Si può compiacere tutti? No, ma si deve vivere rettamente, tanto il pettegolezzo esisterà sempre. Il contadino-mugnaio, suo figlio e l’asino

La lingua ferisce più della spada, è vero, credo proprio che tutti ne abbiamo sperimentato l’effetto. Colpisce con forza, tanto che non basta essere corretti, educati, riflessivi perché esisterà sempre qualche bocca pronta a criticare anche in maniera molto malevola. Si può compiacere tutti? La risposta è negativa, ma per un fattore molto semplice. Il nostro dovere è nei confronti di noi stessi, di chi amiamo, degli amici, del nostro decoro personale vivendo rettamente, rispettando un dovuto senso civico. Tutto questo si fonde con personali scelte di vita in amore, lavoro e stile… proprio quest’ultimo punto può scatenare pettegoli irriducibili e chiacchiericcio al vetriolo, anche se fossimo santi.

Su questo punto la favola del contadino-mugnaio, di suo figlio e dell’asino è risposta morale esemplare, da sempre. Un perfetto spaccato umano.

Ne esistono versioni che sono dissimili in diversi particolari a cominciare dagli autori originali cui viene attribuito questo breve racconto sapienziale.

C’è una versione di Jean de la Fontaine, senza dimenticare quella di Giovanni Francesco Poggio Bracciolini, storico e umanista di Terranuova (Arezzo) che così riportò il racconto “Divertente storia di un vecchio che portava il suo asino”:

Divertente storia di un vecchio che portava il suo asino

Si diceva, in una conversazione tra i segretari del Papa, che regolarsi secondo le opinioni del volgo significava sottoporsi alla più miserabile schiavitù, poiché è impossibile accontentare tutti, alcuni pensando in un modo, altri nell’altro, e approvando ciò che i vicini biasimavano.

A riprova di ciò, uno degli assistenti raccontò la seguente storia, che aveva visto illustrata in Germania, sia a penna che a matita.

«Un vecchio – disse – era partito per il mercato con suo figlio, per vendere il suo asino che guidava la strada, senza alcun peso sulla schiena».

Mentre passavano davanti ad alcuni contadini che lavoravano nei campi, questi rimproverarono il vecchio per aver lasciato l’asino senza alcun carico, invece di lasciarlo cavalcare da uno di loro, quando entrambi l’avrebbero trovato più desiderabile, il padre dalla sua vecchiaia, il figlio dalla sua tenera età.

Il vecchio fece salire il figlio sull’asino e proseguì a piedi.

Altri, vedendoli, rimproverarono il padre per la sua follia nel mettere sulla schiena dell’asino un ragazzo più forte di lui, mentre lui, invecchiato, lo seguiva a fatica. Così, cambiò idea, fece scendere il giovane e si sedette.

Ma non era andato lontano, quando sentì un terzo che lo rimproverava per aver trascinato dietro di sé il figlio come un lacchè, senza riguardo per la sua giovane età, mentre lui, il padre, cavalcava tranquillamente.

Commosso dallo scherno, prese con sé il figlio sulla schiena dell’asino. Sistemate le cose in questo modo, stava proseguendo per la sua strada, quando incontrò altre persone che gli chiesero se l’animale fosse suo; e, avendo risposto affermativamente, fu rimproverato per non averne avuto più cura che se fosse stato di uno sconosciuto: «La povera bestia – dissero – non era adatta a un simile carico; una sola persona era il massimo che poteva trasportare».

L’uomo era distratto da così tante osservazioni incoerenti che non avesse cavaliere, ne avesse uno o ne avesse due, veniva biasimato a ogni passo; alla fine, legò le zampe dell’asino, lo appese a un bastone, un’estremità del quale mise sulla spalla del figlio e l’altra sulla sua e così iniziò a portare l’animale al mercato.

Tutti scoppiarono a ridere alla nuova vista e si fecero beffe della stupidità della coppia, soprattutto di quella del padre.

Infuriato per le loro battute, il vecchio, che stava in riva a un fiume, gettò il suo asino, con le zampe legate, nel fiume, e tornò a casa, senza la sua bestia.

Così, il poveretto, per aver cercato di accontentare tutti, non accontentò nessuno e per giunta perse il suo asino.

