Uno dei momenti letterariamente più noti è quello tra Dante e Beatrice. La Divina Commedia descrive un momento parecchio duro per il Sommo che in quei versi riconosce se stesso. Confronto, confessione. Le colpe sono visibili e note anche quando non si ha il coraggio di ammetterle. Siamo inevitabilmente nudi. Il fiume Lete, il Grifone e loro due. Beatrice lo esorta a confessare per completare la sua purificazione.
Tutto viene narrato nella Divina Commedia, Purgatorio, Canti XXX e XXXI. Dante è salito in cima al Monte Purgatorio nel precedente Canto XXVII ed è entrato nel Paradiso Terrestre al Canto XXVIII.
Fuori dal fiume Lete, il fiume dell’oblio della mitologia greca e romana, Beatrice è lì, proprio di fronte, accusatoria e praticamente spietata. Dante sente lo strazio di questo richiamo duro, viene messo di fronte alla sua colpa, invitato a guardare Beatrice che, seppur divinamente splendida, ha mutato aspetto e comportamento nei suoi confronti.
Confessare renderà lieve la reazione di Dio.
Parallelamente, scendendo alla nostra realtà quotidiana, potrei affermare che rende più lieve l’animo di chiunque a prescindere che creda o meno in Dio. Riconoscere di essere stati protagonisti di colpe, di mancanze, di scelte errate. Chiamatele come credete.
Anche di aver tradito la nostra stessa natura, la prima colpa in assoluto.
Tornando all’Opera dantesca, tutto poggia su un fatto. Quando Beatrice morì, la sua prediletta rimasta senza vita, Dante si fece trascinare da attrattive molto terrene, la sua attenzione fu verso una giovinetta e non solo. Insomma, lui si dimostrò molto più terreno dimenticando il suo grande Amore. Dimenticò ogni ideale. Ogni sentimento lo buttò nel fango per soddisfare solo piaceri fisici, immanenti, inseguire qualcosa di effimero.
“[…] Ben ti dovevi, per lo primo strale
de le cose fallaci, levar suso
di retro a me che non era più tale.–
Non ti dovea gravar le penne in giuso,
ad aspettar più colpo, o pargoletta
o altra novità con sì breve uso.–
Novo augelletto due o tre aspetta;
Purgatorio Canto XXXI – a parlare è Beatrice, in un frammento di quanto pronuncia rinfacciando a Dante di aver avuto un comportamento di bassissimo profilo
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
rete si spiega indarno o si saetta”.
Prima il pianto lo assale, poi giunge l’ordine di Beatrice. deve smettere di piangere e alzare la testa: le parole di lei vogliono richiamare quelle confessanti di Dante. Lui deve guardarla direttamente, sollevare lo sguardo, anche se questo gesto si dovesse tradurre (e così sarà) in un tormento maggiore.
Al che il poeta, finalmente, la osserva. Lei è rivolta al Grifone del suo carro e appare in tutta la sua bellezza pur essendo velata.




E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
da loro aspersïon l’occhio comprese;–
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
ch’è sola una persona in due nature.–
Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
vincer pariemi più sé stessa antica,
vincer che l’altre qui, quand’ella c’era.
Beatrice si presenta guardando la fiera (Grifone) ch’è sola una persona in due nature e che rispecchia lei stessa.
A spiegare questa dualità ci arrivo presto.
La visione splendida, la forza del pentimento, l’odio per quello che sulla Terra lo aveva distolto dai suoi ideali, tutto questo travolge Dante e lo fa svenire.
Il poeta-viaggiatore rinviene poi e si ritrova dentro al fiume Lete. Solo la sua testa è fuori dalle acque ed è trascinato da Matelda. Quest’ultima è una figura storicamente reale, forse Matilda di Canossa, ma nella Divina Commedia è simbolo della condizione umana prima del peccato originale.
In questa situazione, sospeso in parte sulle acque, il poeta sente gli angeli cantare dolcemente “Asperges me”. In risposta al canto, la stessa Matelda apre le braccia facendolo sprofondare, ma non solo: lo spinge con la testa sott’acqua, costringendolo a bere.
L’acqua del fiume dell’oblio cancella le colpe dalla sua mente.
L’atto purificatore, frutto del pentimento, è compiuto.
Fuori dal fiume Lete, Dante viene portato da quattro donne verso la divina Beatrice. Le quattro rappresentano le virtù cardinali, ma anche ninfe nell’Eden e stelle nel cielo.
Beatrice è allegoria dell’avvento di Cristo.
Le quattro figure femminili, dicendo di aver operato come ancelle di lei prima che nascesse, sottintendono di aver preparato la discesa di Gesù sulla Terra.
Beatrice fa avvicinare Dante per fare sì che lui la guardi dritto negli occhi.
Il poeta-postulante viene aiutato da altre donne di ancora più alto livello, simbolo delle virtù teologali.
Finalmente Dante, ormai vicino, osserva gli occhi di Beatrice. Quelli di lei sembrano smeraldi. Nel Medioevo questa era ritenuta la pietra-simbolo della giustizia, della fedeltà, della speranza, rivelatrice di inganni, opposta ai gesti impuri.
Sempre dal Purgatorio, ma dal Canto VII (73, 81): “Oro e argento fine, cocco e biacca, indaco, legno lucido, sereno, fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, da l’erba e da li fior dentr’a quel seno posti, ciascun saria di color vinto, come dal suo maggiore è vinto in meno. Non avea pur natura ivi dipinto, ma di soavità di mille odori vi facea uno incognito e indistinto”.
È il momento. I due sguardi si fondono, si compenetrano.
Dante vede persino il Grifone negli occhi di Beatrice.
Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
che pur sopra ’l grifone stavan saldi.–
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
or con altri, or con altri reggimenti.
Perché il Grifone?
Questo animale fantastico raffigura Cristo e, come lui, ha due nature, corpo e anima, in Cristo umana e divina, il potere sulla Terra e nei cieli, dualità che si alterna nello sguardo di Beatrice. Lei è allegoria della Verità rivelata e della Grazia per l’avvento di Cristo.
Da quel momento Beatrice si svela pienamente nella sua bellezza umana-divina e la svela anche a Dante, il suo fedele, il suo vassallo.
“Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi”,
era la sua canzone, “al tuo fedele
che, per vederti, ha mossi passi tanti!–
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sì che discerna
la seconda bellezza che tu cele”.
Concludo. Tutto questo dovreste calarlo nell’attuale esistenza.
Va al di là delle nostre reciproche tendenze religiose, esistenti o meno.
Il punto rimane uno, essere coscienti di quando inganniamo la nostra essenza, di quando tradiamo gli altri, a cominciare da coloro che ci stanno più vicini. I due tradimenti sono strettamente connessi.
Questa sembra una conclusione moralistica e sempliciotta se paragonata a un’alta opera letteraria, ma non è cosi.
La colpa vera, la somma colpa, rimane questa: distorcere, stravolgere, deludere.