Non sono di parte, non agisco perché la mia famiglia ha radici profonde nella Valle del Belìce, ma spinto dal fatto che questa realtà della Sicilia è ricca di grande storia, di siti archeologici, di inventiva, di prodotti unici e di soluzioni enogastronomiche di grande gusto. Così ne approfitto per raccontare queste eccellenze sicule attraverso il recente approdo a Roma, a Palazzo Grazioli, su via del Plebiscito. Una magica serata che ha presentato il Belìce alla Stampa Estera–Gruppo del Gusto.



Più volte ho chiamato colleghi giornalisti nella Valle del Belìce, a Partanna nello specifico e nell’area che vede centri unici, Selinunte con il suo magnifico parco archeologico, Mazara del Vallo, Castelvetrano e tanti altri punti ricchi di preziose particolarità. Sono tutte da conoscere come lo è la stessa Partanna con i suoi profumi e sapori, col suo millenario Castello Grifeo e la Chiesa Madre, gioiello del Barocco trapanese.
Quali eccellenze belicine hanno primeggiato all’evento romano?
Olio extravergine da oliva Nocellara del Belice, poi la Cipudda Partannisa, una cipolla rossa particolarissima e dolce che cresce solo nella zona di Partanna. A seguire, il Pecorino Siciliano e il celebre formaggio Vastedda del Belice o Vastedda della Valle del Belice Dop-presidio slow food da pasta filata.
Il tutto in abbinamento ai vini delle Terre Sicane, delle valli Trapanesi e del Consorzio di Salaparuta, delle tenute Leonarda Tardi e Tenute Caracci.



Da una parte è stato come ritornare a casa circondato da sapori e profumi vissuti in Sicilia, quel gusto che ho riscoperto nell’ultimo quarto di secolo, che ho valorizzato divulgandone la conoscenza.
Dall’altra sono stato fiero nell’osservare colleghi giornalisti e corrispondenti da varie parti del mondo rimanere rapiti da questo ben di Dio e dalla presentazione storico-territoriale, dalla narrazione di queste eccellenze locali.
Per farla breve, si è schiuso un mondo agli occhi di questi inviati e corrispondenti di Stampa Estera. L’evento ha richiamato anche siciliani residenti a Roma: nominandone solo un paio, lo psicanalista Danilo Moncada Zarbo di Monforte e il giornalista Claudio Caruselli, entrambi già conoscitori della realtà partannese.
A scandire questo “viaggio” i giornalisti Alfredo Tesio e Bernard Bédarida.
Fulcro e narratore, Nicola Clemenza dell’Azienda Agricola Futura, società capofila del progetto Il Cibo della Valle del Belìce-CIVABE nella cornice di “Sicilia Regione Gastronomica 2025”.
Nicola è vecchia conoscenza dei giornalisti in quanto nel 2010 fu premiato dal Gruppo del Gusto per il suo impegno nella salvaguardia dell’operato degli agricoltori del Belìce, come valorizzatore del territorio.
I protagonisti della serata romana a Palazzo Grazioli?
Lo chef Mario Puccio che ha curato il menù di degustazione a Palazzo Grazioli nonché presidente dell’Associazione cuochi e pasticceri di Palermo, poi il maestro casaro Calogero Cangemi da Partanna (dello storico e bisecolare Caseificio Cangemi), Alessandro La Grassa, direttore del GAL Valle del Belìce, ente che finanzia il progetto CIVABE, lo chef Mauro Poddie, etimologo, docente per la Formazione del Personale di Ristorazione, romano fin nell’anima e ambasciatore della cucina di Sicilia e dell’Association Disciples d’Auguste Escoffier Sicilia.
E ancora, Mimmo Guzzo di Tour Partanna, realtà online e non solo che raccorda strutture ricettive, l’ospitalità siciliana e partannese, le proposte turistiche e storiche nell’area, informazioni turistiche dettagliate oltre che personalizzate su richiesta.





