Un assassino e la società… patriarcale? L’ennesima discussione stile social, fuori dalla realtà, procacciatrice di superficiali consensi e di like. Omicidio di Giulia Cecchettin

Società patriarcale che, in un certo qual modo, influenza-determina-coltiva un assassino? Restiamo al concreto, non socializziamo: è “solo” un assassino con una colpa tutta sua. Viviamo una società evanescente di famiglie disattente. La società liquida, questa sì (ne ho scritto qui).

L’omicidio di Giulia Cecchettin.

Un uomo uccide una donna.

Però noi ci mettiamo in mezzo la società patriarcale per spiegare un assassinio nudo e crudo, per trovare presunte radici profonde dell’atto compiuto da una mano omicida. Diventiamo tutti psicologi, psicanalisti, sociologi. Anche miei colleghi giornalisti, conduttori televisivi, montano questo aspetto foriero di tanti “mi piace” e spettatori.

Ormai è uno sport diffuso, tutti si intendono di tutto, si sbilanciano in sproloqui e presunte valutazioni dotte, sui social soprattutto. Ma non mancano paginate intere di giornali, interventi radiofonici. Sembra che ci sia un obbligo diffuso a dover dire per forza qualcosa su ogni cosa proponendolo come contenuto colto e profondo.

La verità? È doppia.

– Su questo atroce fatto non sappiamo praticamente nulla di quel che stiamo parlando.
– C’è un uomo che ha trucidato una donna pianificandolo e nulla più.

Sfrondiamo la verità dalle speculazioni mentali che la nascondono.

L’assassino, Filippo Turetta, ha pianificato tutta l’azione conclusa poi con la morte di Giulia, sacchi di plastica e ogni cosa poteva occorrergli.

Ha architettato ogni capitolo.

Particolarmente rivelatore di questo è il percorso scelto per buttare via il corpo della ragazza come fosse un rifiuto. Il Lago Barcis e il dirupo dal quale l’omicida ha lanciato il corpo di Giulia: come raccontatomi da un caro amico veneto che conosce la zona da anni, per raggiungere quel punto di notte bisogna fare un lunghissimo percorso non illuminato, buio, tra salite e discese, buona parte del tragitto strettissimo e molto pericoloso. Quasi impossibile per chi non conosce quei luoghi. Oltretutto, il tratto fortemente stretto e in discesa da percorrere per raggiungere il dirupo, è chiuso da una sbarra per la sua pericolosità. L’assassino ha aperto quell’ostacolo e doveva sapere che c’era.

È dannatamente superficiale, cretino tirare in ballo, a fine 2023, la società patriarcale per cercare di riempire luoghi di discussione, post social, dibattiti, trasmissioni, pagine cartacee od online di giornali.

Probabilmente molti non ricordano più o, nella maggioranza dei casi, non hanno mai vissuto per giovinezza anagrafica un’autentica società patriarcale stile anni 50, 60 e più.

Oggi di quel mondo esistono sì solide vestigia, è vero, ma essendo io persona nata cinque decenni fa, so bene cosa vuol dire patriarcale. Però conosco bene anche i cambiamenti di questa nostra società, i referendum su divorzio e aborto, oppure il ’68 che mi è stato raccontato e su cui i più coscienziosi si sono informati, documentati. Furono solo alcuni dei momenti epici che determinarono trasformazioni profonde.

Abbiamo attraversato decenni di totale mutazione.

Vogliamo negare l’evidenza della storia? Cosa siamo diventati?

È deprimente trovarsi oggi con avventurieri della parola darsi battaglia sul patriarcato facendosi ispirare da un omicidio.
Un assassinio dà molta pubblicità ed ecco ricamarci sopra con concetti sconclusionati.

Purtroppo, questi alchimisti del nulla non parlano pensando alla vittima, non pensano affatto a Giulia Cecchettin.

Come dicevano i miei nonni Grifeo-Geraci che anche in questo avevano un punto in comune, se una cosa non la conosci, è meglio tacere.

Considerando la nostra società e quelle affini, siamo ancora in una realtà patriarcale, è vero, ma è un patriarcato all’acqua di rose, spesso inconsistente rispetto a cinquant’anni fa

Un mio contatto di Twitter/X mi ha raccontato di un confronto tra amici al ristorante, fortunatamente una discussione non virtuale, fatta quindi di voci, di odori e di colori.
Il loro discutere è stato su questo gran parlare di società patriarcale incastonata malamente nell’omicidio di Giulia Cecchettin. Quei ragazzi sono giunti a una conclusione:

“In realtà la discussione è partita da un discorso sulla gente che tanto in politica quanto sui social parla tanto, ma senza contenuti e soprattutto parla per slogan per racimolare like. E io ho tirato in ballo un post di un personaggio che conosci anche tu e che ieri scriveva, “Giulia ha due assassini. Uno è il suo ex e uno è il patriarcato”.

Io lamentavo il fatto che mi sembra un po’ generico dare la colpa alla società come se fossimo tutti brutti e cattivi e, soprattutto, che incolpare il patriarcato mi sembra un tentativo di deresponsabilizzare l’omicida. Come se il suo agire fosse per forza legato ad una pressione da parte della società. Ora, io non nego che siamo in un sistema di valori patriarcale, ma siamo anche individui pensanti che hanno la possibilità e la responsabilità di formarsi ed educarsi”.
“Alla fine il discorso si è concluso concordando sul fatto che è vero che esiste il diritto d’opinione e la libertà di pensiero, ma in questa economia dell’egocentrismo creata dai social, tutti hanno qualcosa da dire, ma lo dicono solo per racimolare like e non perché ci credano davvero.
Ogni argomento è buono per mettersi al centro. “Una ragazza è stata ammazzata, come posso fare in modo che la cosa riguardi me? Oh aspetta, fammi scrivere uno slogan su Twitter che non vuol dire nulla ma mi farà apparire intelligente”.
E così ti ritrovi la TL piena di “È COLPA DEL PATRIARCATO”, “UN ALTRO ANGELO UCCISO DAL PATRIARCATO, TUTTA COLPA DI QUESTO GOVERNO FASCISTA”, oppure “VOLA IN CIELO, GIULIA. RIP”.

