Aldo Moro e i Costituenti, la “famiglia naturale” preesistente e autonoma rispetto allo Stato, non legata a dettami di qualsiasi natura

Argomento complesso quello che vede in primo piano la “famiglia naturale” così come fu intesa ed espressa dai Costituenti e così come fu descritta da Aldo Moro.

Quest’uomo di preparazione e ispirazione cattolica fu una delle menti italiane più brillanti e preparate, ucciso infine nel 1978 dalle Brigate Rosse, il drammatico rapimento a via Fani (link), il massacro della sua scorta. Il 9 maggio 1978 i terroristi fecero ritrovare il suo cadavere nel bagagliaio di una Renault 4 di colore rosso lasciata in via Caetani a Roma.

Tornando a 32 anni prima, Aldo Moro fu limpido e innovatore sulla famiglia naturale, considerando che era il 1946.

Qui di seguito inserisco quanto pronunciò Moro, il 5 novembre 1946, alla I Sottocommissione per la Costituente, durante la discussione dell’articolo 29.
La base di partenza del confronto politico fu la proposta di articolo «La famiglia è una società naturale e come tale lo Stato la riconosce e ne tutela i diritti, allo scopo di accrescere la solidarietà morale e la prosperità materiale della Nazione».

“Quando si dice che la famiglia è una società naturale – disse Moro – non ci si deve riferire immediatamente al vincolo sacramentale; si vuole riconoscere che la famiglia nelle sue fasi iniziali è una società naturale.

Pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare anche una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale.

Mettendo da parte il vincolo sacramentale, si può raffigurare la famiglia nella sua struttura come una società complessa non soltanto di interessi e di affetti, ma soprattutto dotata di una propria consistenza che trascende i vincoli che possono solo temporaneamente tenere unite due persone”.

Poco prima, nella stessa seduta, ecco la relazione sulle parole di Moro “… nella formula (dell’articolo proposto in Sottocommissione) occorre vedere due parti distinte. La prima riguarda l’affermazione generale per cui la famiglia è intesa come un ordinamento originario; e non crede che su tale affermazione possano sorgere contrasti. La seconda parte riguarda più specificatamente il coordinamento dell’ordinamento familiare con quello dello Stato, e riconosce la necessità che individuo e famiglia fluiscano nell’ambito della vita sociale assumendo in essa tutte le loro responsabilità. Per sottolineare poi l’importanza che ha la famiglia nell’ambito della vita sociale e l’opportunità che lo Stato la difenda, si dice che esso la difende anche in quanto vede in essa la cellula di una società ordinata sotto il profilo della saldezza morale e della prosperità”.

Il punto poi ebbe come confronto la stessa definizione di famiglia, se “famiglia naturale” o la “famiglia è una società di diritto naturale”.

Umberto Tupini, presidente dell’assemblea in I Sottocommissione rilevò che… la formula concordata dai relatori non può essere accettata senza modificazioni, perché, ad esempio, dicendo «società naturale» si adopera un termine troppo vago. Si deve invece affermare il diritto dell’individuo e della famiglia di fronte allo Stato; un diritto, cioè, che preesiste a quello dello Stato, un diritto originario. Considerata la questione dal punto di vista storico e prescindendo da ogni preconcetto filosofico o ideologico, non vede per quale ragione si debba dire che la famiglia è una «società naturale» e non piuttosto che la famiglia è «una società di diritto naturale», in quanto si è formata prima dello Stato e come tale lo Stato la riconosce e tutela. Dire che la famiglia è «una società naturale» dà della famiglia umana un concetto meno appropriato.
Per queste ragioni, è del parere che la formula che egli propone: «La famiglia è una società di diritto naturale e come tale lo Stato la riconosce e tutela» renda meglio il pensiero comune e quindi sia da preferire.

Il difficile cammino verso la definizione di famiglia naturale e per la votazione finale dell’articolo 29 della Costituzione

In questo modo la Costituzione della Repubblica Italiana, all’articolo 29, comma 1, tutto sancito il 23 aprile 1947, recita «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».

Non fu per nulla facile arrivare a questa definizione e, fatto unico per gli articoli della Costituzione, ci si arrivò con voto segreto (!)

Fatto salvo questo punto che fu formulato dai nostri Costituenti, resta quindi da applicare interamente quello che fu il pensiero di Aldo Moro sulla famiglia naturale, sulla famiglia “comunque costituita“.
Lascio immaginare a voi lettori.

A ridosso della definitiva votazione degli articoli, quello sulla famiglia non aveva la forma divenuta poi definitiva e approvata.

