Lo stiamo vivendo tutti quotidianamente, a cominciare dal prezzo della benzina, diesel, Gpl e metano nei rifornimenti di carburante. Inutile citare ancora una volta le previsioni sul costo in più annuale su tutte le bollette energetiche. In questo calderone dei costi ultra maggiorati ci sono anche le imprese. Il grido d’allarme che voglio porre in risalto è quello lanciato dal settore agroalimentare, comparto che produce e distribuisce quanto deve finire sulle nostre tavole e che acquistiamo dai grandi supermercati alle rivendite sotto casa, i cosiddetti negozi di vicinato. Forti aumenti dei costi di energia e materie prime (numeri impressionanti che potrete leggere più in basso), tanto da costringere Alleanza Cooperative Italiane (link) e Federalimentare (link) a scrivere al presidente del Consiglio, Mario Draghi.
Per il comparto agroalimentare si prospetta un vero e proprio “rischio paralisi” – scrivono le due rappresentanze dei produttori – per via della situazione insostenibile causata dal combinato disposto dei rincari di energia elettrica e gas e dei costi delle materie prime.


Di qui l’appello al presidente del Consiglio Mario Draghi “affinché il Governo ponga in essere urgenti misure per arginare la situazione emergenziale e si faccia promotore di iniziative a livello europeo per l’adozione di provvedimenti che tutelino le imprese da speculazioni globali riconducibili anche a fattori di natura geopolitica”.
La sottolineatura/richiesta è stata sottoscritta da Giorgio Mercuri e Ivano Vacondio, presidenti rispettivamente di Alleanza cooperative Agroalimentari e di Federalimentare in una lettera inviata al premier Draghi. Nella missiva hanno espresso tutta la preoccupazione e i rischi delle imprese loro associate che rappresentano oltre il 90% della produzione alimentare del Paese.
I due organismi rappresentativi rincarano la dose evidenziando come il costo dell’energia elettrica sia passato in media dai 40-45 € Megawatt/ora ai 300 € e quello del gas da 0,17 € per m3 (metro cubo) a 1,30.
A questi rincari si aggiungono poi quelli delle materie prime – con i prezzi di grano, mais, soia, ecc. che stanno portando i costi aziendali ormai fuori controllo – e degli imballaggi. Si va dall’incremento del 61% del legname a quello del cartone (+31%), della banda stagnata (+60%), della plastica per agroalimentare (+72%), del vetro (+40%), ai quali si aggiungono le impennate, dal 400% al 1000%, di container e noli marittimi.
“La situazione, ove non fronteggiata – sta scritto nella lettera inviata a Draghi – frenerà inevitabilmente anche l’export dei prodotti agroalimentari, col rischio di compromettere in breve tempo gli importanti risultati conseguiti negli ultimi dieci anni dalle nostre produzioni sui mercati internazionali”.
Alleanza Cooperative Agroalimentari e Federalimentare denunciano che molte aziende “stanno valutando il blocco di alcune linee di attività e, nei casi di maggiore difficoltà, la chiusura degli impianti di trasformazione, col rischio di drammatiche conseguenze sociali e occupazionali”.
Cooperative e industrie non intendono sospendere la propria produzione, ma da sole non possono farcela, tenuto conto che “le attuali dinamiche commerciali con la GDO (ndR: Grande Distribuzione Organizzata) escludono infatti la possibilità di una revisione dei prezzi che possa compensare i maggiori costi sostenuti”.
“L’industria alimentare ha un ruolo sociale fondamentale per cui le nostre aziende non possono permettersi di chiudere – dice Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare – ma se i prezzi dell’energia continuano a lievitare in questo modo, con aumenti che arrivano oggi al +200/+300%, la chiusura per molte pmi diventerà inevitabile. È per scongiurare questo scenario a tinte fosche che chiediamo ufficialmente aiuto al governo”.
“I problemi delle industrie alimentari di trasformazione portano con sé anche il rischio di una progressiva limitazione delle produzioni agricole – ha aggiunto Giorgio Mercuri, presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari – In alcuni casi sarà infatti necessario intervenire nella stessa programmazione delle prossime campagne produttive, contenendo proprio quelle coltivazioni che necessitano di una lavorazione industriale. E ciò avrà conseguenze anche sull’impiego di manodopera in campagna”.
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