Deiana: in Italia la Pandemia Covid-19 fa emergere l’incapacità di progettare, di sostenere settori chiave del Paese. La salvezza? Nuovi sistemi e nuove soluzioni

Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni: “Sui ristori, no codici Ateco. Bisogna ragionare per macroaree e mirare alle fragilità del settore produttivo che determinano il gettito fiscale, il mercato, lo stato occupazionale. Bisogna risolvere le debolezze strutturali dovute alla burocrazia opprimente, alla gracilità del sistema sanitario, all’incapacità progettuale – anche politica – di andare a latere su piani strategici e attuarli. Impera la visione a brevissimo, non si va oltre: i manager delle imprese però sono continuamente analizzati e rispondo agli azionisti. I politici e i pubblici amministratori utilizzano il denaro dei contribuenti e non ne rispondono. Il tema è, come si cambia questo mondo? Con quale sistema e da subito? Bisogna pensare a cose nuove. L’unico modo per poter scuotere il sistema è cambiare sistemi e soluzioni”.

Ristori quater, suddivisione-ripartizione delle risorse a sostegno del tessuto produttivo. Tutto viene analizzato. La prima impressione è che la visione strategica alla base di tutto questo risulti mancante anche nell’applicazione immediata ed efficace.

A dipingere un affresco chiaro su distorsioni e difetti, è Angelo Deiana, economista, presidente di Confassociazioni, Confederazione di associazioni di professionisti e imprese che conta su 1.215.000 iscritti, 685 associazioni e circa 210.000 imprese.

Angelo Deiana, economista e presidente di Confassociazioni

Giuseppe Grifeo – Questi benedetti ristori, versione “quater”, sono stati progettati bene, male? Cosa manca? La visione del piano a sostegno del tessuto produttivo è efficace? Può esserlo? Occorreva e occorre una forte mutazione nell’immaginare, nel pianificare?

Angelo Deiana – Il primo ragionamento che va fatto è cercare di comprendere quali sono gli aggregati. Perché tra le tante misure precedenti e attuali, il rilancio di agosto e via dicendo, il tema vero è che tutto questo sembra una bellissima comunicazione, ma sotto la forma del gioco delle tre carte.

In realtà gli aggregati dicono che questo governo, dall’inizio della pandemia, ha fatto 108 miliardi di ulteriore deficit per l’anno 2021. Questi miliardi sono l’aggregato che è stato messo a disposizione per l’eventuale rilancio. Impulso in avanti che poi non c’è stato, se non per tre mesi: il famoso trimestre nel quale abbiamo fatto 15,9% di PIL, apporto che doveva servire a supportare il primo lockdown e una serie di soggetti – i 600 euro piuttosto che i mille -, poi altri soggetti durante questa seconda ondata Covid-19 con il gioco dei tre colori assegnati alle aree regionali.

GG – Allora cerchiamo di mettere a fuoco l’azione italiana per il sostegno al sistema economico, ancora meglio se paragonata a realtà europee.

AD – Il paragone immediato arriva dalla Germania con i suoi 83 milioni di abitanti, 23 milioni in più dell’Italia: complessivamente ha stanziato una cifra pari a 284 miliardi.

Quindi, significa che la stessa Germania, facendo un semplice calcolo aritmetico-massivo, senza distinzioni alcuna tra codici Ateco, ricchi e poveri, tra chi ha perso il 33% del proprio fatturato e chi no, ha stanziato circa 3.400 euro per cittadino (284 miliardi diviso gli oltre 83 milioni circa di cittadini).

L’Italia per i suoi 60 milioni di abitanti ha stanziato l’equivalente di 1.660 euro per ognuno dei suoi cittadini. Con gli otto miliardi in più si arriverà pure a 1.800 euro per ogni italiano? Resta comunque poco più della metà di quanto stanziato dalla Germania.

Angelo Deiana agli “Stati generali”, Roma, Villa Pamphilj, incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, lo scorso 19 giugno 2020

Il macro aggregato da considerare prima di ogni cosa è proprio questo. La grande Germania ha investito nel suo sistema produttivo sostenendo grandemente la sua struttura-paese. E la Germania non è una Nazione spendacciona, proprio per nulla: i tedeschi sono quelli dell’austerity e dell’efficienza.

