Primo rapporto Censis “Gli italiani e il fumo”. Grande fumatore, grande solitudine. Informazione faidaté. Servono più prevenzione e sostegno a smettere

È l’informazione il grande tallone d’Achille nel mondo dei fumatori: si informano sul web, danno retta alle tesi che si passano conoscenti, amici e parenti. Però non ha funzionato neppure il sistema di prevenzione e avviso tramite avvisi sui pacchetti e tramite i centri antifumo. Queste e altre sfaccettature sono venute fuori grazie al Primo rapporto Censis Gli italiani e il fumo, indagine portata avanti anche con il contributo di Philip Morris Italia, lavoro presentato nella sede del Cnel a Roma il 16 novembre.

Al tavolo dei relatori, per la presentazione del rapporto Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e Salute del Censis, poi Vincenzo Contursi, responsabile Scuola di Alta Formazione Siicp, Francesco Fedele, responsabile Prima Cardiologia, Dipartimento Scienze Cardiovascolari dell’Università La Sapienza di Roma, Andrea Fontanella, presidente Fondazione Fadoi, Giorgio Vittadini, presidente Fondazione per la Sussidiarietà. Moderazione dell’incontro a cura di Ernesto Diffidenti, giornalista del Sole24Ore.

A maggio 2022, secondo l’ISS, i fumatori maggiorenni in Italia sono il 24,2% della popolazione (12.400.000 fumatori) e gli utilizzatori (occasionali + abituali) di sigaretta elettronica (e-cig) sono il 2,4% (circa 1.200.000 persone, mentre gli utilizzatori (occasionali + abituali) di prodotti a tabacco riscaldato (HTP) sono il 3,3%, per un totale di 1.700.000 utilizzatori.

“I fumatori italiani si dichiarano informati sulle varie tipologie di prodotti da fumo, ma questa informazione si basa principalmente sul passaparola. Sono infatti informazioni acquisite soprattutto da fonti paritarie e sul sentito dire, in cui riferimenti istituzionali e scientifici, come quelli forniti dal proprio medico curante, hanno una rilevanza relativa – ha sottolineato Ketty Vaccaro, responsabile dell’area Welfare e Salute del Censis – Sulla base di queste informazioni autogestite poi però i fumatori italiani hanno preso delle decisioni rispetto alle loro abitudini al fumo. Per esempio quella metà circa del nostro campione che ha deciso di cambiare, è passata a prodotti ‘smoke free’. Altro elemento importante è che il 61% dei fumatori dice che vorrebbe smettere di fumare e non c’è riuscito. Questi soggetti trovano un interlocutore importante nel proprio medico curante: il 37% riferisce che il medico gli ha detto di smettere di fumare però solo il 7% dice che li ha indirizzati a un centro antifumo”.

Purtroppo stiamo vivendo un’epoca in cui su tutti gli argomenti più importanti e vitali, a cominciare da quelli sulla salute, la gente dà più ascolto a informazioni ottenute non da fonti primarie, quindi non verificabili o “accreditate” grazie a fonti non scientifiche, a catene di sant’Antonio. Scene e comportamenti già visti per quanto riguarda la pandemia da Covid.

Su scelte che riguardano il fumo accade la stessa cosa. Proprio i fumatori conoscono le sigarette tradizionali, quelle elettroniche, ma sono meno ferrati sui prodotti a tabacco riscaldato. Questa informazione è sostanzialmente autogestita, basata appunto sul passaparola. Eppure la gente vorrebbe sapere di più dagli interlocutori tradizionali, conoscere più approfonditamente i rischi per la salute, essere meglio guidati da chi ha autorevolezza.

