L’influenza Spagnola, bisnonna del Covid, tanto mortale: parallelo 1918/1920 – 2020/2022

Non ne avevo mai scritto prima e avevo mancato di fare un raffronto con la moderna Pandemia Covid-19 causata dal virus Sars-COV-2. L’influenza Spagnola colpì duramente tutto il mondo, decine di milioni i morti, una cifra conclusiva piuttosto vaga che non potrà mai essere precisa per la non accuratezza dei sistemi di monitoraggio risalenti a circa 104 anni fa. Nonostante le tantissime vittime europee, africane e nordamericane, il peggio fu per il continente asiatico. L’infezione si propagò senza freno e nel primo anno, il 1918, fu terribilmente mortale.

Nel primo periodo e fino al 1919, soprattutto e in alcuni ambienti medici e politici, non si sapeva neppure come chiamare questa malattia, così le furono affibbiate definizioni come influenza verdigera o grippe spagnuola o semplicemente grippe (che in francese sta per influenza).

L’infezione era frutto di una delle varianti del virus A sottotipo H1N1 – l’unico del genere Influenzavirus A, famiglia Orthomyxoviridae – che colpì il Mondo e si diffuse tra il 1918 e il 1920. Circa 500 milioni di persone furono infettate. Ne uccise a decine di milioni, alcune stime parlano addirittura di circa 50 milioni. Riuscì a infestare anche terre remote, potenzialmente isolate, ma nel primo ventennio del XX secolo gli spostamenti umani nel Globo erano molto più numerosi che nei decenni e nei secoli precedenti: il virus “viaggiò” con gli uomini.

Il termine Spagnola venne fuori perché proprio la Spagna, Paese neutrale durante il conflitto, dava notizia liberamente della malattia e delle sue gravi conseguenze. Al contrario, nelle nazioni in conflitto le rispettive propagande non dovevano far trapelare debolezze: inizialmente non diedero neppure una riga alla pandemia anche perché i soldati e i civili non dovevano essere allarmati e demoralizzati. Inoltre, gli interventisti avrebbero bollato come disfattismo qualsiasi scritto che avesse messo nero su bianco l’esistenza e la diffusione di una malattia estremamente pericolosa per la gente.

In questo modo quell’influenza fu definita come spagnola, come se si fosse originata nella penisola iberica, guadagnandosi la definizione di gripe española. Ma non era così.

L’epidemia ebbe tre ondate principali diverse, del tutto indipendenti dallo scorrere delle stagioni. Tre ondate derivate da tre mutazioni del virus. Poi anche una quarta ondata tardiva tra 1920 e 1921.

Sia la fase più mortale e, in genere, il virus della quarta-debole diffusione, ebbero fine praticamente spontanea, un corso pandemico amplificato anche da un tardivo ma decisivo miglioramento del trattamento medico-farmacologico delle polmoniti.

A parte questo, l’ultima ondata di Spagnola, la più leggera, molto meno letale, proseguì fino all’alba del 1921 estinguendosi anch’essa.

Molti virologi sostennero che due furono gli elementi principali a favorire la fine della forma virale più micidiale a favore della mutazione più leggera: la morte degli individui affetti dalla prima e più violenta forma del virus nonché veicoli di contagio; i sopravvissuti furono messi al chiuso in ambienti che delimitarono la diffusione dell’infezione.

Purtroppo le documentazioni mediche dell’epoca non possono essere così precise come le registrazioni moderne, molto è basato su ipotesi, seppur con una buona dose di concretezza.

Il passo evolutivo successivo della malattia nella forma più leggera portò a un più alto numero di sopravvissuti tra i contagiati, spesso con sintomi ben più lievi. In breve, sopravvisse il virus che non uccideva su larga scala i suoi ospiti.

Tra i vari documenti che ho utilizzato per rafforzare quanto sto scrivendo, segnalo Cenni sulla pandemia “spagnola”: riflessioni su alcune fonti d’archivio parlamentari, di Pierpaolo Ianni.

Da considerare che fin dall’inizio il virus ebbe vita facile per le scarse condizioni di salute, denutrizione, depressione concomitanti con lo scoppio e la prosecuzione della Prima Guerra Mondiale.

Quel 1918 aveva semidistrutto sistemi economici, sociali, affamato la gente indebolendola. Lo stesso sistema sanitario delle nazioni coinvolte era allo stremo.