Quindi, in termini di risorse assolute, il tema è – pur avendo l’Italia meno disponibilità di bilancio – che il nostro Paese ha messo la metà delle risorse a sostegno del supporto rispetto alla pandemia.

Secondo macro aggregato: la Germania, considerando i suoi 284 miliardi, ne ha messi quasi 150 per le imprese e il lavoro autonomo.

In Italia, dello stanziamento finale totale di 108 miliardi, ne sono stati assegnati nemmeno 30 per le imprese, per le partite iva giuridiche e per le partite iva autonome. Tutto questo si traduce in una fetta di circa il 30 per cento del totale.

Al contrario, i tedeschi hanno destinato per la stessa tipologia economica, per le imprese, il 55 per cento del loro stanziamento totale.

GG – C’è anche da considerare che la crisi da Pandemia ha colpito duramente alcune realtà, ma tante altre sono cresciute. È una “crisi asimmetrica”, come lei stesso ha più volte sottolineato.

AD – C’è nei fatti una logica di impatto asimmetrico di questa pandemia. Ci sono dei settori che economicamente vanno benissimo e continuano ad andare sempre meglio, come sanità, salute, farmaceutica, logistica, commercio elettronico e alimentari per la grande distribuzione.

Tutti gli altri vanno male, in particolare i servizi, perché in un mondo incerto, la prima cosa che ognuno fa è non acquistare beni e servizi non essenziali. Per comprendersi meglio con un esempio, anche se la tua impresa ha bisogno di consulenza strategica, per adesso non te la compri.

Già all’interno di questo aggregato si vede la differenza fra Germania e Italia, proprio sulla base della ripartizione del sostegno all’economia: a parità di risorse, fermandosi quindi ai famosi 108 miliardi stanziati dall’Italia, si dovrebbero assegnare almeno 60 miliardi alle imprese, rispettando le proporzioni “alla tedesca” sulla distribuzione dello stanziamento totale.

Come ho già sottolineato, i tedeschi non sono di certo degli spendaccioni. Loro sanno perfettamente che, come accadrà presto, una serie di imprese chiuderà.

In Italia si stima che, più o meno, circa il 25 per cento delle nostre imprese chiuderà i battenti. Dipenderà anche dai “comportamenti” dei diversi settori per la crisi asimmetrica della pandemia. Queste imprese che smetteranno di esistere sono principalmente della fascia micro, hanno mediamente tra zero e 9 dipendenti.

Perdendo il 25 per cento su circa 4 milioni di imprese, ne chiuderanno un milione? Saranno di meno? Fissiamo a 500.000 il numero delle imprese italiane che cesseranno l’attività a fine pandemia.

Con una semplice moltiplicazione, considerando 500.000 imprese chiuse per una media di 4 dipendenti ognuna, si avrà la perdita di 2 milioni di posti di lavoro.

Proprio considerando queste conseguenze e pericoli, in Germania si investe sulle imprese per evitare di perdere capacità produttiva. Un’impresa che chiude non paga le tasse per quell’anno, ma anche per i successivi. Si perde capacità anche la fiscale delle persone e si perde capacità occupazionale.

Quindi, l’aiuto alle imprese va fatto non perché queste sono belle e i lavoratori sono brutti: va fatto perché mantenere vive le imprese si traduce nel mantenimento di capacità fiscale e capacità occupazionale, oltre che capacità produttiva per il futuro.

Questo è il senso distintivo dell’aggregato macro.

Il sistema che è stato trovato in Italia, zona rossa, zona arancio, zona gialla, che pure funziona sulle curve epidemiche e ha una sua intelligenza di fondo, però non funziona sul tema dei ristori.

GG – Ecco un’altra nota dolente. Chiariamo meglio questa non funzionale relazione tra ristori e le regioni dai diversi colori pandemici.

AD – Il ristoro bisognava darlo “piatto”, proprio perché la crisi è asimmetrica. Non andava progettato basandosi sui codici Ateco, ma su una serie di categorie.

Un esempio pratico: il commercialista a cui chiudono dieci bar, tutti suoi clienti, perde inevitabilmente fatturato.