Come dare torto a questo trentenne e ai suoi amici? Per fortuna esistono giovani e persone di varie età capaci ancora di usare la mente, di essere critici.

Il patriarcato esisterà ancora per chissà quanti decenni, come continuerà ad esistere il maschio che si sentirà padrone della donna che ha accanto.

Ma, oggi, rimarcare la società patriarcale come terreno di coltura per un omicidio… proprio no. Anacronistico e controproducente.

Semmai c’è da sottolineare il fatto che con la società patriarcale di oggi, estremamente diluita rispetto al passato, in decisa e continua regressione, otterremo e abbiamo già ottenuto la presenza di diversi personaggi che incarnano il rigurgito acido del patriarcato più duro.
Sono i nostalgici dei tempi andati, i padroni che vedono sgusciarsi la preda-donna dalle mani. Ma è una nicchia. Non si può generalizzare all’intera società italiana.

In tempi di continui cambiamenti sono sempre esistite le disperate zavorre umane che si rifanno al passato.
Sono solo questi a potersi macchiare anche dei crimini più atroci, fino all’assassinio, al femminicidio.
Loro possono influenzare gli impressionabili.
Ma questi personaggi NON sono la società, sono sparuti manipoli di nudi e crudi “nostalgici” che il nostro mondo digerirà.

Filippo Turetta chi frequentavi ? Cosa pensavi? Quale è stata la tua vita in famiglia? C’era dialogo? I tuoi genitori e i tuoi familiari erano attenti ai tuoi pensieri, alle tue azioni? Se è accaduto, quale ostacolo o problema non hanno saputo vedere?

Al di là delle pseudo “scusanti” e delle spiegazioni cervellotiche sulle azioni di un assassino, bisogna tener vivo un caposaldo fondamentale: una persona si forma primariamente in famiglia e su queste fondamenta si poggiano e si accumulano le personali esperienze di vita creando l’edificio-persona.
Con questo NON voglio dire che la famiglia dell’assassino l’abbia reso tale. Sia chiaro questo punto.
Semmai ritorno a quegli interrogativi che ho inserito appena sopra, quelli che ho espresso come se mi rivolgessi direttamente al Turetta.

Più che famiglia patriarcale questi sono i tempi della famiglia disattenta che tanto male sta facendo a tantissimi figli.

Questi che ho espresso sono personalissimi dubbi e nulla più.

L’assassino-Filippo potrebbe essere fiorito al di fuori di tutto, in un suo personalissimo processo mentale e di vita, al di fuori e del tutto estraneo da qualsiasi meccanismo della sua famiglia originaria.

Lo sapremo mai?

Intanto, non cerchiamo di dare pseudo alibi a un criminale, viviamo in una società evanescente di famiglie disattente, quella che è stata definita anche come società liquida (qui ne scrissi).

Oltre a essere un popolo di poeti e navigatori, siamo diventati gran parlatori virtuali, esperti di ogni cosa e navighiamo in un mare di sfiducia, lassismo, appiattimento, rinuncia.

Questa è la società di oggi, quella che fa comodo e con demagogia, chiamare patriarcale.

Riconosciamo invece che negli ultimi decenni abbiamo fatto un gran pasticcio, privo di ogni punto di riferimento che dia sicurezze utili a costruirsi come persone.

Dottor Quirino Zangrilli, direttore di “Psicoanalisi e Scienza”, medico psicoanalista - “Solitamente non commento fatti di cronaca e chi segue la mia pagina lo sa. Sono troppo gravidi di emozioni non sedimentate che impediscono ai lettori un minimo di equilibrio e di elaborazione.
Ma il fatto dell’uccisione della povera Giulia contiene una serie di macroscopiche evidenze che spingono a delle riflessioni.
La prima cosa che mi ha sorpreso sono state le parole del padre dell’omicida che prima ha tentato di negare l’evidenza del dramma che si profilava e poi ha dichiarato “...non riusciamo a capire come possa aver fatto una cosa così un ragazzo a cui abbiamo cercato di dare tutto” (ANSA 20/11/2023).
Non si coglie in casi simili che questa è probabilmente proprio una delle cause: una generazione intera educata all’assenza della minima frustrazione in cui ogni bisogno/desiderio viene immediatamente soddisfatto. Di fatto una generazione di borderline onnipotenti e sovente psicopatici, che non conoscono empatia, poiché questa non gli è stata trasmessa nella prima infanzia.
Genitori che hanno sostituito all’empatia e al contenimento emotivo la merce.
Vedo centinaia di genitori che danno ai figli in pasto l’ipad o il telefonino al primo capriccio, consegnandoli ad un universo virtuale dove c’è solo soddisfazione sensoriale.
I genitori non educano alla tolleranza della frustrazione, della mancanza ed i giovani credono che esista un mondo dove il desiderio è realtà”.

P.S.: sono sicuro che dopo aver pubblicato questo pezzo cominceranno a piovere considerazioni su di me etichettandomi come maschilista e di peggio. Quando non si hanno argomenti, questi sono i mezzi di ritorsione.

2 commenti Aggiungi il tuo

    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      È una lotta disperata, ma sogno un ritorno ai ruoli e alle competenze vere che si pronuncino su quel che conoscono

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