Di cosa sto scrivendo? Di momenti delicati delle nostre giornate, spesso minuti dedicati a profondi pensieri, riflessioni serene o più… agitate, tutti comunque finalizzati a un risultato appagante. Conclusione non sempre felice, ma a quella si tende e ci si sforza. Dagli strumenti arcaici come foglie, sabbia passando per lo Xylospongium o Tersorium romani o ritagli di stoffa usati come panni o piccoli asciugamani adoperati fino a non tanti decenni fa, giungendo a graziose strisce di carta, le nostre compagne di oggi in istanti delicati.
Immaginate l’antico cacciatore, il cosiddetto uomo primitivo, dedito alla caccia e alla protezione delle primitive tribù. Avrà portato con sé conoscenze ataviche già acquisite completandole con sperimentazioni sul campo. La caccia, momento che lo portava lontano dalla grotta e dai primi rudimentali rifugi autocostruiti in pelli, rami, canne. Eppure, in queste lunghe esplorazioni per procacciarsi il cibo poteva venir fuori il momento del “bisogno”. Normale funzione biologica esistente da sempre, da quando sulla superficie del mondo esistono esseri biologici che ingurgitano cibo e debbono poi espellere gli scarti.
Ecco, espellere scarti dopo la digestione. I problemi devono essere sorti ben prima che nascesse uno strumento comunicativo come la parola. Immaginative a espletare la funzione e avere l’urgenza di pulire la parte dedita alla defecazione, pena trovarsi preda di fastidi, bruciori anche importanti oltre a immaginabili infezioni.
Riconosco che l’uomo, allontanandosi dallo status scimmiesco, ebbe sempre maggiori esigenze di detersione per evitare la possibilità di pessime conseguenze.
Le foglie rappresentarono una bella soluzione e, come per qualsiasi strumento ideato, trovato e perfezionato dall’uomo, non tutte potevano essere utilizzate, pena ulteriori danni per proprietà urticanti palesi (immaginatevi l’antenata dell’ortica) o per quelle più nascoste portate da alcuni tipi di linfa velenosa.
In aree più aride, nell’attraversamento di deserti, uno strumento perfetto era la sabbia. Forse un po’ rude, ma molto adatto. Pensate che un amico fotografo mi raccontò come alcuni anni fa, in zona Siria diretto verso sud con altri colleghi, l’unico modo per lavarsi anche dopo alcune funzioni, era quello di strofinarsi con la sabbia. Usanza necessaria in ambienti a scarsità d’acqua che doveva essere conservata per berla. Per millenni è stato così.
Necessità fa virtù, soprattutto quando questa funziona.
Panni di lino o fibre vegetali sulle sponde ricche d’acqua dell’Antico Nilo, lì dove gli antichi egizi per detergersi il fondo schiena potevano approfittare del fiume (ma attenti alle mascelle di coccodrilli e ai morsi di scontrosi ippopotami) e delle acque canalizzate lungo i terreni fertili, Tutto questo faceva parte di un ampio sistema per la pulizia del corpo mescolando acqua con del natron o “nṯry” (carbonato decaidrato di sodio) e altre sostanze pulenti/abrasive: il vocabolo egizio influenzò quello greco Νίτρον che, a sua volta, determinò quello latino Natrium alla base dell’attuale denominazione chimica del sodio, Na. In alte concentrazioni era utilizzato per l’imbalsamazione dei corpi sfruttando la sua capacità di assorbire l’acqua nella preparazione delle mummie. Ma questa è un’altra storia.

Comunque, sulle rive del Nilo la gente si lavava almeno una volta al giorno. Dopo lavori o compiti molto faticosi, la frequenza aumentava ed era d’obbligo quando si “andava al bagno”, se così poso scrivere. Bicarbonato di sodio in acqua per lavarsi i denti quotidianamente, poi la pulizia di capelli e delle unghie e, a seconda di chi poteva permetterseli, oli, unguenti o grassi (animali o vegetali) profumati per proteggere la pelle ed evitare l’odore di corpo sudato. Anche creme deodoranti con combinazioni di spezie come la cannella e agrumi. Potete immaginare quindi che importanza potesse avere la pulizia delle parti intime, soprattutto dopo lo svolgimento di determinate funzioni corporali.




