È stato di una semplicità sconcertante. Confesso che all’inizio avevo un po’ di apprensione. Tutte le dicerie, le fesserie e le finte esperienze/conoscenze diffuse ovunque a cominciare dai social, scavano comunque nella psiche, anche se sono abituato a ragionare in senso critico, a documentarmi, a cercare e a verificare con estrema attenzione. Che strano meccanismo la mente. Al tutto si è aggiunto il naturale timore dell’ignoto: mai vissuta una situazione di pandemia, di vaccinazione di massa, di pericolo, di tale emergenza sanitaria.
L’incognita di una cosa nuova, di questo tipo, mi ha messo in leggera tensione. Un processo naturale.
Appuntamento preso per il 5 maggio, ore 14,40 a Roma, nella struttura della Nuvola, il nuovo centro congressi capitolino progettato dallo Studio Fuksas (link), struttura che si trova accanto alla via Cristoforo Colombo, quartiere EUR.
Non è vicina a casa, proprio per nulla, ma la mia priorità era prendere un appuntamento che fosse temporalmente vicinissimo. In questa sede era possibile.
La prenotazione del vaccino – primo ostacolo, quello vero e unico
Nella notte tra il 3 e il 4 maggio, via libera nel Lazio alle prenotazioni per la mia classe di età. Mi butto sul mio pc già un quarto d’ora prima della mezzanotte.
Lì inizia l’Ordalia (per i più curiosi su storia-significato del termine, link Treccani) tra me, il sistema computerizzato via web di Salute Lazio… e gli altri prenotanti.
Anche dopo la mezzanotte il sistema informatico va continuamente in errore o si incanta. In alcuni momenti non fa più comparire le date disponibili, blocchi delle schermate poi soppiantati da quella che inserisco qui in basso e che rimane così per almeno tre minuti. Il limbo digitale…
Prima di tutto questo mi ero preparato una lista di siti vaccinali dove viene usato il vaccino Pfizer/BioNTech-Comirnaty. Una lista strutturata in modo che in cima ci fossero le strutture più vicine a casa e verso il basso le più lontane.
Ebbene, le prime schermate da Salute Lazio-prenotazione vaccini mi danno soprattutto luoghi molto lontani, in provincia di Viterbo per esempio, a Bolsena e ben oltre, come a Bagnoregio. Follia.
I centri più vicini sono praticamente non disponibili, oppure lo sono, in pochi casi, ma per date da fine maggio e oltre.
Dopo arriva il miraggio: possibilità di fare il vaccino dal 5 al 10 maggio alla Nuvola di Fuksas al quartiere Eur. Non vicino, ma chi se ne frega!
Così tento di fissare l’appuntamento. Ai primi tre tentativi vengo bloccato dall’avviso che per quella data/ora era già stato preso da un altro utente. Nulla di strano. Intanto il sistema è di nuovo entrato in crash.
Seguono altri tentativi, due, per prenotare proprio per il 5 maggio. Sarebbe un bel colpo a circa 36 ore dal momento in cui mi trovo davanti allo schermo del computer! Fortuna inaspettata.
Due tentativi e due barbare illusioni/scherzi digitali di quel dannato sistema informatico che ho odiato profondamente: in breve, la schermata mi dà la disponibilità del 5 maggio e dell’ora, vuole i miei dati (e-mail e numero telefonico/cellulare). Inserisco quanto chiede, clicco su “prenota”… E VA IN ERRORE!
Andrei direttamente negli uffici dove tengono server ed eventuali operatori notturni per fracassare tutto. In più ho il timore che vengano presi tutti gli appuntamenti per quel fatidico e desiderato 5 maggio.
Ma ho la testa dura. Diventa una sfida personale, una sorta di vera e propria Ordalia all’ultimo sangue, stile medievale: il Giudizio di Dio! Devo vincere. Traffico di nuovo sulla tastiera e con il mouse.
Al sesto tentativo va tutto finalmente in porto, prenoto per il 5 maggio ore 14,40. Vero record personale visto che nel recentissimo passato ho prenotato per i miei genitori (per mia madre due volte) e per mia zia Adelaide che vive a Catania usando il sistema web della Regione Sicilia (lì fu estremamente più semplice ed era febbraio 2021).
