Immaginate la situazione, i titolari di un’impresa edile avviano lavori di sbancamento in un terreno di loro proprietà, ma dal sottosuolo spunta un’ipogeo antichissimo, praticamente intatto, con 8 urne, 2 sarcofagi etruschi e relativo arredo, tutto di età ellenistica (III secolo a.C.). Sono state le scelte successive dei due personaggi a portare verso il disastro e alle possibili imputazioni per furto e ricettazione. Al centro di tutto i risultati dell’operazione dei Carabinieri TPC a Città della Pieve. I titolari dell’impresa hanno tentato la vendita degli oggetti nel giro fuorilegge del traffico d’arte. Se, al contrario, avessero denunciato il ritrovamento, avrebbero avuto diritto a una ricompensa pari a una bella percentuale sul valore delle opere.
Una prima stima dà ai reperti una quotazione di circa 8 milioni di euro…
Il ritrovamento e sequestro di queste opere è considerato uno dei più importanti recuperi di manufatti etruschi mai realizzato grazie a un’azione investigativa. In più, la certa provenienza dei reperti e l'appartenenza a un'unica sepoltura, rende tutta l'operazione di grandissimo valore archeologico, artistico e storico.
Questo importante episodio di recupero è stato raccontato in molti dei suoi dettagli durante la conferenza stampa del 19 novembre a Roma, nella sede del Reparto operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.
A svelare i particolari e i risultati dell’operazione, a descrivere gli oggetti recuperati e a fare un quadro della situazione, Raffaele Cantone, procuratore capo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, Annamaria Greco, sostituto procuratore della Procura della Repubblica di Perugia, il Gen. D. Francesco Gargaro, comandante dei Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, Alessandro Giuli, ministro della Cultura e Luigi La Rocca, capo del Dipartimento per la Tutela del Patrimonio Culturale – Ministero della Cultura.






La Procura della Repubblica al Tribunale di Perugia si è attivata ad aprile 2024 dopo segnalazione del Comando Carabinieri TPC. In particolare, i militari scrissero di un possibile scavo abusivo nella zona fra Chiusi e Città della Pieve con il ritrovamento di importanti reperti archeologici etruschi.
L’indagine, svolta dalla Sezione Archeologia del Reparto Operativo TPC, fece trovare sul web diverse fotografie di urne cinerarie che ritraevano personaggi in posizione coricata o semicoricata (semi-recumbenti), tipici della cultura etrusca.
Queste immagini circolavano nell’ambito del mercato illecito dell’arte.
La collaborazione scientifica di un docente dell’Università di Roma Tor Vergata ha poi permesso di comprendere che i reperti appartenevano a una necropoli etrusca, verosimilmente del territorio di Chiusi proprio perché la zona è già nota per analoghe testimonianze artistiche.