Xylospongium o Tersorium: a che serviva?
Il mondo dell’Antica Roma ci ha sorpreso sotto tantissimi aspetti, la capacità ingegneristica ed architettonica per esempio, quella di edificare strutture del tutto nuove per l’epoca o di rielaborare e potenziare quelle già note. Poi la rete stradale e, naturalmente, tutto quello che riguardava la pulizia e l’igiene.
Terme e latrine, i preziosissimi e ingegnosi acquedotti, la Cloaca Maxima di Roma, esempio principe di condotta fognaria. A tutto questo che riguardava il benessere e l’igiene, l’apporto di acqua utile alla vita e alle attività, si aggiungono gli strumenti per la pulizia degli ambienti e della persona.
Lo Xylospongium o Tersorium è stato – e rimane – un oggetto dalla funzione ancora dibattuta. Una cosa è certa: il suo utilizzo era nelle latrine e finalizzato al dopo defecazione.
Si trattava di un bastone sulla cui cima veniva fissata una spugna.
Cosa non è certo sul suo utilizzo?
Due le scuole di pensiero che si contrappongono.
Per una tesi questo bastone era utilizzato dopo che un antico romano era andato in bagno: lo usava per lavarsi il sedere e la zona dell’ano. Poi lo strumento veniva immerso in un vaso con acqua, aceto e sale in modo da poter essere adoperato dal cittadino successivo. Seneca, nelle sue Epistole a Lucilio (I, 70, 20) e Marziale (Ep., XII, 48, 7) descrivono questi strumenti come “inmanicati e utilizzati per la corporea pulizia“.
Per l’altra ipotesi si trattava invece dell’antenato del nostro scopino per il water, quindi mirato alla pulizia del sedile e della sua parte interna in cui erano rimaste tracce di feci. Per pulirsi il sedere sarebbero stati utilizzati rettangoli di stoffa,
Ritengo comunque che le due utilizzazioni coesistessero dipendendo dalle usanze diffuse in quartieri e in città differenti: le testimonianze infatti parlano di questo strumento nei due sensi.
Il sistema romano delle latrine vedeva allineati diversi sedili, in marmo o pietra (quelli più igienicamente corretti), altri in legno ancorati alle pareti dei locali solitamente quadrangolari. Tali sedili, nominati sellae pertusae, avevano un’apertura centrale verso il fondo dove continuamente scorrevano l’acqua: questo elemento abbondava, tanto che nel primo secolo dopo Cristo Roma poteva immagazzinare quotidianamente quasi mille litri di acqua potabile per residente, circa un milione di metri cubi totali.
Latrine comuni quindi (poche quelle private, per le famiglie più ricche), stanzoni dove non cera problema a sedersi tutti insieme, a chiacchierare mentre si completava la propria funzione corporea. I romani invocavano pure due divinità, Sterculius per la migliore e soddisfacente espulsione delle feci e Crepitus per liberare l’intestino dall’aria liberandosi.
Il continuo passaggio dell’acqua nel canale a fondo di questi sedili, potava via le feci verso il percorso principale e verso le cloache.
Ripulitisi il sedere si lavavano poi le mani in altre canalette d’acqua che scorrevano davanti ai sedili stessi.
Quei romani costruivano latrine anche per gli accampamenti militari: ufficiali e legionari non se ne andavano in giro nelle campagne e nei boschi per fare pipì o defecare. Per loro sarebbe stato impensabile.
Negli angoli più lontani dell’Impero sono state trovate latrine, anche in Britannia e in alcuni punti del Vallo di Adriano che separava la parte dell’isola sotto controllo di Roma dalle lande barbare più a nord.