Condizioni igieniche precarie, ammassamento dei malati, soprattutto dei soldati in trincea. In più, i trasporti truppe con uomini accalcati, favorirono il diffondersi della forma virale più mortale, quella della seconda ondata di fine agosto 1918, esplosa in pieno a inizio autunno… e pensare che la prima manifestazione avvenuta in primavera, era stata più leggera, una forma severa di influenza, ma nulla di più.

Il ritorno dei soldati malati dalle linee di combattimento negli ospedali militari per la cura dei feriti anche da attacchi chimici, favorì il diffondersi della malattia nel resto del tessuto sociale tramite gli operatori sanitari, gli assistenti, gli autisti, i volontari e le volontarie, i fornitori e tanti altri.

Molti territori, città e campagne dei paesi in guerra rimasero con personale sanitario carente se non del tutto assente, indifese nel contrastare la pandemia e nella scelta corretta dei metodi per trattare la malattia: medici e infermieri/e preparati erano stati spostati nei reparti di medicina d’urgenza concentrati negli ospedali da campo a ridosso delle trincee o nei tanti ospedali militari. Il documento d’archivio del Senato indica un chiaro quadro italiano dove, nell’ottobre del 1918, era ormai manifesta anche “l’alta proporzione di malati verificatasi tra i medici civili”, tanto che le autorità chiamarono a operare gli studenti al quinto anno delle facoltà di Medicina.

Intanto si ipotizzavano le più disparate forme di difesa e prevenzione, come gli impacchi a base di aceto bollente o di latte bollente zuccherato, oppure fiutare il tabacco, bere birra e cognac e ancora, lavarsi i denti con dentifrici disinfettanti o si premeva per far usare più acqua di colonia ritenuta capace di tenere lontano il virus.

L’aumento del numero di viaggi, anche aerei, favorì la diffusione, a cominciare dai trasporti militari che furono i primi vettori del virus, a quelli civili.

Non ‘cerano ancora gli antibiotici e già la mortalità era alta per polmoniti e tubercolosi.

All’inizio immaginarono addirittura che fosse un’infezione batterica da bacillo Pfeiffer, solo che poi si accorsero che il vaccino per debellare questo batterio non funzionava: gli interventi di cura e prevenzione risultarono del tutto errati.

Un grosso errore fu compiuto anche facendo ricorso a dosi massicce di aspirina che peggiorarono la situazione con avvelenamenti da tale medicinale, fattore che amplificò forme di edema polmonare.

La maggiore mortalità fu registrata in persone comprese nella fascia d’età dai 20 ai 40 anni (durante l’ondata più micidiale), si dice perché i più maturi erano stati colpiti da precedenti influenze di tipo H1, quindi predisposti a una difesa naturale più forte.

Anche per la spagnola cercarono le cause originarie dell’epidemia. Non parlarono di pipistrelli. Le ipotesi formulate furono tra le più svariate, come quella che individuava negli uccelli un veicolo iniziale dell’infezione trasmessa ai maiali che popolavano l’area accanto al fronte (forse come riserva di carne? Questa non sono riuscita a capirla e non ho approfondito).

Poi venne fuori l’ipotesi che accomuna quanto è accaduto nel 2020 col Covid: l’origine cinese. All’epoca fu citata dall’Istituto Pasteur. Secondo quella tesi il virus passò negli Usa mutando nella zona di Boston. Poi il passaggio in Europa, prima di tutto in Francia, zona di Brest e lungo le linee di combattimento. La ricostruzione epidemiologica si basava su un riallineamento cronologico dei primi casi della prima ondata, ma anche sull’utilizzo di quasi centomila cinesi chiamati al fronte occidentale per lavorare dietro le linee britanniche e francesi: alcuni di questi asiatici si ammalarono e provenivano da una zona della Cina occidentale dove nel 1917 dilagò una particolare malattia respiratoria.

Un’altra ipotesi dava l’origine già al 1917 in Austria, il tutto secondo l’analisi di archivi medici dell’Impero Austroungarico.

L’influenza Spagnola in Italia

“… maledetta influenza, breve e violenta malattia, brevissima malattia, inesorabile morbo e improvviso crudele morbo”, “[…] preoccupato per l’infierire di questa terribile influenza”, “l’influenza fa strage”, “purché Iddio mi preservi da una ricaduta dell’influenza”, “l’influenza infierisce”: da “L’epidemia spagnola nella corrispondenza e nel dibattito pubblico: il diario del senatore Guglielmo Imperiali di Francavilla e la corrispondenza del senatore Antonio Cefaly”.

