento dello stato di salute e il 4,4% ha alternato periodi di recupero con quelli di compromissione della salute.

Come riportato graficamente nella figura 2 che ho riportato più in basso, per i monitorati la gravità dei sintomi correlati al covid-19 è diminuita nel tempo, con il 18,1% che ha riportato sintomi a 24 mesi, mentre l’8,9% dei partecipanti ha riportato sintomi in tutti e quattro i tempi di follow-up.
Di contro, nel 12,5% dei casi i sintomi erano alternativamente assenti/presenti in tutto il periodo di tempo analizzato.

Complessivamente, il 55,3% ha riferito di essere tornato al normale stato di salute in meno di un mese dopo l’infezione, mentre il 17,6% ha riportato il recupero entro uno/tre mesi.

Nel giro di 6 mesi dall'infezione il 22,9% dei partecipanti non si era ancora ripreso, mentre il 16,2% aveva lievi problemi di salute, il 3,6% moderati problemi e il 2,7% presentava gravi problemi di salute.
In tempi più lunghi la mancata guarigione è per il 18,5% degli individui analizzati a 12 mesi dall'infezione, al 19,2% dopo 18 mesi e al 17,2% trascorsi 24 mesi.
Su quest'ultimo termine dei 24 mesi -  due anni - dall'infezione Covid, il 10,4% delle persone presenta lievi problemi di salute, il 3,9% ha moderati sintomi e l'1,9% riporta gravi problemi.

Anche se la maggior parte (89,2%) dei partecipanti che ha riportato sintomi correlati al covid-19 ha fatto notare il mancato recupero a 24 mesi, il 5,8% di quelli con sintomi correlati al covid-19 ha dichiarato di essersi completamente ripreso.

Affaticamento, malessere post-sforzo, alterazione del gusto o dell’olfatto, dispnea e riduzione della concentrazione o della memoria sono stati i sintomi prevalenti in ogni momento dello studio.

Una percentuale maggiore di partecipanti che sono peggiorati o che hanno riportato sintomi in tutti i momenti del monitoraggio, aveva 65 anni o più. Inoltre, una percentuale più alta aveva riportato malessere post-sforzo a sei mesi.

Osservando gli esiti tra tutti gli individui infetti (figura 4 più in basso), c’è stato un aumento della percentuale di partecipanti che hanno riportato esiti avversi per la salute poco dopo l’infezione.
Entro un mese dall’infezione la percentuale di partecipanti con esiti avversi ha iniziato a diminuire e, entro 24 mesi, era simile ai livelli basali prima dell’infezione:

  • 36,8% (dal 32,4% al 41,5%) con affaticamento sul FAS (Stanchezza, astenia e malessere generale),
  • 23,4% (dal 19,6% al 27,7%) con dispnea di grado ≥1 sulla scala mMRC;
  • 12,5% (da 9,8% a 15,9%) con depressione;
  • 11,7% (da 9,1% a 15,0%) con ansia;
  • 7,0% (da 5,1% a 9,6%) con stress DASS-21 (scala di depressione e ansietà);
  • 38,8% (dal 34,4% al 43,4%) con qualsiasi problema su EQ-5D-5L (indice di misurazione della qualità della vita e stato di salute).

Tra gli individui che hanno riferito di non essersi ripresi dopo 6 mesi, una percentuale più elevata ha riportato esiti avversi per la salute basale rispetto alla popolazione complessiva di infetti.

Inoltre, la percentuale di persone che nel tempo hanno riportato esiti avversi per la salute è diminuita più lentamente. Gli esiti sono qui riportati tra i partecipanti a 24 mesi dall’infezione:

  • 50,5% affaticamento (FAS – Stanchezza, astenia e malessere generale);
  • 43,5% dispnea di grado ≥1 (scala mMRC);
  • 27,6% con depressione,
  • 28,9% con ansia;
  • 16,2% con stress (DASS-21);
  • 64,8% con problemi di qualità della vita correlata alla salute.

Conclusione della ricerca: Fino al 18% delle persone che non erano state vaccinate prima dell’infezione presentava una condizione post-covid-19 a due anni dopo l’infezione, con evidenza di un eccesso di rischio di sintomi rispetto al gruppo di controllo.