Bisognava ragionare non di codice Ateco ma di filiera. Invece, per questa mania sanzionatoria che etichetta – a prescindere – alcuni come evasori, altri come “banditi” e tanti altri in numerosi modi negativi, stanno sostanzialmente punendo un insieme di professioni e di partite iva – giuridiche e personali – che stanno subendo impatti sul fatturato, ma che non possono essere ristorate.

Per questo si doveva fare un provvedimento di tipo massivo individuando delle griglie, ma non possono essere i codici Ateco. Anche perché quando una regione passa da rossa o arancione a gialla, non si prende nulla, niente. Come funzionano i codici Ateco e i ristori con il gioco dei semafori?

Il vero problema è strategico.

GG – Il problema tassazioni: non tolte, ma rimandate, quindi pagamenti che nel dopo andranno fatti.

AD – Le stesse tasse non sono cancellate, ma rinviate anche se a livello centrale hanno messo da parte un fondo. Per comprendersi al meglio, le tasse dalle partite iva per il 2020 erano già state pagate con gli acconti a novembre e dicembre 2019. Acconti che le partite iva hanno pagato, ma in misura enormemente più alta rispetto a quanto dovevano. Per questo nei conti statali sono accantonati, in un apposito fondo, 5,4 miliardi: avevano già a bilancio un acconto quanto meno simile.

Esempio: come si fa il progetto di bilancio statale 2020? Per quanto riguarda il sistema della tassazione, si prende il fatturato di tasse del 2019, si aggiunge la previsione di crescita che c’è nel Def, così nel bilancio dello Stato si dice che le entrate saranno pari a una cifra X.

Purtroppo, chi ha pagato/anticipato quanto doveva in tasse, i fatturati previsti non li ha avuti per nulla. Sappiamo bene come è andata nel 2020. Quindi, nel bilancio dello Stato c’è un buco e la maggior parte dei soldi vanno a colmare quel buco. Poi, quando le partite iva ripagheranno le tasse ad aprile, verseranno in base al fatturato reale e non su quello ipotizzato a dicembre 2019 quando fu disegnata la legge di bilancio.

È questo che non funziona nel sistema: la maggior parte delle risorse non è andata a imprese e lavoro autonomo, quelli che creano occupazione, ma è andata a pioggia su una serie di ristori, micro, compresi quelli classici come il monopattino elettrico e similari.

Oltretutto, una quota parte di queste risorse sta ancora lì. Una parte del decreto ristori è stato finanziato riducendo il bonus vacanze che ha avuto scarso utilizzo, adoperato da pochi perché il sistema non ha funzionato.

In breve, parlo di gioco delle tre carte. I soldi sono sempre gli stessi.

GG – Il timore è sempre quello, avere strumenti poco “amichevoli” con i contribuenti, difficili se non quasi impossibili da utilizzare dalla parte coinvolte, nei fatti fortemente sottoutilizzati. Un esempio viene dalla recente relazione della Corte dei conti sulla deludente resa del Fondo per il credito alle vittime di mancati pagamenti (link a precedente articolo).

AD – Una parte delle risorse su cui stanno lavorando e su cui hanno lavorato, sia per i decreti ristori, sia per questo fondo dove, sostanzialmente, mettono una toppa al bilancio dal punto di vista delle mancate entrate e che fa slittare tutte quante le tasse ad aprile, è stato finanziato da un fondo che era stato creato per velocizzare i pagamenti della pubblica amministrazione. Un fondo dove hanno ancora fermi almeno 35 miliardi di mancati pagamenti.

Il primo cattivo pagatore di questo fondo cui tu hai fatto riferimento, come comunicato dalla Corte dei Conti, è proprio la Pubblica Amministrazione!

Perché sono andati a pescare da quei 35 miliardi? Perché a livello centrale dopo aver rimpolpato quel fondo di soldi, questo non è stato usato da regioni ed enti locali. Perché questi non lo hanno utilizzato? O non hanno voglia o erano in smart working, oppure non hanno le competenze. Cosa gravissima.

Se invece quelle risorse fossero state sfruttate, ci sarebbe stata un’alimentazione del sistema produttivo, anche quando lo stesso fosse stato bloccato.

Per capirsi, prendiamo il caso del ristoratore che faceva un servizio per la pubblica amministrazione. Un ristoratore che, magari, non era stato pagato per il servizio reso nel 2019. Se questo fosse stato rifuso durante il primo lockdown o dopo, oggi avrebbe avuto delle risorse da reimpiegare e sarebbe stata rimessa in circolo liquidità.