Sulla situazione italiana all’epoca, i numeri furono terribili, 600.000 morti e 4 milioni di contagiati su 36 milioni di italiani (poco più della metà dei residenti registrati nel 2020/2022): 240.000 vittime nel solo ottobre 1918.

Milano fu tra le città più colpite con una progressione inesorabile di morti, 850 a settembre 1918, 3.000 nel successivo ottobre, 800 a novembre, 900 a dicembre, per un totale di 5.550 vittime in soli quattro mesi. Tanto che nel pieno del momento più atroce si invitano le persone a osservare varie azioni di difesa/prevenzione come fare gargarismi con acque disinfettanti-dentifrici a base di acido fenico, acqua ossigenata, oltre a non frequentare luoghi affollati e decidere di ritardare l’apertura delle scuole.

Misure adottate a livello nazionale stabilendo anche la chiusura di teatri e cinema, di cimiteri e fiere, la disinfezione di uffici, stazioni, porti, limitando l’orario d’apertura dei negozi di qualsiasi genere, ritardando ancora l’inizio delle lezioni per gli studenti e gli alunni. Ma c’era una guerra da portare avanti e concludere. Quel che accadde come reazione ricalca la serie di proteste localizzate che sono venute fuori tra 2020 e 2022 negli anni Covid.

Gli uomini erano ancora al fronte nel 1918. Molte delle madri rimaste a casa furono uccise dal virus e tantissimi bambini rimasero orfani, un’ondata di bambini indifesi che la Nazione faticava ad assistere.

Anche all’epoca per curare in maniera efficace così tanti malati sarebbe occorso un notevole numero di medici che, purtroppo, non c’era.

Le terapie andavano per tentativi non sapendo come affrontare questi contagi, soprattutto all’inizio. Gli spazi ospedalieri e di cura non bastavano mai, gli ambienti improvvisati per ospitare gli infetti non assicuravano condizioni sanitarie neppure passabili, il personale non preparato propinava terapie in maniera parecchio avventurosa. Una quota importante di sanitari era stata trasferita negli ospedali militari del Nord e vicino alle linee degli scontri per curare i tantissimi feriti di ritorno dai combattimenti.

Sul finire della Grande Guerra (ma non ancora conclusa), non essendo conosciuta l’origine della malattia, le norme di prevenzione adottate dal Governo guidato da Vittorio Emanuele Orlando e trasmesse ai prefetti, erano estremamente generiche:

… «disinfezione frequente dei locali pubblici o aperti al pubblico, pulizia delle strade e smaltimento rapido dei rifiuti. Parallelamente misure precauzionali vengono adottate dalle amministrazioni comunali: chiusura di teatri, scuole, cimiteri, delle fiere, proibizione di cortei funebri e di ulteriori occasioni di assembramento».

Il medico Alberto Lutrario nel suo resoconto “I provvedimenti del governo nell’epidemia di influenza: relazione al Consiglio Superiore di Sanità”, dell 17 ottobre 1918:

«La forma infettiva che ha invaso gran parte d’Italia e che tanta commozione ha destinato nel Paese, non è che un episodio della grande manifestazione epidemica che con fulminea rapidità ha invaso le Nazioni di Europa. Negli ultimi due anni aveva dominato in America in forma molto grave, accompagnandosi ad una intensa epidemia di poliomelite anteriore acuta, che aveva determinato un’alta mortalità infantile. Ora è la volta della vecchia Europa, dove si è propagata con inrefrenabile violenza a tutti i paesi dell’ovest e degli Imperi centrali. La malattia ha guadagnato anche la costa dell’Africa, bagnata dal Mediterraneo e l’Asia. Mancano notizie precise delle nazioni orientali, ma deve esservi molto diffusa, per quanto è dato giudicarne dalle frammentarie informazioni che ci giungono. È una pandemia non dissimile da quelle del 1889-90, che molti in Italia ricordano».

Il Consiglio superiore di Sanità, come riportato dal Corriere della Sera il 24 ottobre 1918:

… «alle voci sorte e diffuse fin dal primo accenno intorno a una più larga e intensa manifestazione della forma morbosa epidemica, apparsa da noi fin dalla primavera scorsa. Si parlò infatti fin da allora di una malattia terribile, misteriosa, ignota nella sua causa e invincibile nei suoi effetti, e di fronte a qualche caso eccezionale di complicanze polmonari particolarmente gravi, riuscito rapidamente a esito letale con sintomi improvvisi di asfissia, si è voluto poi identificare l’affezione polmonare così come in altri paesi provati prima del nostro si era fatto per analoghe circostanze con la peste cinese».

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