Liberazione! Al mio iPhone arrivano pure i due sms di conferma per le due date (prima dose il 5 appunto e il richiamo per il 26 maggio).
Posso andare a letto con senso trionfale di vittoria. Ho vinto l’Ordalia.
Il giorno del primo giudizio vaccinale!
5 maggio, in esterni, prima di entrare a farmi vaccinare
Conscio di quanto accaduto con i miei genitori – arrivammo molto in anticipo nelle cliniche, vaccino fatto prima, ritorno a casa un’ora prima di quanto previsto – prendo un taxi e giungo al Centro congressi della Nuvola che sono le ore 13,50: ben 50 minuti prima dell’appuntamento.
Da lontano vedo tanta gente sui marciapiedi.
Chiedo agli operatori della Protezione Civile: non fanno entrare nel provvisorio recinto metallico. Chiamano loro a seconda degli orari d’appuntamento, quindi si deve restare in attesa all’esterno.
Devo dire che comprendo. Pur essendo grandi gli spazi all’interno della struttura, tutta quella gente infilata nei saloni sarebbe veramente troppo.
Così faccio un giro nel quartiere. Noia totale. Non so cosa andare a guardare, la zona la conosco benissimo. Vista l’ora c’è gente in giro che passeggia con colleghi (l’area è piena di uffici), sintomo che molti sono al lavoro “in presenza”. Alcuni vanno a caccia di ristorantini e pub che abbiano spazi all’aperto con posti ancora liberi.
Torno all’inferriata provvisoria per l’ingresso alla Nuvola. Gli operatori della Protezione Civile chiamano chi ha fissato l’appuntamento per le 14,10.
Poi, rapidamente, gli appuntamenti delle 14,20. Dopo cinque minuti abbondanti, le persone delle 14,30.
Sta per toccare a me: trepidazione condita con una spolverata di agitazione, conseguente piccolo aumento della frequenza cardiaca e respiratoria. “Stai sereno! – mi dico – prima che ti si alza la temperatura e ti bloccano“. Per un microsecondo la lucidità perde un passo.
“Quelli delle 14,40!“. Recepisco l’avviso dato a voce alta come una chiamata per un interrogatorio, come accade nei film o per prendere posto al banco degli imputati. Che cosa strana il cervello. È una sciocca iniezione, cavolo! Da una decade faccio annualmente quella antinfluenzale!
Con gli altri “chiamati” mi avvio tenendomi sulla sinistra (come da istruzioni impartite) lungo il lato della Nuvola su viale Asia. Poi continuo seguendo la fila lungo via Cristoforo Colombo. Dalle foto che qui inserisco, potrebbe sembrare che al primo sbarramento di verifica appuntamenti e di misura della temperatura, la gente sia in fila accalcata. Non è vero: è una distorsione prospettica.
Prima sfiga: chi mi precede di due posti nella fila viene bloccato perché ha la temperatura troppo alta. Automaticamente reagisco come se avesse la peste bubbonica scostandomi. Possedessi uno schermo di forza individuale come nei film di fantascienza, lo azionerei immediatamente. Per quanto mi riguarda ho la mia solita temperatura a 36,3 C°, pur essendo stato, come gli altri, a cuocermi sotto al sole.
Ed ecco che si entra scendendo con tapis roulant stile centro commerciale. Si va verso il basso nelle “viscere” della terra (l’ingresso è a circa un paio di piani sotto il livello stradale).
All’interno della “Nuvola” l’incontro con le carte e, finalmente, il vaccino
Rispetto a quanto accaduto prima, qui il tempo sembra accelerare o è solo la macchina organizzativa che va veloce. Forse entrambe le cose.
Altro nastro di persone in fila, un serpentone che ci fa passare proprio sotto l’opera che è la vera e propria Nuvola racchiusa nel grande parallelepipedo trasparente dell’edificio dove noi tutti ci troviamo in quel momento.