I Costituenti e le forze politiche si contrapposero e discussero sulla questione dell’indissolubilità del matrimonio: doveva essere inserito o meno nell’articolo?
Era in gioco quindi la possibilità futura del divorzio, questione tanto a cuore del Partito Comunista e non a quello del mondo cattolico… almeno apparentemente.

Immaginatevi il parapiglia quando il 15 gennaio 1947, in seduta all’interno della Commissione, venne fuori la proposta al comma 2 dell’articolo 29: «Il matrimonio è basato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
La legge regola la loro condizione allo scopo di garantire l’indissolubilità del matrimonio e l’unità della famiglia
».

C’erano in vista anche le elezioni politiche dell’aprile 1948, le prime della Repubblica, contraddistinte dalla forte contrapposizione fra cattolici e comunisti.

In aggiunta, molti conflitti interni erano presenti anche nelle diverse parti politiche, fra i genitori della Carta costituzionale della Repubblica.

Così, per la definitiva votazione dell’articolo 29 riguardante il punto famiglia fu chiesto di ricorrere allo scrutinio segreto.

I comunisti non potevano essere apertamente per il divorzio e quindi bocciare l’indissolubilità del matrimonio perché tra i loro votanti c’erano tanti cattolici.

I democristiani, quindi cattolici, non potevano rinunciare all’inviolabilità del matrimonio, ma non c’era piena chiarezza.

Non avveniva da 60 anni un voto segreto, inoltre non era stato fatto per nessuno degli altri articoli della Costituzione repubblicana e la richiesta fu fatta in base ad un vecchio regolamento della Camera dei deputati.

L'Assemblea Costituente della Repubblica italiana era composta di 556 deputati. Fu eletta il 2 giugno 1946. Prima seduta il 25 giugno a palazzo Montecitorio. I lavori andarono avanti fino al 31 gennaio 1948. In tutto si tennero 375 sedute pubbliche. Di queste 170 furono dedicate alla discussione e all'approvazione della nuova Costituzione.

Il 15 gennaio 1947 la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria discusse sulla famiglia. Parlava il presidente Meuccio Ruini:

Le donne che fecero parte dell'Assemblea Costituente:
Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino
Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Leonilde Iotti, Teresa Mattei
Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio

Moro ricorda che la formula: La «famiglia è una società naturale» fu adottata dalla prima Sottocommissione quasi all’unanimità. Precisa che essa fu proposta dall’onorevole Togliatti, il quale, dopo discussione, concordò su questo punto che nella Costituzione si dovesse dichiarare il carattere naturale della famiglia in quanto società. E poiché da taluni si obietta che si verrebbe a inserire nella Carta costituzionale una definizione, precisa che, sostanzialmente, non è affatto una definizione, anche se ne ha la forma esterna, in quanto si tratta in questo caso di definire la sfera di competenza dello Stato nei confronti di una delle formazioni sociali alle quali la persona umana dà liberamente vita.
La famiglia è una società naturale. Che significa questa espressione? Escluso che qui «naturale» abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui «naturale» sta per «razionale».

D’altra parte, non si vuole escludere che la famiglia abbia un suo processo di formazione storica, né si vuole negare che vi sia un sempre più perfetto adeguamento della famiglia a questa razionalità nel corso della storia; ma quando si dice: «società naturale» in questo momento storico si allude a quell’ordinamento che, perfezionato attraverso il processo della storia, costituisce la linea ideale della vita familiare.

Quando si afferma che la famiglia è una «società naturale», si intende qualche cosa di più dei diritti della famiglia. Non si tratta soltanto di riconoscere i diritti naturali alla famiglia, ma di riconoscere la famiglia come società naturale, la quale abbia le sue leggi e i suoi diritti di fronte ai quali lo Stato, nella sua attività legislativa, si deve inchinare. Vi è naturalmente un potere legiferante dello Stato che opera anche in materia familiare; ma questo potere ha un limite precisamente in questa natura sociale e naturale della famiglia.

Si dice poi nella formula: «e come tale lo Stato ne riconosce i diritti»: vi è quindi una sequenza logica e si completa il pensiero che per noi è caro e sul quale si è avuto anche l’accordo dell’onorevole Togliatti e di altri colleghi di parte comunista.

La famiglia naturale come diritto fondamentale e precedente allo Stato fu espressione scelta per tirare una linea di separazione dal fascismo e dal nazismo che avevano invaso la sfera familiare in maniera totalitaria assoggettandola allo Stato.
Adesso il concetto sul rapporto famiglia/stato doveva essere radicalmente opposto.