Sono necessari interventi efficaci per ridurre il peso della condizione post-covid-19.

L’uso di molteplici misure di esito e la considerazione dei tassi attesi di recupero e dell’eterogeneità nella presentazione dei sintomi sono importanti nella progettazione e nell’interpretazione degli studi clinici.

I ricercatori e gli enti di riferimento che hanno portato avanti lo studio:

  • Tala Ballouz, ricercatore post dottorato
  • Dominik Menges, ricercatore post dottorato
  • Alexia Anagnostopoulos, ricercatrice senior
  • Anja Domenghino, dottoranda
  • Hélène E Aschmann, ricercatrice post dottorato
  • Anja Frei, ricercatrice senior
  • Jan S Fehr, professore
  • Milo A Puhan, professore.
  • Istituto di epidemiologia, biostatistica e prevenzione, Università di Zurigo, Svizzera
  • Dipartimento di chirurgia viscerale e dei trapianti, Ospedale universitario di Zurigo, Svizzera
  • Dipartimento di Epidemiologia e Biostatistica, Università della California San Francisco, California, USA

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di PlusBrothers Il Mondo Positivo ha detto:

    Pensa che qualche settimana fa stavo per litigare con un blogger (non faccio nomi) che diceva su un parente “lui era uno di quelli su ‘i vaccini ci salveranno’ ed è morto di covid” poi mancava il dettaglio (paziente oncologico grave). Ho evitato di insultare solo perché questo è un profilo che usiamo in due e rovinarci la reputazione per un flame non era proprio il caso.

    Purtroppo sembra esser venuto meno il senso di comunità e coscienza collettiva allora uno finisce per pensare solo al proprio culo senza però accorgersi delle conseguenze; possiamo pubblicare quante ricerche e documenti vogliamo, ma questa gente penserà sempre di stare male solo per colpa degli altri.

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    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      Ecco, l’omissione del particolare fondamentale. Tutto per dare credito a una tesi assurda.
      A Trapani una giovane pianista che conosco aveva un padre 45enne contrario al vaccino. Lui ha preso il Covid nel 2021, era in perfetta salute ed era uno sportivo. Non ce l’ha fatta. Solo in quel momento madre e figlia si sono vaccinate, ma avevano perso un marito, un papà.
      Non arrivo a comprendere. Il passaparola idiota ha mietuto un mare di vittime.
      Stessa sorte per un compagno di scuola di mia madre, deceduto all’ospedale Cannizzaro nel catanese. Anche lui non vaccinato.
      Altro caso, una vecchia amica di mia madree di sua sorella mia zia: M. Faceva parte di una famiglia storica catanese, persona in vista, ma col pallino di fare l’alternativa, così è finita in un gruppo quasi setta, contrario ai vaccini. Non vaccinata, era in perfetta salute, senza patologie pregresse. È morta l’anno scorso per forti complicazioni polmonari e cardiache da Covid. Perché per quanto si siano affinati i trattamenti terapeutici in caso di infezione da virus SARS-Cov-2 e sue varianti, continuano a esserci casi in cui non si riesce a vincere l’affezione.
      Ma poi perché, sopravvivendo, rischiare di avere anche conseguenze a lungo termine?
      Non comprendo questa voglia di giocare alla roulette russa con la propria salute e con quella di altri.
      Mia madre, fortemente allergica a più cose, ha accertato nel passato che non può farsi il tradizionale vaccino contro la normale influenza. Ma dopo accertamento.
      Per il vaccino contro il Covid ha avvertito del suo problema e dopo un primo intoppo con incompetenti e mala organizzazione di una struttura sanitaria romana (no, non ha rischiato nulla, è stato un altro tipo di problema), si è vaccinata la prima, la seconda ecc fino alla quarta dose. Non era reattiva al vaccino anti Covid, la prima volta il personale era pronto in caso di reazione allergica e poi è andata avanti. Del resto il preparato a mRNA è del tutto differente nei componenti rispetto al normale vaccino antinfluenzale.
      Alcuni comportamenti umani somigliano alla diffidenza tra il trascendente e il condizionamento da isolamento tipiche di tribù millenarie che mai sono entrate in contatto col resto del mondo. Non saprei come spiegarmelo in altro modo

