Se ne scrive ormai da tempo, ma l’argomento acquista sempre maggiore forza. Gli articoli più lontani nel tempo risalgono all’estate 2020, ma in questo marzo 2021 è un fiorire di nuove pubblicazioni e di altre novità. Dagli scarti della frutta un’ottima farina per dare vita a impasti salutari dai quali ricavare splendidi prodotti da forno, dal pane alla pasta per pizza. Tutto inizia dalla fermentazione spontanea della frutta e dei suoi resti, primo passo per dare forma all’impasto finale.
Il futuro enogastronomico sta sempre più puntando anche su questa strada diretta alla ricerca di rinnovate soluzioni.
La fermentazione spontanea dagli scarti di frutta ha calamitato l’attenzione degli studi scientifici ispirando anche il lavoro di sperimentazione su impasti e lievitazione. Un grande lavoro compiuto – e in corso di perfezionamento – da parte di grandi panificatori e pizzaioli oltre a ricercatori universitari. Questi professionisti utilizzano tale tecnica per sfornare prodotti dalle proprietà organolettiche sorprendenti… e oggi uno dei frutti più promettenti è la mela i cui scarti si prestano molto bene a tali nuove idee.
Torsoli, semi e scarti di buccia delle mele danno vita a una farina molto particolare, frutto di una miscelazione di questo ingrediente ridotto a polvere con la classica farina di grano utilizzata per dare forma al pane.
Da questo mix si ottengono pagnotte gustosissime, particolarmente ricche di fibra, profumate a tal punto che l’olfatto viene stimolato e “accarezzato” da note aromatiche piacevolmente spiccate.
Pionieri e fautori di risultati invidiabili già ad agosto 2020 furono i ricercatori del Micro4Food Lab (link), specializzati nella ricerca dei processi di fermentazione in ambito alimentare. Una sperimentazione e ricerca guidata dalla professoressa Raffaella Di Cagno e dal professore Marco Gobbetti, microbiologi e docenti alla Facoltà di Scienze e Tecnologia della Libera Università di Bolzano, al parco tecnologico NOI di Bolzano. Lavoro pubblicato su due riviste scientifiche, la Food Chemistry e la Frontiers in Microbiology. Opera portata avanti con la collaborazione dell’azienda altoatesina Pan Surgelati Srl.
“Stavo effettuando delle ricerche sulla produzione di strudel presso un’azienda dolciaria – racconta Raffaella Di Cagno a Food – e mi sono chiesta se fosse possibile recuperare gli scarti derivati dalla lavorazione delle mele inserite nell’impasto. Di solito le industrie li impiegano nei succhi di frutta o nei mangimi animali, ma volevo approfondire il discorso. Abbiamo fatto diverse prove fermentando la massa contenente bucce, semi e torsolo della mela con alcuni tipi di microorganismi, prevalentemente batteri lattici. Poi siamo riusciti a isolare da quegli stessi scarti la popolazione microbica naturalmente presente nella frutta cruda, effettuando un accurato screening di selezione. Sta qui, secondo noi, l’innovazione della ricerca”
Non di solo farina si tratta, ma anche della possibilità di utilizzare questi scarti lavorati di mela per dare vita a un integratore alimentare ricco di fibre e composti fenolici, con particolarità molto utili, soprattutto l’essere un potente antiossidante e antinfiammatorio.
La fermentazione spontanea della frutta e dei suoi resti, vede la possibilità di usare, oltre alle mele, anche di cachi, susine, pere e uva, anche le olive, per pregelatinizzazione dei semi di Salbachia o Chia bianca e altro. Tanto per comprendersi, al posto del lievito madre e del lievito di birra, si mettono a fermentare alcune tipologie di frutti e loro scarti, quelli più promettenti per l’innesco di un processo di fermentazione (grazie a ceppi di batteri tipici di ogni frutto) che non alterino la maglia glutinica dell’impasto finale (esempio: no all’uso di kiwi, ananas, papaya, mango).
Frutta e fermentazione spontanea: accenni sul processo fino alla miscelazione con la normale farina
Qui ne faccio una summa, una sorta di piccolo compendio, in modo da far comprendere a grandi linee come funziona tutto il processo.
Il procedimento della fermentazione spontanea di frutta vede il suo primo passo nell’immersione in acqua dei frutti insieme a una piccola quantità di zucchero. Il tutto è facilitato anche dalla presenza nelle bucce di alcuni frutti di pruina, sostanza ricca di lieviti naturali ad attivazione spontanea in determinate situazioni e con conseguente proliferazione di una flora da lactobacilli capace di bonificare la coltura da possibili agenti patogeni.
La macerazione avviene in un recipiente chiuso da agitare periodicamente e con regolarità in modo che i microorganismi si distribuiscano con omogeneità. L’acidità dell’acqua fermentata aumenta dopo qualche giorno, momento che viene evidenziato dall’affioramento in superficie di bolle. Al momento in cui si avverte un evidente odore di mosto, la massa è pronta per essere trasformata in purea. Questa poi viene unita e impastata con la normale farina ottenendo poi un panetto bello morbido dal quale partire per l’impasto della forma di pane.
Chi ne fa uso?
Solo alcuni esempi a partire da un luogo del sapore nel quartiere romano di San Lorenzo a via degli Aurunci 6/8. Si tratta di Farinè (link) e della sua pizza: uno dei suoi impasti prende vita proprio dalla fermentazione spontanea di frutta (in acqua con miele, pezzi di favo, dai 2 ai 5 giorni) unita a quella di grano (tipo 0 e 2) con cui Carlo Teodori e Francesca Sarra danno vita a prodotti molto vari e in giornate “tematiche”.
Il Gambero Rosso cita il Forno degli Amici (link alla pagina Facebook) in quel di Roma, condotto dai fratelli Federico e Beatrice Stocchi, insieme a Filippo Feliciani. Il locale sta su via Firenze 51/52 nel centro della Capitale, traversa di via XX Settembre, strada che allaccia con via Nazionale (loro si trovano vicini all’incrocio via Firenze/via Modena): la fermentazione spontanea di frutta viene da loro utilizzata per tanti prodotti finali, per lievitati adatti alla prima colazione, poi per dolci con la frolla, per la pizza e per alcuni fritti.
Sempre il Gambero Rosso mette in rilievo Saporè (link) di Renato Bosco (link), a San Martino Buon Albergo (Verona), su piazza del Popolo 46: anche qui tutto è frutto di lunga sperimentazione e successi esaltanti, scarti di frutta che arriva dalle centrifughe servite la mattina, portati appunto a fermentazione, poi uniti a un gel prodotto dall’idrolisi del grano integrale spezzato; a fine processo, l’impasto gelatinoso viene aggiunto a un impasto solido, la Biga, che fa da base per la preparazione del pane. Ne viene fuori un impasto finale che dà vita a pizze profumate e leggerissime.