Su questo punto si espresse Giorgio La Pira. Riassumo le due fasi solo in alcune parti:

1) il totalitarismo negò in radice l’esistenza di diritti originari dell’uomo, anteriori allo stato: esso anzi, accogliendo la teoria dei «diritti riflessi», fu propugnatore ed esecutore di questa tesi: – non vi sono, per l’uomo, diritti naturali ed originari; vi sono soltanto concessioni, diritti riflessi: queste «concessioni» e questi «diritti riflessi», possono essere in qualunque momento totalmente o parzialmente ritirati, secondo il beneplacito di colui dal quale soltanto tali diritti derivano, lo Stato. […] Non lo Stato per l’uomo, ma l’uomo per lo Stato: la dottrina egheliana otteneva una integrale trascrizione nell’esperienza costituzionale e politica dello Stato fascista e nazista.
Veniva così in radice annullata la fondamentale conquista giuridica e politica della civiltà cristiana. […]
Se non esiste nessuna anteriorità metafisica dell’individuo rispetto allo Stato e se, anzi, è proprio lo Stato a possedere questa anteriorità metafisica rispetto all’individuo, come è sostenibile l’esistenza di diritti originari dell’uomo che facciano da limite alla «assoluta» sovranità dello Stato? Se lo Stato è il prius e l’individuo è il posterius, la teoria della sovranità assoluta e dei diritti riflessi ha un fondamento incrollabile.
Crisi giuridico-politica e crisi metafisica della persona si richiamano come l’effetto richiama la causa: in questa duplice crisi sta l’essenza dello stato totalitario e, quindi, del fascismo e del nazismo.

2) Quale compito viene dunque affidato alla nuova Costituzione italiana perché sia almeno costituzionalmente superata questa crisi?
La risposta è evidente: riaffermare solennemente i diritti naturali — imprescrittibili, sacri, originari — della persona umana e costruire la struttura dello Stato in funzione di essi. Lo Stato per la persona e non la persona per lo Stato: ecco la premessa ineliminabile di uno Stato essenzialmente democratico.

Il preambolo della Dichiarazione del 1789 (ripetuto nella Costituzione del 1793) possiede oggi, per tutta l’Europa, una attualità singolare: esso dice: «I rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le sole cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili, e sacri dell’uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principî semplici ed incontestabili si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione ed alla felicità di tutti».
Ebbene: la Dichiarazione dei diritti nella nostra nuova Costituzione deve avere appunto questa funzione: indicare quale è il fine di ogni istituzione politica: mostrare, cioè, che lo Stato deve costruirsi in vista della persona e non viceversa: ed indicare, con quanta più precisione e completezza è possibile, quali sono questi diritti essenziali ed originari dell’uomo, alla tutela dei quali deve volgersi l’apparato costituzionale e politico dello Stato. Ma per dare un solido fondamento a questa sua finalità giuridica e politica, la costituzione non può trascurare un’affermazione metagiuridica e metapolitica del valore della persona: esistono dei diritti naturali dell’uomo, esiste una anteriorità dell’uomo rispetto allo Stato, l’uomo ha valore di fine e non di mezzo perché la natura dell’uomo è spirituale e trascende, quindi, tutti i valori del tempo.
Questa radice spirituale e religiosa dell’uomo è la base sulla quale soltanto è possibile solidamente costruire l’edificio dei diritti naturali, sacri ed imprescrittibili.

In breve, si doveva ristabilire la prevalenza dei diritti naturali – imprescrittibili, sacri, originari – della persona umana.

Dovevano essere riaffermati anche quei diritti naturali di eguaglianza, di libertà e tutela dei diritti sociali come il diritto al lavoro, al riposo, all’assistenza: senza questi ultimi non c’è garanzia di libertà e di indipendenza.

Rispetto anche dei diritti della comunità familiare, della comunità religiosa, della comunità di lavoro, della comunità locale, della comunità nazionale – sottolineò La Pira – perché la persona è necessariamente membro di ognuna di queste comunità, e ne possiede lo status: la violazione dei diritti essenziali di queste comunità costituisce una violazione dei diritti essenziali della persona umana ed indebolisce o addirittura rende illusoria quelle affermazioni di libertà, di autonomia e consistenza sociale che sono contenute nelle dichiarazioni dei diritti.

Professore di diritto penale e di istituzioni di diritto e procedura penale, Aldo Moro fu rappresentante della Democrazia Cristiana nella Costituente entrando nella Commissione dei 75.
Più volte ministro e presidente del consiglio italiano dal dopoguerra in poi, segretario della DC nel 1959, protagonista del dialogo fra democristiani e socialisti instaurando governi di centrosinistra.
L'obiettivo per lui fu sempre l'allargamento della maggioranza per un rinnovamento profondo delle condizioni di vita sociali, economiche e politiche in Italia dirigendo la politica verso una sempre maggiore "strategia dell'attenzione" sul Partito Comunista Italiano.
Un'espressione fra tutte dovrebbe ricordare quei tempi: "compromesso storico".

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