La Tarantola che partorisce stelle

Otto zampe, morso velenoso, un essere che fa paura e che causa dolore se non morte (comunque mai provata o documentata). Però nel caso che qui racconto si tratta di una fucina di vita, una sorta di nursery per nuove stelle, quindi possibili sistemi solari in formazione, pianeti e, magari, esseri viventi su quei mondi. Vicina come distanza astronomica, a solo 161.000 anni luce da noi, nella galassia della Grande Nube di Magellano, è la Nebulosa TarantolaNGC 2070 nella Costellazione Dorado, la regione di formazione stellare più grande e luminosa del Gruppo Locale, nome dato al grappolo di galassie più vicine alla nostra, la Via Lattea.

Come per il precedente articolo sui Pilastri della Terra (link), particolare area visivamente suggestiva e che appartiene Nebulosa Aquila M16, anche le nuove immagini della Tarantola sono arrivate dal potente osservatorio orbitale JWST-James Webb Space Telescope. Sono riprese che risalgono al 6 settembre 2022.

Le ho scelte dalle comunicazioni della Nasa proprio per la particolarità di questa nebulosa, per la sua bellezza, ma anche per rimanere sul tema della formazione di stelle e pianeti in queste aree dello spazio ricolme di polveri e gas. Inoltre è veramente spettacolare: se fosse distante dalla Terra tanto quanto la Nebulosa di Orione (ben più vicina a noi: 1.500 anni luce), la vedremmo grandissima, circa 60 volte la grandezza della nostra Luna nella sua fase di totale illuminazione.

Come spiegano alla Nasa, la Nebulosa Tarantola ospita le stelle più calde e massicce conosciute. Anche per questo motivo gli astronomi che decidono e programmano l’attività del Webb l’hanno osservata e hanno registrato immagini concentrando tre degli strumenti a infrarossi ad alta risoluzione a bordo del telescopio.

Vista con la telecamera a infrarossi vicini, la NIRCam, questa regione nebulare somiglia visivamente alla tana di una tarantola scavatrice, foderata con la sua seta (da qui il nome dato alla nebulosa).

La cavità, la parte interna della nebulosa, quella che sta al centro dell’immagine, appare svuotata dal materiale originario, fenomeno avvenuto grazie alle emanazioni radioattive di un ammasso di giovani stelle massicce dal colore azzurro pallido visibili nell’immagine.

Solo le aree che circondano il centro, quelle coloro rossastro-ruggine, le più dense della nebulosa, hanno resistito e resistono ancora all’erosione dei potenti venti stellari di questi astri azzurri formando anche pilastri che sembrano puntare all’indietro verso l’ammasso. Ed ecco che anche qui, come nella Nebulosa Aquila, i pilastri contengono protostelle in formazione, quelle che alla fine emergeranno dai loro bozzoli pieni di polvere e gas interstellare.

A loro volta e grazie alle loro emanazioni di energia, queste neo stelle modelleranno la forma della stessa nebulosa.

Lo spettrografo NIRSpec del James Webb Space Telescope ha catturato l’immagine di una stella molto giovane mentre stava facendo proprio questo (vi ricordo che, vista la distanza, le immagini che percepiamo raccontano quanto stava avvenendo 161.000 anni fa: scrivere al passato è d’obbligo).

In precedenza gli studiosi immaginavano che questa stella potesse essere un po’ più vecchia e già in procinto di eliminare una bolla di materia attorno a se stessa. Invece, il NIRSpec ha mostrato che la stella stava appena iniziando ad emergere dal suo pilastro rimanendo ancora avvolta in una nuvola di polvere isolante. Senza il sistema di valutazione con spettri ad alta risoluzione del Webb sulle lunghezze d’onda dell’infrarosso, questo momento di formazione stellare non sarebbe stato rivelato.

Il gas più freddo, quello più lontano dal centro, assume un colore ruggine. Grazie agli spettrometri del Webb gli astronomi hanno compreso che c’è una ricca presenza di idrocarburi complessi.

La regione assume un aspetto diverso se osservata sempre nell’infrarosso, ma nelle lunghezze d’onda più lunghe, quelle rilevate dal Mid-infrared Instrument (MIRI) del JWST-James Webb Space Telescope.

Quest’ultima tipologia di osservazione, spiegano alla Nasa, ha fatto svanire le stelle calde, mentre ha illuminato e ha fatto brillare il gas più freddo e la polvere. Proprio nelle nubi stellari sono diventati visibili punti luminosi che indicano protostelle lì incastonate, astri in formazione che stanno ancora crescendo in massa assorbendo il materiale circostante.

Mentre le lunghezze d’onda più corte della luce vengono assorbite o disperse dai granelli di polvere nella nebulosa, quindi non rilevabili dal telescopio orbitante Webb, le lunghezze che caratterizzano il medio infrarosso, frequenze più lunghe, penetrano nella stessa polvere mostrando un ambiente cosmico mai visto prima.

L’interesse degli astronomi per la Nebulosa Tarantola è che questa ha composizione chimica simile a quella delle gigantesche e lontanissime regioni di formazione stellare, osservate al così nominato Cosmic Noon-Mezzogiorno Cosmico dell’Universo.

Di che si tratta?

Era un momento in cui l’Universo era ancora giovane, circa 2 o 3 miliardi di anni dal Big Bang. Periodo di grande fermento, le galassie si formavano velocemente, le stelle al loro interno nascevano tumultuosamente e con grande rapidità (astronomicamente parlando) in quello che è stato definito come un brillante mezzogiorno, una similitudine con il momento più luminoso di una giornata terrestre.

Lo stesso comportamento avviene proprio dentro la Nebulosa Tarantola, ma non è tipico dell’oggi. Infatti, basta considerare quanto avviene nella nostra Via Lattea: qui tutto avviene con più gradualità e lentezza, le stelle hanno vita più lunga e il loro processo di nascita-morte è più dilatato nel tempo.

Gli astronomi hanno diverse domande alle quali dare risposte per comprendere i meccanismi di questi differenti sviluppi delle attività stellari, a velocità così diverse. Perché quel picco velocissimo di nascita e crescita di galassie e stelle a 2/3 miliardi di anni dal Big Bang, poi il rallentamento? Quanto sono state importanti le influenze tra oggetti vicini, tra gruppi di galassie, nel dare forma e tempi a questa evoluzione?

Molti dati in più arriveranno dopo il lancio previsto per maggio 2027 del telescopio spaziale Nancy Grace Roman o Wide Field InfraRed Survey Telescope-WFIRST (Telescopio per rilievi a infrarossi ad ampio campo).

Questo dispositivo sarà capace di catturare con un’unica inquadratura migliaia di oggetti tra galassie e stelle grazie al suo campo visivo che, in luce infrarossa, è di 200 volte maggiore rispetto a quello del telescopio spaziale Hubble. Se la data del lancio sarà confermata, tra cinque anni dovrebbero iniziare ad arrivare queste prime immagini ad ampio raggio da porzioni di spazio lontane miliardi di anni luce.

I ricercatori potranno esaminare anche lo spettro di una singola galassia per conoscere l’età delle sue stelle, la sua storia di formazione stellare, quanti elementi chimici pesanti contiene e tanto altro ancora.

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