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  2. Avatar di PlusBrothers Il Mondo Positivo ha detto:

    Poi mettici i programmi tipo “fuori dal coro” che intervistano familiari -,vulnerabili- di persone morte improvvisamente e al Giordano novax di turno non par vero di berciare “ha stato il vaxxxino”! Senza perizie medico-legali né niente. La deontologia professionale del giornalista se ne sta andando.

    Ti saranno fischiate le orecchie in questi giorni per tutte le volte in cui ho pensato a te e il tuo lavoro sempre fondato su ricerca e documentazione, di fronte a colleghi tuoi che invece per un click in più vanno a scavare nella vita privata di chi sta elaborando un lutto.

    Sei stato un signore a non aver detto una parola sul dramma del momento, che non menziono ma hai sicuramente compreso.

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    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      No, su quell’assassinio non ho detto nulla. Avrei potuto fare qualche considerazione personale, ma sarei caduto sull’ovvio a meno di non condirlo con alcune osservazioni del mio cugino psicoterapeuta.
      Giordano? Dopo le prime due volte non ho più guardato il programma: il giornalismo-spettacolo non fa per me, ancora meno se osserva le cose solo da una prospettiva. Ma a prescindere che sia lui o qualcun altro o da testata fortemente schierata che involgarisce la professione.
      Su alcuni colleghi che fanno di tutto per un click in più, è conseguenza della trasformazione del mestiere: da una parte gli editori che sottopagano fortemente e vogliono solo riempire i loro spazi senza controllare qualità e correttezza della verifica; dall’altra il desiderio di guadagnarsi la pagnotta in qualche modo visto che dalle testate vengono fuori pochi spiccioli.
      Il mondo dell’informazione e del giornalismo oggi è estremamente malato. Altro che Covid! E dura ormai dalla fine degli anni 90.

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      1. Avatar di PlusBrothers Il Mondo Positivo ha detto:

        A me fa schifo già il fatto che vadano a spulciare nei profili social dei protagonisti – e vale anche per i cosiddetti “medici eroi” i cui post vengono pubblicati per “convincere la ggggente a vaccinarsi”.

        Adesso scommetto che quando la ricerca di cui parli andrà in giro questi verranno a dire “18 per cento è una percentuale risibile”. No, non lo è. Sottotitolo “accade sempre agli altri”.

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        1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

          Brevemente racconto. Ho iniziato con fatti di cronaca. Anno 1994, per la testata giornalistica di Spazio Radio, un GR ogni ora. Il mio primo servizio esterno fu per un omicidio a Roma, piazza Re di Roma. Da allora fino a diversi anni successivi, fu sempre così, bisognava raccontare storie di vita che stavano a monte di un omicidio, di un suicidio, di un incidente. Il giornalista deve spiegare il perché delle cose. Non ci si può basare solo su quanto ti vogliono comunicare forze dell’ordine e magistrati. Il giornalista dovrebbe essere il cardine di congiunzione con fatti sociali e situazioni. Anche a costo di fare azioni molto scomode, sentire parenti di deceduti e cose simili. A volte trovi chi vuole raccontarti di tutto, forse in un impeto liberatorio dell’emotività, altre volte si chiudono a riccio, d’altra parte la natura umana detta differenti emozioni e azioni. Questo tipo di lavoro è estremamente scomodo, appare come ripugnante, ma se fatto bene e con i dovuti modi, permette di allacciare ottimi rapporti che possono pure protrarsi nel tempo e non solo per aggiornamenti sulle disgrazie vissute.
          Poi si sono aggiunti i social e, se non si sta attenti e non si agisce solo come predatori, può pure andare bene. In caso contrario si preleva un’esistenza social che non combacia tutta con quella reale e la si sbatte in pagina o in video e non va bene: questo è giornalismo da scrivania che non verifica tutto e non consuma le suole delle scarpe.

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