Addetti della Protezione Civile controllano che la gente non si avvicini troppo, ma neppure che stia reciprocamente troppo lontana: “Signori – dice un colosso barbuto in uniforme gialloblù – non dovete stare a dieci metri l’uno dall’altro! Bastano due metri! Altrimenti non entrate tutti quanti qui in fila“. Anche la Nuvola avrà vibrato a quel “melodioso” ma potente invito.
Rapido il controllo del fascicolo che ognuno si è portato (consenso firmato, caselle barrate sul proprio status clinico, tutto materiale scaricato dal web al momento della prenotazione). Tessera sanitaria alla mano si viene chiamati tutti a un lungo schieramento di postazioni protette e con terminale. A me tocca la postazione 3.
La “mia” operatrice controlla tutto, poi si blocca e chiede a una collega come comportarsi: il mio lungo insieme di cognome e nomi non entra tutto nella stringa del suo schermo. Rassicurata da una sua collega (anche lei, ha diversi nomi: croce comune per questioni burocratiche), la “mia” operatrice prosegue. Mi fa infilare a un polso un bracciale gommoso di colore giallo che serve a distinguermi come persona cui deve essere fatto il vaccino Pfizer.
Altri colori sono per gli altri tipi di vaccini ma, come successivamente riferitomi da un’infermiera, sono ormai casi rarissimi: l’AstraZeneca non viene quasi più usato, almeno alla Nuvola.
Prima sala d’attesa, molto grande, ricavata dalla separazione in più ambienti del gigantesco salone centrale-modulare. Devo aspettare che venga chiamato il mio numero, il P1479, consegnatomi dalla “mia” operatrice insieme al braccialetto giallo e a un modulo dello stesso colore.
Più schermi snocciolano cifre dove punti rossi lampeggianti segnalano gli ultimi tre chiamati, come se si fosse in aeroporto quando lo stesso segnale visivo indica i voli in partenza. Tolgo l’inutile giubbotto (fa caldo), anche l’altrettanto inutile maglione, resto in camicia. Voglio premunirmi, comunque rimango sempre decoroso nonostante la camicia tenda a uscire dai pantaloni taglia 46 che mi stanno un tantinello larghetti grazie a una mia ferrea dieta.
Le decine passano rapide. Chiamano il mio numero! Mi aspetto di finire sotto l’ago… e invece no.
Deluso. Altro salone e altro tavolino con una dottoressa giovanissima. Mi fa un terzo grado su quanto già scritto nei moduli che mi sono trascinato da casa. Non soffro di cuore, non ho avuto contatti con affetti da Covid-19 (almeno non consapevolmente e non secondo l’app Immuni che ho sempre attiva da mesi sul cellulare).
Non ho mal di gola, no tosse, no niente… insomma, sto bene non ho nulla e non ho preso farmaci che influenzano la coagulazione del sangue ecc.
Non basta dirle, “guardi, non ho mai avuto bisogno neppure di un dentista“: lei prosegue (deve farlo) con l’interrogatorio. In più, vuole sapere da me se ho prenotato rispettando la mia classe d’età.
Me lo avrà chiesto perché sembro molto più giovane? Il sistema informatico non avrebbe accettato la prenotazione se non fosse stata autorizzata la mia fascia d’età. Rido dentro.
Poi mi chiede su quale spalla voglio essere vaccinato. Rispondo a caso “sinistra”. Per me è lo stesso: sono praticamente ambidestro.
Finalmente posso alzarmi e passo alla parte interessante, lo sterminato spazio dedicato ai vaccini.
Eccolo lì, il tanto desiderato vaccino: un pizzichino e via!
Mi fanno accomodare su una sedia a fine di una fila. Meglio: anche se tra vaccinandi si sta grande distanza, preferisco avere tutto un lato libero attorno a me.
Voglio continuare a fare delle foto che ritraggano la situazione. Ci impiego un po’ ad accomodarmi: alla spalliera della sedia devo assicurare il giubbotto, il maglione, ho il modulo e altre carte in una mano e l’iPhone… gli occhiali? Mi rassereno subito, li ho addosso, e gli ausili oculari sono appesi allo scollo della camicia.
Finalmente siedo e inizio a scattare altre immagini.
