Distopico. Futuro distopico, romanzo distopico, film distopico, genere distopico. Sommerso da realtà distopiche. Il termine/neologismo non è nuovo, ma pare che in questi ultimi anni sia di tendenza. Troppo di tendenza. Annoia l’abuso ammassante.
Oggi tutto sembra più bello, più intrigante, più avvincente solo se è distopico. Sembra che la fantasia occorsa per creare opere distopiche sia più… fantasiosa, più creativa, più cool.
C’è anche un negozio romano per articoli da regalo, “abbigliamento Streewear” e dischi in vinile che si chiama Dystopia Store (non è l’unico in Italia). Oppure c’è la maglietta “Dystopia” con impressa la “Pavoncella sarda, simbolo dell’Isola, rappresenta l’immortalità dell’anima“, venduta da Heya, uno store (negozio) online.
Esempi simili anche all’estero come il tedesco Dystopian, altro punto vendita online o il Londonstore con la maglietta per uomo “Dystopia Tee” che ha una grossa composizione di triangoli sulla schiena al cui centro sta un bouquet di due rose dal color rosa.
Il termine fa tendenza, fa moda, a prescindere dal suo significato.
Mi hanno fatto diventare distopici gli attributi. Che Testicopici!
Prima c’era la fantascienza, il genere fantasy, quello psicologico, c’erano i racconti di fantapolitica e tanti altri che potevano comprendere, in generi e metodi narrativi diversi, realtà negative, anti utopiche appunto.
Oggi, invece, non si fa più distinzione, tutto all’ammasso sotto un’unica definizione.
Che noia! Non sai se aspettarti una Biancaneve-strega o un’imperatrice aliena.
D’altra parte, con una ricca fetta di popolazione che crede ai passaparola come fossero passi della Bibbia o trattati tecnico-scientifico-medico-psicologici-politici, non mi potevo (e non ci potevamo) aspettare niente di meglio.
È tutto perfetto per questi tempi dall’alta pigrizia mentale.

Devo però riconoscere che il termine ha una sua storia, fece già capolino nella seconda metà del 1800.
Distopia è un neologismo ideato nel 1868 dal filosofo ed economista liberale britannico John Stuart Mill (1806-1873) che lo volle come termine in opposizione (quindi, con connotazione negativa) a utopia.
Mill avrebbe utilizzato “distopia” durante un discorso in parlamento il 12 marzo del 1868, per riferirsi ai suoi oppositori:
“Forse è un complimento eccessivo chiamarli utopisti, piuttosto bisognerebbe chiamarli distopisti o cacotopisti. Ciò che comunemente chiamiamo utopico è qualcosa troppo bello da realizzare; ma ciò cui loro si mostrano a favore è troppo cattivo per pensare di realizzarlo”.
Appena dopo la Seconda Guerra Mondiale distopia ha proseguito, con un pochino di “presenza” in più, la sua vita nelle lingue del mondo.
Distopia come specchio dei timori di intere generazioni? Quelli che prendono vita in racconti riguardanti realtà terribili e devianti?
Non concordo nell’ammassamento di diversissimi generi e spiego il perché.
Un esempio viene proprio dalle attuali piattaforme digitali tipo Netflix, Prime, Tim Vision pieni di film e serie televisive. Pasticciano mettendo insieme cose diversissime, come alcuni elenchi che vedono uniti Fantascienza e Fantasy, spesso con un tocco d’Horror: mi ritrovo racconti di strane streghe, cappuccetti rossi distopici, draghi, nani, elfi, troll, fantasmi, zombie assetati di sangue – trasformati così per incantesimi o per strani virus – lupi mannari liceali messi insieme a Star Trek in tutte le sue serie, vulcaniani, l’Impero Klingon, Star Wars, Alien fagocitanti e molto distopici, navi spaziali, raggi laser e faser, trasferitori di materia, colonizzazioni di mondi pieni di minacce sanguinolente e zannute, imperi stellari e federazioni di pianeti. Naturalmente in molti testi descrittivi sul contenuto di questi film-telefilm, il termine “distopico” è di casa.
Ma che hanno in comune le favole e le stregonerie con le ipotesi scientifiche?
Capisco. Forse è desueto, poco pratico parlare/scrivere di “futuro catastrofico”, “futuro apocalittico”, “futuro post nucleare”, futuro zombie”, futuro stregonesco” e simili. Comprendo pure che le redazioni di riviste specializzate devono risparmiare in battute per diminuire la lunghezza dei testi (usando anche uno sterminato numero di anglicismi che compendiano interi concetti) in modo da dedicare più spazio a foto e video. Quindi, “distopico” è perfetto allo scopo… ma così non può continuare.
Ricordo di essermi sentito così contrariato solo quando vedevo scritto o sentivo pronunciare ovunque “foliage” … ma questa è un’altra storia (a questo link): forse, con mia somma gioia, sta scomparendo. Verificherò in autunno.
Tornando a distopico, oggi mi capita di vedere una lista di opere tutte definite distopiche e quali ci trovo?
- La macchina del tempo, di H. G. Wells (1895);
- Le meraviglie del Duemila, di Emilio Salgari (1907);
- Il mondo nuovo, di Aldous Huxley (1932);
- 1984, di George Orwell (1949);
- Fahrenheit 451, di Ray Bradbury (1953);
- Il signore delle mosche, di William Golding (1954);
- Fiori per Algernon, di Daniel Keyes (1959);
- Arancia Meccanica, di Anthony Burgess (1962);
- La svastica sul sole, di Philip K. Dick (1962);
- Il cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?) di Philip K. Dick (1968);
- Il racconto dell’Ancella, di Margaret Atwood (1985);
- Il complotto contro l’America, di Philip Roth (2004);
- Non lasciarmi, di Kazuo Ishiguro (2005);
- La strada, di Cormac McCarthy (2006);
- Hunger Games, di Suzanne Collins (2008);
- La ragazza meccanica, di Paolo Bacigalupi (2009);
- Divergent, di Veronica Roth (2011);
- Il cerchio, di Dave Eggers (2013);
- Sottomissione, di Michelle Houellebecq (2015).
Anche qui non concordo. Da Wells e Salgari fino a Houellebecq sono trascorsi 120 anni, i concetti su futuro, presente, passato sono diversissimi, generi molto differenti che narrano di epoche future e presenti che sono anche storie d’amore, psicologiche molto vicine alla realtà, a tante realtà.
Sembra quasi che al genere fantascientifico abbiano fatto ingoiare a forza gli altri, che lo abbiano travestito e dato “distopico” per nome.
Forse mi sbaglio. Oppure sono poco elastico e non riesco ad adattarmi.
Per adesso rimango dell’idea che tutto questo crei confusione tra generi estremamente differenti non racchiudibili in un singolo macro genere.
Lupi mannari e alieni non possono stare assieme. Anche se entrambi ci spolperebbero volentieri (rigorosamente a crudo). In questo caso si potrebbe creare il genere letterario-filmico Exogíinomannari? 😄
Definizioni da vocabolario
Treccani – distòpico – agg. [der. di distopia1] (pl. m. -ci). – Che è in condizione di distopia: rene distopico.
Treccani – distopìa 1 – s. f. [comp. di dis-2 e gr. τόπος «luogo»]. – Nel linguaggio medico, spostamento (in genere per malformazione congenita) di un viscere o di un tessuto dalla sua normale sede.
Treccani – distopìa 2 – s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]. – Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all’utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (equivale quindi a utopia negativa): le d. della più recente letteratura fantascientifica.