Il problema è sempre quello, basta ricordare la prima intervista che mi hai fatto: è la liquidità.

Invece, è proprio la pubblica amministrazione che non usa gli strumenti necessari e dovuti. È incomprensibile.

GG – Paralisi strutturale, burocratica e procedurale che riguarda anche grandi piani dello Stato.

AD – Abbiamo 120 miliardi di opere infrastrutturali già finanziate, sia come cofinanziamento dell’Unione Europea, sia da finanziamento diretto. Progetti già individuati. In alcuni casi con appalto già assegnato. Eppure, sono tutti bloccati perché da parte dell’amministrazione pubblica non hanno la capacità di tradurli in pratica. Uno di questi progetti è il Ponte sullo Stretto di Messina che è finanziato e appaltato.

Proprio su questo punto viene messo a fuoco l’altro grande tema. A parte il Ponte, attorno al quale girano polemiche di ogni tipo, è chiaro che in questa fase stanno emergendo nodi cruciali.

Ricapitolando, sui decreti ristori vari, il vero problema sono i grandi aggregati: se si vuole rilanciare il Paese, devi spendere, soprattutto in questa fase decisiva in cui la Banca Centrale Europea ti sta supportando come non mai, con lo spread a 110-115.

Secondo grande problema è l’incapacità strategica di fare pianificazione e di realizzarla nella pratica: bravissimi nelle emergenze, ma scarsissimi nella pianificazione e nell’applicazione pragmatica manageriale delle cose. Perché questo è l’altro grande tema, sia per il presente che in prospettiva futura: il fatto che questo grande Paese non sappia fare progetti e anche quando li sapesse fare, non li sa portare a realizzazione. Questa incapacità si riverserebbe per esempio sul MES, ammesso che qualcuno lo voglia prendere e sul Recovery Fundi.

Questa incapacità è strategica e su questo punto bisognerebbe lavorare in termini emergenziali commissariando tutto quanto c’è da commissariare. Altrimenti si rischia di ritrovarsi fra tre anni come in un bidone d’asfalto perché ancora non si sarà fatto nulla. Questo è il nodo veramente preoccupante: non solo il trovarsi in una situazione molto grave, ma l’incapacità di uscirne.

GG – L’incapacità dell’amministrazione pubblica, da quella centrale alle regioni e ai comuni, sembra iniziare dalla rottura del sistema “Prima Repubblica”, momento dal quale la politica e la macchina pubblica sembrano non riuscire più a risollevarsi, non riuscire più a pianificare in maniera adeguata ai tempi, avviluppandosi sempre più in estesi meccanismi di inettitudine.

AD – C’è da sottolineare che all’epoca, parlo del dopo “Mani Pulite”, assistemmo a una palese sostituzione di potere. La politica abdicò. A quel vuoto decisionale si sono aggiunti sempre maggiori guasti.

Oggi, il problema più profondo è che analizzando le conseguenze della Pandemia, il primo argomento cui dare maggiore attenzione sarebbe – ed è – quello degli aggregati economici.

Il secondo argomento è incentrato sul fatto di come la Pandemia sta facendo emergere, oltre all’incapacità di progettare e pianificare, anche tutte le fragilità strutturali del Paese.

L’incapacità, in realtà, è una conseguenza di un sistema che era debole, basato sulle rendite, non efficiente. La Pandemia invece che far da pungolo verso un’azione concreta ed efficace, ha scatenato e palesato ogni debolezza. Vedi lo sciopero dei dipendenti pubblici del 9 dicembre, quanto meno inopportuno in questo momento considerando come non hanno perso un solo euro durante la pandemia.

Poi il tanto discutere se mandare o meno studenti e alunni a scuola, senza considerare che la Pandemia sta costringendo a cambiare il mondo: questa epidemia mondiale è stato il più grande esperimento sociale della storia con 4 miliardi di persone costrette al lockdown duro.

La didattica a distanza vuol dire che professori e alunni, a qualsiasi livello, fermo restando il ritorno a scuola per coltivare la socialità, stanno imparando l’attività educativa del futuro: non si può pensare che l’insegnamento del domani sia svolto solo in presenza, con le modalità del ‘900.