Il procedimento – Una dottoressa passa accanto a ogni nuovo arrivato spingendo un carrello con ruote colmo di moduli già ritirati da altri vaccinandi.
Giunta a me, fa un ulteriore terzo grado, diverse domande sullo status sanitario – ancora – chiede poi conferma sulla spalla dove infileranno l’ago e mi lascia metà del tagliando che riporta il mio numero (l’altro pezzo lo attacca al mio modulo giallo che lei ritira).
Tutto intorno, in quello sterminato salone, gente che si toglie magliette, maglioni, maglie, camicie, sbottona pantaloni (perché?). Se non fosse un ambito sanitario, si potrebbe avere una strana idea su tutto quello spogliarsi… e mi viene da ridere.
Un operatore in camice raggiunge colei che mi ha nuovamente interrogato, raccoglie i fascicoli e li porta in Osservazione.
Poco dopo vengo raggiunto da un’infermiera con un altro carrello a ruote colmo di flaconi, ne campeggia uno con disinfettante, cotone e altro materiale.
Infine, una medicA (corretto nella nuova lingua rispettosa dei generi?) con una cassettina blu-azzurra colma di dosi del vaccino, quelle che devono servire per il gruppo di cui faccio parte.
Scopro il braccio sinistro fino alla spalla.
“Si rilassi, stia tranquillo“, mi dice la medicA. “Però si appoggi ben rilassato alla spalliera della sedia“, lei aggiunge… e zac! L’ago è infilato. Sottilissimo, neppure lo sento o quasi. Il poco liquido iniettato crea solo una lieve sensazione di intrusione nella parte. Una fesseria farsi questo vaccino.
“Ecco, adesso si può rivestire e andare nell’area Osservazione“. Saluta e intuisco, nonostante la mascherina, che sta sorridendo.
Lei passa al successivo paziente insieme al carrello spinto dall’infermiera.
Io prendo tutto, controllo che la camicia sia a posto e ben infilata nei pantaloni (decoro!) poi mi incammino verso la sezione “Osservazione”, un altro spazio sterminato dove in tanti attendono il via libera finale.
Altri schermi come quelli di prima snocciolano numeri su numeri. Un’altra operatrice mi avvisa: “Quando richiameranno il suo numero, passerà allo sportello indicato per ritirare la certificazione di vaccinazione compiuta“. Intuisco con sicurezza altro sorriso. La mascherina non lo fa vedere, ma gli occhi e le guance dichiarano senza dubbio l’espressione del viso.
Tutto si conclude dopo circa venti minuti. Sportello 9, mi danno due fogli. Il primo, un foglio A4, è stato appena stampato con i miei dati e quelli completi sulla vaccinazione (iniezione al deltoide sinistro, numero vaccinazione autorizzata, 0,45ml la somministrazione, da flaconcino capace di 5/6 somministrazioni, da confezione con 195 flaconcini, il numero del lotto di produzione e la scadenza del prodotto).
Il secondo foglio è un modulo che dovrò riempire e consegnare il 26 maggio per la seconda iniezione: un’indagine praticamente identica ai moduli consegnati per la prima iniezione e per sapere se si sono manifestati eventuali effetti collaterali dopo la prima somministrazione.
Fatto.
Per metà libero.
Anche qui la psiche fa il suo gioco. Mi accorgo di sorridere.
Risalendo in superficie grazie al tapis roulant, il cielo mi sembra più azzurro e il sole più… illuminato. È chiaro, dopo più di un anno vissuto tra lockdown-isolamento, attenzione a ogni uscita, disinfezione attenta al ritorno a casa, dopo ogni limitazione maniacale dovuta anche a timore, oggi sono a metà di un cammino che rasserena.
Non che a seconda dose fatta io potrò dichiararmi sbloccato in assoluto. Le attenzioni ci saranno comunque, sono dovute, ma avranno un altro “sapore” mentale, un gusto di liberazione.
Infine, che importa se ogni anno dovremo fare un richiamo vaccinale: sarà come i quelli antinfluenzali che faccio da dieci anni. Una nuova normalità si fa strada.




