Analizzando più nel dettaglio il racconto, il primo passo è descrivere le scelte fatte delle le due persone che hanno ritrovato l’antica sepoltura.
Decisioni che hanno portato a precise conseguenze.
I due avrebbero dovuto denunciare la scoperta. Le disposizioni di legge obbligano a questo.
Sempre secondo la norma, chi trova tesori archeologici e denuncia il rinvenimento, ottiene un bel premio: un compenso fino al 50% del valore dei reperti.
Ci vuole del tempo, ma la ricompensa viene versata agli scopritori.
Stessa cosa sarebbe accaduto a due imprenditori di Città della Pieve.
Purtroppo, le persone coinvolte dallo scavo hanno agito diversamente. Hanno tenuto nascosta la scoperta nel tentativo di monetizzarla tramite canali “paralleli” illeciti.
I due erano pressati dalle non buone condizioni dell’azienda, spinti dalla necessità di ottenere denaro.
Il passo sbagliato è stato breve, facile da compiere. Nessun approfondimento sull’ottima possibilità di un bel compenso previsto per legge.
Dopo una prima stima fatta oggi, il totale dei reperti varrebbe circa 8 milioni di euro. Estremamente preziosi gli oggetti ritrovati Città della Pieve.
Come ricompensa i due che hanno ritrovato questi reperti avrebbe potuto ottenere fino a 4 milioni di euro.
Invece, i due personaggi hanno preferito nascondere tutto per cercare di svenderlo tramite contatti con il traffico nazionale e internazionale di opere d’arte e archeologiche.
Come conseguenza, i due responsabili sono al centro di un’azione per i reati di furto e ricettazione di beni culturali.
Pena fino a 10 anni di reclusione.
Considerando la situazione odierna, difficilmente un museo estero avrebbe comprato questi reperti. Dopo anni di indagini in seguito a segnalazioni, anni di beni archeologici rintracciati e riportati nei luoghi di origine, tutto questo insieme agli accordi giuridici fra nazioni fa desistere da pratiche “disinvolte” per la ricerca e acquisizione di oggetti rari.
Quindi, l’unico canale percorribile sarebbe stato la vendita a collezionisti privati.
Urne e i sarcofagi etruschi salvati, i particolari
Le urne, tutte integre, sono in travertino bianco umbro, in parte decorate ad altorilievi con scene di battaglie, di caccia e con fregi, alcune delle quali conservano pigmenti policromi e rivestimenti a foglia d’oro. Altre sono decorate con la raffigurazione del mito di Achille e Troilo.
Dei due sarcofagi, uno è al momento rappresentato dalla sola copertura e l’altro completo dello scheletro del defunto.
Un preliminare studio scientifico delle urne redatto dai funzionari archeologi del ministero della Cultura conferma l’appartenenza dei beni a un unico contesto funerario, consistente in una tomba a ipogeo riconducibile a una importante famiglia del luogo, la gens “PULFNA”.
Particolarmente ricco il corredo funebre composto da suppellettili e vasellame, fittile e metallico.
Tra questi ultimi:
- quattro specchi in bronzo, uno dei quali con l’antica divinizzazione di Roma e della lupa che allatta soltanto Romolo;
- un balsamario contenente ancora tracce organiche del profumo utilizzato in antichità;
- un pettine in osso;
- situle (vaso a corpo tronco-conico stretto in basso con spalla arrotondata o a spigolo con manico o senza) e oinochoe (in Grecia, orci e brocche dalle forme particolari, con bocca trilobata o a beccuccio) in bronzo, comunemente utilizzati dalle donne etrusche durante banchetti e simposi.











In questa stessa area non c’è stato solo questo ritrovamento. Il precedente del 2015.
Con il supporto della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio e della Soprintendenza dell’Umbria, i Carabinieri hanno collegato l’episodio a un precedente rinvenimento fortuito denunciato nel 2015 a Città della Pieve.
Nove anni fa un contadino stava arando il terreno quando trovò un ipogeo etrusco.
In questa sepoltura furono trovate quattro urne funerarie e due sarcofagi riconducibili alla gens Pulfna, antico nome ritrovato proprio su alcune delle urne raffigurate nelle fotografie del 2024.
Nel 2015 sembrò molto curioso che nell’ipogeo dei Pulfna ci fossero solo sepolture maschili, mentre le immagini che gli investigatori hanno trovato durante le investigazioni di nove anni dopo raffiguravano prevalentemente principesse etrusche.
Da sottolineare che i due terreni sono vicini.
Un altro elemento ha fatto luce sulla giusta pista di indagine. Chi aveva trafugato questi reperti così grandi e pesanti aveva dovuto utilizzare potenti mezzi da lavoro per estrarre sarcofagi e urne dallo scavo.
Così i Carabinieri TPC hanno investigato in zona, soprattutto nei confronti di personaggi che potevano gestire le complesse operazioni di un recupero clandestino grazie a giusti strumenti e veicoli.
L’interesse investigativo ha inquadrato un imprenditore locale, titolare di una società in grado di svolgere anche operazioni di movimento terra, persona che possedeva pure terreni adiacenti a quelli dove nel 2025 era stato scoperto il primo ipogeo.
Nel contempo i Carabinieri TPC hanno avuto conferma di una imminente commercializzazione dei reperti sul mercato antiquario clandestino. A quel punto i militari hanno chiesto al Gip-giudice per le indagini preliminari l’autorizzazione per intercettazioni telefoniche, insieme a servizi di osservazione e pedinamento. È stato utilizzato anche un drone del Nucleo Elicotteri Carabinieri di Pratica di Mare.
Infine, tutto è stato coronato dall’emissione del decreto di perquisizione locale che ha permesso ai Carabinieri di trovare le urne ritratte nelle fotografie durante la fase iniziale dell’indagine.
Grazie ai rilievi topografici acquisiti dal drone, i militari hanno potuto individuare con precisione il sito dello scavo, fattore importantissimo dal punto di vista della ricostruzione storico-archeologica.