“L’impressione è che ci sia un ‘fai da te’ generalizzato sia sotto il profilo dell’informazione sia sotto il profilo della autogestione anche di questa intenzionalità di smettere di fumare – ha evidenziato la responsabile dell’area Welfare e Salute del Censis – Il fenomeno è complesso. Non è più sufficiente un atteggiamento in cui si afferma una posizione massimalista. Alcune strategie non hanno funzionato, non sul fronte dei giovani per evitare che inizino a fumare e non sui fumatori per alleggerire la dipendenza e farli smettere di fumare. Proprio perché il fumo rappresenta una priorità importante per le politiche di sanità pubblica, perché è un fattore di rischio per tutta una serie di patologie, ritengo sia molto importante una presa di posizione istituzionale perché le attuali strategie poste in essere, come la dissuasione attraverso le immagini poste sui pacchetti di sigarette o la stessa funzionalità dei centri antifumo, hanno avuto ad oggi, nel nostro Paese, un’efficacia limitata. Bisogna potenziare gli strumenti iniziando, per esempio, dalle indagini psicologiche che mettano in luce il legame con la dipendenza. Indagini sui casi e sui danni individuali”.


“Bisogna aumentare la gamma di azioni necessarie per promuovere una strategia di prevenzione, da una parte, e di sostegno dall’altra, ai fumatori che vogliono smettere di fumare, perché il fenomeno è complesso – ha aggiunto la ricercatrice – è molto difficile smettere di fumare se non c’è un sostegno complessivo in questa direzione. E quindi ritengo essenziale sviluppare quella funzione di informazione e di sostegno che per primi i fumatori chiedono ai soggetti istituzionali e che aumenterebbe le potenzialità di efficacia di un intervento di sanità pubblica che deve avere come obiettivo la prevenzione dal fumo e l’eradicazione, se possibile, di questa abitudine così dannosa”.

“Non si può essere proibizionisti, ma il mondo del fumo va controllato e regolamentato come qualsiasi altro – ha detto Giorgio Vittadini – Il fumo eccessivo è legato al vivere da soli, a momenti di solitudine e stress. La persona sola è il prototipo più diffuso di grande fumatore. Perché non puntare sul terzo settore per una forte azione di informazione e prevenzione, sui volontari che informino capillarmente creando un’alleanza con alcuni produttori sensibili e con istituti scientifici?”.


Il professore Francesco Fedele ha poi rimarcato che “per la prevenzione non c’è solo una strategia del sì e del no al fumo, ma c’è un’ampia area intermedia. Dobbiamo far passare il concetto di riduzione del rischio, ma ci sono da considerare tutti i casi, fumatori strettamente diversi fra loro, c’è chi lo è per il puro gusto del tabacco e c’è il fumatore nevrotico. Per questo l’informazione deve essere legata alla realtà e far capo a fonti autorevoli. Il fumatore ha già compreso il peso delle componenti del fumo, della nicotina, del tabacco che la contiene, della combustione che esalta le conseguenze dannose e pericolose. In questa catena è molto importante l’informazione da parte del medico che deve imparare di nuovo a parlare col paziente”.


“Lo scopo principe è quello di non fumare. Ma non si può ragionare in maniera assoluta – ha detto Andrea Fontanella – Solo il 10% riesce a smettere, quindi non vedo perché non si debba valutare l’ipotesi di una riduzione del rischio attraverso strade non ancora dimostrate, ma che potrebbero ridurre almeno le componenti tossiche. Ma il problema principale è che non sono i medici a veicolare queste informazioni. Si accede a questi prodotti per il passaparola o da internet. E solo il 2% chiede consigli al proprio medico. Questo fenomeno è diventato ormai una moda, non può essere gestito senza i medici che devono essere ben informati per dare risposte più puntuali ai pazienti”.

A questo punto è bene passare all’analisi punto per punto di quanto è venuto fuori dal rapporto del Censis.

I risultati dell’indagine condotta dal Censis-Centro Studi Investimenti Sociali

Il rapporto Gli italiani e il fumo si basa su un campione di oltre 1.300 fumatori dai 18 anni in su e su due sub-campioni di utilizzatori di sigarette elettroniche e di prodotti a tabacco riscaldato (rispettivamente 459 e 385).