► A Roma, per precisione al Gianicolo in via Garibaldi, sotto San Pietro in Montorio, ci sono resti magnifici di una latrina romana con affreschi, a volte con raffigurazioni ardite, frasi spiritose e licenziose in latino e greco, una realtà che disegna un ambiente votato al divertimento. Una frase spicca: “Pos tantas epulas et suava / vina / ut cunnum lingas, / quo cula, quo venter”, tradotta liberamente, “Dopo aver goduto dei piaceri della tavola è bene fare un salto qui prima di dedicarsi poi, leggeri, ai piaceri dell’amore”.
Peccato che l’esplorazione archeologica di questa latrina scoperta nel 1963 non sia stata portata avanti. Buona parte della parete ovest non è più praticabile perché finita sotto al terrapieno di via Garibaldi, mentre sul lato nord l’originario canale di scorrimento delle acque luride è stato distrutto quando, sempre nel 1963, furono edificati due piloni in cemento per sostenere il terrapieno di piazza San Pietro in Montorio.


Di tali latrine dette foriche ce ne sono anche a Ostia Antica e, in tracce, anche alla Crypta Balbi e al Foro dell’Argentina. Quando a governare era l’Imperatore Diocleziano, Roma aveva ben 177 di queste strutture.
Quello che mi ha lasciato perplesso è l’assurda valutazione moderna che fanno alcuni oggi sull’uso del Xylospongium o Tersorium, soprattutto da parte di non italiani e di retaggio anglosassone, ma non solo. Non avrebbe dovuto farmi impressione visto che viviamo un’epoca dove si mette in dubbio anche il fatto che la Terra sia tonda.
Rammento di aver pescato un articolo a firma di un certo Peter P. per lo spazio web short-history.com. Quell’autore si definisce “History junkie/Drogato di storia. Qualità più che quantità”. Lui titola il suo articolo “The Disgusting Roman Toilet Brush for a Butt Caused Spread of Diseases“. Traducendo in Italiano, l’espressione sta per “Il disgustoso scopino romano per il culo ha causato la diffusione di malattie“. L’articolo ha pure un sottotitolo: “The ancient Romans didn’t use toilet paper, instead, they cleaned themselves with a shared toilet brush“. Tradotto per noi discendenti dei Cesari, sta per “Gli antichi romani non usavano la carta igienica, ma si pulivano da soli con uno scopino comune“.
Il sottotitolo mi fa particolarmente ridere per lo stupore arrogante (semi disgusto sottinteso?) suscitato dal fatto che i romani di due millenni fa non usavano la carta igienica. Una frase senza senso peggiorata poi da un’altra all’interno dello stesso articolo: “However, they failed at hygiene in their toilets.” – “Tuttavia, hanno fallito nell’igiene nei loro bagni”. L’autore nel suo articolo individua pure una colpa: purtroppo i romani non avevano conoscenze mediche su germi e virus.
Ma all’epoca chi aveva adeguate conoscenze su virus e batteri?..
Calandosi nella realtà di quel momento storico così distante, la carta era materiale preziosissimo, molto più a Roma che nell’Antico Egitto. Era ugualmente parecchio usata, ma non esisteva la tecnologia per farne carta igienica… a prescindere dal numero dei veli e di piani di morbidezza immaginati.
Vorrei fare delle domande al signor Peter, autore di quella sorta di articolo: in quella lontana epoca come si pulivano il culo (scusate il termine forse troppo… profondo) in altre parti del mondo? Come facevano i britanni, i galli, i goti, gli iberici e tantissimi altri popoli? Quali infezioni riuscivano a evitare e con quali sconosciuti e antichi metodi? Riuscivano a farlo senza il diffuso e quotidiano apporto di acqua che era tipico del sistema romano?
Comunque, l’Impero dei Cesari non è di certo caduto per una dannosa pulizia dei sederi dopo che i latini andavano in bagno. L’igiene nelle latrine era tra le più alte del mondo.
