Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro uccisi a Palermo nell’agguato di mafia il 3 settembre 1982, crivellati da tanti proiettili da scariche di mitra. Ferito anche l’agente di scorta, Domenico Russo che morirà per le ferite il 15 settembre. Sempre 3 settembre, ma nel 2002, il suicidio di Giuseppe Francese, 36 anni, che con le sue indagini fece riaprire l’inchiesta sull’omicidio del padre Mario Francese, giornalista 54enne ucciso il 26 gennaio 1979 a Palermo, sempre dalla mafia: i responsabili furono condannati. Giunto alla tanto desiderata conclusione, Giuseppe non aspettò la sentenza d’Appello, lasciò un biglietto, “ho svolto il mio compito, ho fatto il mio dovere, vi abbraccio tutti, scusatemi” e si uccise.
Due storie diverse con un unico comun denominatore, la lotta alla mafia. Chi come Dalla Chiesa, lo faceva in divisa, rischiando moltissimo come parte delle Istituzioni e chi, Come Mario Francese e poi il figlio, agiva adoperando la penna, da membro dell’informazione dedito alla ricerca continua, senza paura, minacciato e con l’esistenza appesa a un filo.
Tutti agirono senza risparmiarsi. Cosa Nostra reagì e li uccise. Delitti che fecero scaturire reazioni istituzionali e giudiziarie, lente, lunghe, difficilissime e spesso impantanate, ma ci furono.
Per l’assassinio di Dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo si arrivò alle condanne di vertici mafiosi, i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Presi e processati (2002, sentenza di primo grado) anche coloro che portarono a termine l’attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia (ergastolo), Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci (14 anni di carcere).
L’agguato in via Isidoro Carini, quel 3 settembre alle ore 21,15, fu terribile e spietato. La A112 guidata da Emanuela Setti Carraro con accanto il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, fu affiancata da una BMW da dove furono partirono scariche da un mitra Kalashnikov AK-47. La pioggia di proiettili ridusse a un colabrodo l’auto della coppia che fu così massacrata. L’auto che seguiva quella della Setti Carraro, quella con a bordo l’agente di scorta Domenico Russo, fu affiancata da una moto che sparò un’altra raffica di mitra: il poliziotto fu ferito gravemente; 12 giorni dopo morirà in ospedale.
Per l’omicidio di Mario Francese, cronista giudiziario de “Il Giornale di Sicilia”, furono condannati Totò Riina, Leoluca Bagarella (cognato di Riina) – colui che materialmente uccise il giornalista – Francesco Madonia, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Michele Greco e Giuseppe Calò. Nelle motivazioni della sentenza in Corte d’Appello: “Il movente dell’omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni 70“.
Dopo tanta tensione, sforzo nella ricerca ventennale di giustizia per il padre, essere riuscito a vincere il primo stop all’inchiesta (all’inizio le indagini si fermarono, il delitto archiviato) e dopo la felice conclusione del processo con la condanna (11 aprile 2001) dei responsabili, Giuseppe Francese non resse oltre: da ricordare che all’epoca dell’omicidio del papà, lui aveva 12 anni e attendeva in casa.
Dicembre 1998, da quanto scrisse Giuseppe Francese sul quindicinale L’inchiesta: “Avevo dodici anni, la sera del 26 gennaio 1979 ho sentito da casa quella tragica sequenza di colpi di arma da fuoco. Furono sei i colpi, per l’esattezza. Da lì a poco, scoprii che il bersaglio era mio padre”.
Momento terribile che rimase orribilmente fissato nella mente di Giuseppe. Quel rumore di morte su via Campania, i sei colpi che finirono il padre, non lo lasciò mai.
Uno strappo nell’anima e nella mente che spinse sempre più il giovane a cercare i colpevoli dell’uccisione del padre. Quindi, iniziò a scrivere e fu attivo con crescente forza nella lotta alla mafia. Indagò su anche su altri delitti e “affari” di Cosa Nostra, sul lavoro minorile in Sicilia e altri aspetti sociali.
Purtroppo lo strazio che aveva sopportato per due decenni, superato ormai l’ostacolo, il riconoscimento dell’omicidio del padre come delitto di mafia e la condanna dei responsabili, tutto questo lo portò alla decisione finale. Quella di farla finita già prima della sentenza d’appello.
Giuseppe Francese è inserito tra le vittime, indirette, della mafia.
Il 4 settembre 2002 i familiari di Giuseppe lo ricordarono così in un necrologio: “Giuseppe se n’è andato. Ha svoltato in fretta l’angolo di questa vita, e lo ha segnato nell’anima, cercando Lassù nell’abbraccio paterno la pace“.