Nelle immagini qui sopra, da sinistra a destra, dall’alto in basso: Alessandro La Grassa, Calogero Cangemi, Mauro Poddie, Mario Puccio e, infine, me stesso con Calogero Cangemi
La serata è stata un successo, narrazione chiara e immediata, efficace, praticamente giornalistica, piena di curiosità e di informazioni, per molti inedite.
“Uno degli obiettivi del CIVABE è favorire l’unione tra le aziende per creare sinergie – ha sottolineato Nicola Clemenza – rafforzare la rete di collaborazioni, dare visibilità ai nostri prodotti e consolidare l’identità del marchio della Valle del Belice”.
Stampa Estera - Gruppo del Gusto
Si tratta di giornalisti dalle diverse nazionalità, professionisti che vivono in Italia e che, oltre ad informare i loro lettori e ascoltatori sui fatti della vita sociale – economica – politica del Paese, li aggiornano costantemente sull’evoluzione della tradizione enogastronomica e agroalimentare italiana.
*dal sito web di Stampa Estera
‘’Questo è uno dei progetti che più ci sta dando soddisfazione; in questo periodo, il Belìce è sotto i riflettori – ha rimarcato Alessandro La Grassa, direttore del GAL Valle del Belìce – Questi 12 comuni della Valle stanno portando avanti molte iniziative. Abbiamo Menfi, che nel 2023 è stata la Città Italiana del Vino, e Gibellina, Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea 2025; abbiamo un protagonismo, una voglia di creare iniziative importanti e speriamo di poter tornare qui per raccontarne tante altre”.
Vastedda della Valle del Belìce Dop
Formaggio di antica tradizione come per molti aspetti del patrimonio partannese, belicino e siciliano. Il primo riferimento alla Vastedda viene fatto risalire alla fine del 1400.
Il formaggio viene citato dall’allora viceré di Sicilia in un documento che descrive alcuni dei formaggi del Belìce. L’episodio è del 1492, il nobiluomo alla guida dell’isola era Fernando de Acuña y de Herrera, conte di Buendía, viceré per delega di Re Ferdinando II di Sicilia (1479-1516), Re consorte di Castiglia, Re d’Aragona, Valencia, Sardegna, Maiorca e titolare della Corsica, Conte di Barcellona, ma anche Re di Napoli dal 1504 al 1516.











Foto qui sopra: anno 2014, primo incontro con il Caseificio Cangemi dove portai alcuni colleghi di Roma – Foto della mai dimenticata amica e fotografa Marcella Pretolani che aveva scattato queste immagini per me
La leggenda sulle origini della Vastedda
Un antico casaro siciliano stava lavorando il latte delle sue pecore per produrne del formaggio, così mise la pasta nelle fuscelle.
Purtroppo la lavorazione iniziò ad inacidirsi per il troppo caldo.
Occorreva trovare una soluzione al problema per non perdere tutto quel maeriale che era già costato parecchia fatica.
Così quel remoto casaro casaro fece un tentativo immergendo la pasta in acqua calda.
Non appena la fece, ecco la materia cambiare consistenza, iniziò a filare. Dopo quel momento la mise su un piatto e la pasta ne prese forma. Nacque in questo modo la prima forma di Vastedda della Valle del Belìce.
Si tratta dell’unico formaggio di pecora a pasta filata d’Italia o uno dei rarissimi di questo tipo. Tecnicamente parlando, nacque dalla remota idea di rilavorare i formaggi, i pecorini evitando che guastassero, dando così vita a un nuovo prodotto.
Il latte utilizzato è quello dell’autoctona Pecora della Valle del Belìce.
L’area di produzione vede coinvolti diversi comuni oltre Partanna, sparsi in più province: oltre a quella di Trapani, anche Agrigento e Palermo.
Quindi, 18 comuni e fra questi Santa Margherita Belice, Menfi, Sambuca di Sicilia, Montevago, Campobello di Mazara, Castelvetrano, Ghibellina, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Ninfa, Vita e Contessa Entellina.
Il nome del formaggio, Vastedda, deriva da “vasta” o guasta, in quanto è rilavorazione dei pecorini fermentati per il troppo caldo estivo. Quindi, ammorbidito in acqua bollente, filato per poi fargli assumere la caratteristica forma di piatto fondo rovesciato.
Pasta bianca, senza crosta, liscia e compatta, ha un sapore dolce, fragrante, fresco appena acidulo. Profumato, ma non in maniera marcata o possente: accarezza il naso con grazia.
La forma di una Vastedda ha un diametro di 15-17 centimetri dal peso di 500-700 grammi.
Percentuale di grasso fra il 25 e il 30 per cento. Percentuale proteica di 26 grammi ogni 100 di prodotto, quindi superiore ad altri formaggi ovini freschi. Ricco di vitamine liposolubili e sali minerali come calcio e fosforo.
La saporita Vastedda del Caseificio Cangemi
Conobbi il maestro casaro Calogero Cangemi a giugno 2014 nell’azienda dei progenitori.
In quell’occasione affiancando il genitore e il nonno diede la stessa dimostrazione davanti ad alcuni giornalisti. Erano colleghi e fotografi che feci arrivare da Roma a Partanna: l’occasione di quei giorni fu la prima serata di Gala a Castello Grifeo per la raccolta di fondi utili al restauro di antiche opere d’arte del patrimonio pubblico.
Tornando a questo 2015, Calogero ha ripetuto quegli stessi antichi gesti davanti ai giornalisti di Stampa estera.
Il formaggio caldo nel cestello di legno, lui a lavorare la materia racchiusa in un tinozzo di legno fino a filarla grazie a una corta pala, il vaciliatuma. La filatura è il momento della lavorazione che lava via buona parte del contenuto in grassi aumentando in proporzione la presenza proteica.
Via via la materia ha sempre più acquisito l’aspetto e la consistenza di una stoffa sottile. Una magia unica che ha fatto presagire la consistenza che avrebbe avuto in bocca assumendo la forma finale di un piatto fondo rovesciato.
Il profumo regalava già promesse di sapori.