Il Celeste impero cinese adottò un sistema simile: lungo la storica e lunghissima Via della Seta i punti di sosta avevano anche delle latrine. Gli archeologi in alcuni scavi hanno trovato dei bastoncini per l’igiene personale. Ne hanno trovati alcuni in un sito archeologico alla periferia del bacino del fiume Tarim, nello Xinjiang, con resti risalenti alla dinastia Han, quindi circa 2000 anni fa.
Come erano fatti questi antichi strumenti cinesi per pulire il sedere? Erano in bambù e un’estremità era avvolta in tessuto, quella che serviva per pulirsi.
I problemi vennero proprio nei momenti storici successivi all’Antica Roma, quando era persino considerato un peccato farsi il bagno, detergersi come si deve, quando si perse la cura della diffusione d’acqua nelle città, nei centri urbani.
Dal Medio Evo in poi anche i castelli ebbero le loro latrine, ma non c’era acqua a scorrimento. Erano strutture isolate ricavate in torrioni o nelle mura di fortificazione. Avevano un sedile in pietra con tavola in legno dotata di foro: gli escrementi scivolavano verso il basso finendo nei fossati, pieni d’acqua o meno.
I soldati e i cavalieri come pulivano il proprio sedere? Uno dei metodi era quello di usare foglie di cavolo da passare sulla parte raccogliendo lo sporco rimasto. Pare fossero molto efficienti in questa funzione igienico-pulente, come attestato al Castello di Marienburg (“Castello di Maria”), oggi Malbork, voluto dai Cavalieri dell’Ordine Teutonico nel XIII secolo, edificato sulla sponda sudorientale del fiume Nogat (attuale Voivodato della Pomerania in Polonia): lì i cavalieri avevano un torrione con una serie di latrine.
Altro esempio ben più tardo, nell’America coloniale, quando gli inglesi per la loro igiene personale usarono anche foglie di pannocchia essiccate. Forse un metodo un po’ troppo ruvido per quei poveri sederi?


Qui sorvolo sul lungo trascorrere del tempo, quello che è intercorso fino all’arrivo della carta igienica. Ci sono racconti di nonni e di bisnonni in cui si parla di pezzuole per pulirsi il sedere dopo essere andati in bagno. Quando se ne racconta in libri ambientati anche nei primi del 1900, sempre di pezzuole si scrive. Non era il massimo in fatto di igiene, bisognava avere diverse pezze in casa: appena usate si doveva metterle in un contenitore, in una cesta, perché dopo dovevano essere lavate, disponibili di nuovo all’uso.
Poi c’era pure chi usava la carta da giornale o quella dei cataloghi perché era più sottile.
Immaginatevi la situazione. Oggi provoca in noi un certo raccapriccio.

Del resto non si poteva fare altrimenti. Dopo eventi isolati a favore di regnanti e altissimi personaggi, solo nel 1857 la carta igienica fu ideata negli Stati Uniti da Joseph Gayetty: era nominata “carta medicata” ed era in canapa e aloe. Dal 1890 comparirono i primi rotoli, prodotti dalla Scott Paper Company di Philadelphia fondata nel 1879 (però il foglio era tutto intero – quello in foglietti a strappo arrivò poco tempo dopo).
In Europa? Ci pensò il Regno Unito nel 1942 con una carta igienica a… doppio velo!
Festeggiamo quindi l’arrivo dei dieci piani di morbidezza della nostra carta igienica.
Posso affermare, senza timore di essere smentito, che siamo stati molto fortunati a nascere in questa era.
Se fossi nato nell’antichità e potendo scegliere, avrei preferito le latrine romane e il mondo della Roma imperiale. I villaggi gallici o dei britanni non avrebbero fatto per me, a cominciare dal… farla per campi e boschi dovendo poi usare qualche foglia presa a caso per tentare una precaria pulizia del posteriore. Ma neppure neppure le latrine medievali e le foglie di cavolo erano per me.
Voi che ne dite?
Articolo molto interessante, letto con piacere.
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Mi fa piacere. Ho voluto scegliere un binario diverso e più sul nostro quotidiano per raccontare storie
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