Tra le altre fragilità emerse con la Pandemia, la burocrazia soffocante e la frangibilità/debolezza del sistema sanitario: qui per vincere le grandi battaglie non ci vuole l’efficienza ma la ridondanza: la teoria del caos dice che per vincere una guerra atomica devi essere ridondante; il tuo avversario deve sempre pensare che se anche colpisse con un attacco preventivo, tu avrai almeno un sommergibile nucleare nascosto da qualche parte, capace di colpire e distruggere con una risposta micidiale.

Stessa cosa per la medicina territoriale che deve essere ridondante. Non ci sono i medici perché si è dato seguito alla policy del numero chiuso? Allora si mettano punti ambulatoriali nelle farmacie che sono già sparse sul territorio… e invece no, non si fa perché ci sono le gelosie tra categorie, perché c’è la burocrazia oppressiva.

Altro grande tema, si vuole governare… senza farlo. Si sta scegliendo la “politica dei coriandoli(link ad altra intervista a Deiana che la racconta). Fu così definita nel passato dal mio maestro Giuseppe De Rita, la politica dei bonus a pioggia, la “logica dei bonus, alle babysitter e a tutti gli altri, è stata coriandoli. Il disegno politico finora è stato far volare pezzettini di carta”. Continuando con la politica dei coriandoli non si arriva a nulla. A carnevale finito, una volta lanciati in aria, i coriandoli resteranno a terra, quando i soldi saranno finiti e comincerà la quaresima.

Questa immagine serve per capire che anche sul Recovery Fund, anche sull’eventuale MES, si deve già sapere dove investire i soldi e devi aver creato una filiera verticale che non disperde queste risorse in mille rivoli. Quando hanno visto che il fondo per comuni e regioni non serviva, hanno fatto una cosa intelligente prendendolo e utilizzandolo per altro scopo evitandoe che rimanesse incastrato nei capillari del sistema territoriale.

GG – La Pandemia fa quindi emergere elementi fondamentali, gli aggregati reali per leggere la realtà e agire di conseguenza.

AD – Il primo aggregato sui numeri in generale, al di là delle partite iva o imprese che rimangono un pezzo vitale del PIL e della fiscalità diretta e indotta tramite l’occupazione.

Il secondo aggregato: l’emersione in maniera strategica di fragilità strutturali determinate da burocrazia opprimente, dalla debolezza del sistema sanitario, dall’incapacità progettuale anche politica di andare a latere su progetti tattici-fondamentali e l’incapacità di attuarli… altrimenti non avremmo bisogno di fare un team per il Recovery Fund fatto da decine di ministri, otto manager e trecento funzionari: dà l’idea di diventare come la Caritas, un’amministrazione centrale che non è un soggetto esecutore. Eppure, il Governo si chiama Esecutivo perché questa dovrebbe essere la sua funzione.

GG – É necessaria una trasformazione profonda che comprenda la mutazione della classe dirigente, a iniziare di quella politica a tutti i livelli.

AD – Per progettare la continuità bisognerebbe essere sufficientemente “statisti” per andare a prevedere il riflesso indiretto su se stessi portato dal bene che si fa al Paese. Invece, anche perché è una tendenza globale, domina la visione a breve periodo. Pure nel mondo dei grandi manager che su questo nodo sono comunque tenuti sotto la lente di ingrandimento, anche perché usano i soldi degli azionisti e ne devono rispondere.

I politici invece adoperano i denari dei contribuenti e, mediamente, non ne rispondono: al massimo non verranno più eletti, ma finiranno “sistemati” da qualche parte a fare lobby o altro.

Il tema è: come con quale sistema mutare questo mondo? È un punto che bisognerà affrontare con decisione dopo marzo/aprile 2021, considerando anche la possibile terza ondata Covid-19.

I metodi ci sono, però devi avere la capacità di “pensare laterale”, di pensare a cose nuove. L’unico modo per scuotere il sistema non è semplificare come dicono in tanti. Semmai è cambiare.

Lo diceva pure Winston Churcill nonostante fosse un grande conservatore, quindi non proprio un innovatore: “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Questo è l’unico sistema attuabile ed efficace. Cambiare.