Il 71,8% dei fumatori conosce le sigarette elettroniche e il 54% i prodotti a tabacco riscaldato.

I livelli di conoscenza dei prodotti innovativi sono maggiori nella fascia di età tra 18 e 34 anni e tra chi possiede livelli di istruzione più elevati.

Tra le fonti di informazione prevale nettamente il ruolo del passaparola tra gli utilizzatori: quasi la metà (il 49,0%) di chi conosce questi prodotti è stato informato da amici e conoscenti che li usano.

Internet è una fonte di informazione per il 23,1%, mentre il 16% è stato informato dal rivenditore.

Queste le prime evidenze del sondaggio che intende di analizzare i livelli di conoscenza e le valutazioni dei fumatori sui prodotti senza combustione, quindi sigarette elettroniche e prodotti a tabacco riscaldato.

I prodotti smoke free: la percezione dei rischi

I prodotti smoke free sono percepiti come meno dannosi per la salute (55,1%), anche perché gli intervistati rilevano minori problemi fisici, come tosse e mancanza di fiato (58,2%) oltre che estetici, con minori effetti su unghie e pelle (69,3%).

Il tema dell’iniziazione viene segnalato come un potenziale rischio da circa la metà degli intervistati (49,2%), ma il 30,3% è convinto che aiutino a smettere di fumare, convinzione che è più diffusa dagli utilizzatori (il 44,9% tra gli utilizzatori di e-cig e il 35,2% tra chi fuma Htb), meno tra i fumatori tradizionali (18,1%).

Sintesi della ricerca – cliccare al link qui di seguito per il documento pdf:

Come e perché cambiano le scelte individuali

La metà degli intervistati ha detto di aver cambiato le proprie preferenze riguardo al fumo. Il cambiamento più importante è la riduzione del consumo di sigarette tradizionali grazie all’utilizzo di prodotti senza combustione (45,1%).

Il cammino inverso, quindi il passaggio verso le sigarette tradizionali, è molto più raro(6,9%).

Circa un fumatore su cinque è passato a prodotti senza combustione e ha smesso del tutto di fumare.

Perché questo passaggio? La fetta più grande del campione ha scelto i prodotti senza combustione perché ha percepito che sono potenzialmente meno dannosi per la salute. Un pensiero che è condiviso sia dai consumatori di prodotti tradizionali che hanno utilizzato i prodotti senza combustione (38,3%), sia da coloro che oggi utilizzano solo prodotti senza combustione (46,8%).

Le fonti di informazione come influenzano l’idea di salute e la decisione di smettere

Per il 37,1% dei fumatori, i documenti forniti dal ministero della Sanità o dall’Organizzazione mondiale della sanità sono le fonti più certe per ricevere informazioni sui rischi connessi al fumo. Subito dopo nella classifica dell’attendibilità, segue il medico curante (27,2%) e internet (12,6%).

Il 37%  rimarca di essere stato invitato dal medico a smettere del tutto di fumare, però non è piccola la percentuale di quanti affermano di non avere mai parlato della propria abitudine al fumo con il medico (21,1%).

Il 61% ha pensato di smettere di fumare, ma il 17,2% non ci ha mai provato.

Importante la fetta di fumatori che ha tentato di smettere, ma ha ricominciato (43,8%).

L’8% circa (percentuale che sale al 13,3% tra gli utilizzatori di e-cig e al 9,9% tra i consumatori di prodotti a tabacco riscaldato) non ha smesso di fumare, ma è passato ai prodotti alternativi.

Il 22% dei fumatori (il 24,7% tra gli utilizzatori di sigarette tradizionali) ha ridotto le quantità, mentre l’8,6% (l’11,9% tra gli utilizzatori di sigarette tradizionali) afferma invece di non aver mai pensato di smettere di fumare e che non ne ha alcuna intenzione.

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