Vastedda del Belìce Dop - la lavorazione in poche righe
Le pecore di razza Valle del Belìce vengono alimentate con foraggi freschi, erba lungo i filari dei vigneti, frasche da potatura di ulivo, cladodi di ficodindia o foglie di vite dopo la vendemmia.
Il latte scaldato alla temperatura di 40°C in caldaie di rame stagnato, a fuoco diretto di legna o gas, viene poi unito al caglio di agnello.
La cagliata ottenuta grazie a questa fase deve quindi essere rotta per mezzo della cosiddetta rotula fino a formare grumi delle dimensioni di un chicco di riso. La stessa cagliata deve riposare per cinque minuti prima di essere prelevata e trasferita, senza essere pressata, in fuscelle di giunco.
A riposo per 24-48 ore, il formaggio acidifica. La massa può essere quindi estratta, tagliata a listarelle e posta nel tino di legno, il piddiaturi.
Con l'aggiunta di acqua calda (a 80-90°C per 3-7 minuti) inizia dunque la filatura e la lavorazione tramite la pala in legno, il vaciliatuma.
Una volta filata, la pasta viene modellata sul tavuleri dandole la forma di trecce che vengono adagiate in piatti fondi di ceramica. Su questi la pasta si assesta, poi viene rivoltata alcune volte. In questo modo assume la caratteristica forma a piatto rivoltato, come fosse una focaccia.
A 6-12 ore dalla filatura i formaggi vengono tolti dal piatto, passati in salamoia dai 30 minuti alle due ore, poi lasciati asciugare per altre 12-48 ore.
Da quel momento la Vastedda è pronta per essere gustata.
Attrezzatura in legno: il piddiaturi, la tina, il tavuleri, rotula e bastone per la filatura e le fuscelle di giunco.
* fonte: Consorzio di tutela della Vastedda della Valle del Belìce
Per farla breve, tutto quanto qui descritto è solo un assaggio immaginifico, un racconto che stimola la curiosità, che fa presagire l’incontro con questo mondo capace di regalare la concretezza delle tradizioni e dei suoi sapori, della storia contadina e rurale.
La Sicilia e la Valle del Belìce aspettano tutti a braccia aperte, pronte a donare il loro multiforme patrimonio.