(da The Facetiae or jocose tales of Poggio – now first translate into English with the Latin Text in two volumes – volume I – Paris, Isidore Liseux, 2 Rue Bonaparte – 1879)

Qui di seguito una versione precedente di oltre due secoli, con evidente cambiamento della lingua italiana, inserita nel 1661 da Giovanni Mario Verdizzotti per la raccolta “Cento Favole bellissime dei più Illustri Antichi e Moderni Autori Greci e Latini”:

Del Padre, & del Figliuolo che menavan l’Asino

Un vecchio, un garzon padre, e figliolo
un’ ‘Asinel menavano al mercato
Per vénderlo & uscir d’affanno e duolo
il caminar à piedi era lor grato
N’èl debole animal di peso alcuno,
Perch’ei non si fiancasse , avean gravato.
Ma ecco tosto motteggiarli ognuno,
che con l’Asino scarco issero à piedi,
con un parlar inutile inportuno.
Or disse il gìovinetto al padre: vedi
Padre come, c’ognun di noi sen’ride
per l’Asino, che scarco esser concedi.
Però montavi sopra; e tante stride
cesseran tosto; e farai giusto inganno
a questa lunga via, c’homai t’uccìde.
Il vecchio stanco l’ubbidisce; e vanno
così per breve spatio al lor camino:
e trovan nove risa, e novo affanno.
Già senton dir da ogn’un per quel confino
O che discretion d’huomo saputo,
ch’à piedi lascia quel garzon meschino.
Udito spesso il padre un tal saluto,
scese de l’AsinellO, e disse al figlio;
Montavi tù, che cosi è bendovuto.
Che così cesserà tanto bisbiglio
da la gente che passa e che mi vede:
di tua salute haver poco consiglio.
Il figlio tosto ubidiente cede
A le parole del suo buon parente ,
e fà quel ch’e’ gli dice e’l meglio crede.
Ma così andando trovan nova gente,
che biasima che quel giovine à cavallo
camini, e à piedi il vecchio dispossente
Ne trovano alcun mai, cui grave fallo
ciò non paresse, consigliando il vecchio,
ch’anch’eì s accommodasse afflitto, e gialìo.
Subito diede à tal consigli orecchio
l’huom rozo, e gli parca questo il pìù saggio
e d’huom, che fosse di prudenza spcchio.
Onde credeano in pace à tanto saggio
d’opinioni d’altrui varie, e diverse
ambi fornir il resto del viaggio.
Così due pesi l’Asinel sofferfe,
il padre sù le spalle, figlio in groppa,
fin, che trovò chi l’occhio in lui converse
Mentre si carco l’animal galloppa,
ecco il primo, che’l vede, à gran pietade
mosso di lui, che in ogni sasso intoppa.
E con cor pien d’amor, e caritade
dice: deh non vi move à compassione
quefto Asinel, ch’ad ogni passo cade?
Certo, chavete poca discretione;
non vi dee esser caro, s’egli è vostro;
o sete ingrati, s’è d’altrui ragione.
Non comprendete voi, che strano mostro
parete à chi vi mira in questa forma?
A vostra utilità qesto vi mostro.
Stupido il vecchio all’hor all’hor s’informa
del discorde giudicio de le genti,
ch’à tutte l’opre dan precetti, e norma.
E per provar se tutti far contenti
potea pur, prese al fin novo partito,
onde tanti parer fossero spenti.
E scendendo col figlio, anch’ei smarrito,
da le reprension, c’havea lor fatto
il popol vario al dar sentenze ardito.
Legò con una fune affatto affatto
i piedi à due à due de l’Asinello,
e tra lor fecer di portarlo patto.
Così pensando al dir di questo, e quello
por freno, e far cessar tanta rampogna,
che sovente rompea loro il cervello.
Or mentre sopra un palo ognuno agogna
portarlo, à la Cittade homai vicini
ecco novo mistier tentar bisogna.
S’aduna intorno da tutt’i confini
la turba immensa de le genti sparse
sì de la Terra, come pellegrini.
A lo spettacol nono , che comparse
non senza riso universal di tutti,
che lo mirar tosto, che prima apparse.
Veduto il vecchio del rimedio i frutti
esser sol burle, e scherni al pensier novo,
e i suoi disegnì ogn’hor restar distrutti.
Tosto disse tra se: poiché non trovo
modo, ond’io possa ogn’un render contento,
con giusta causa à far questo mi movo.
E sendo sopra a un ponte in quel momento
qual disperato il mal nato animale
gettò nel fiume per minor tormento.
Così fà l’huomo à se medesimo male,
che far contento ogn’un penfa, e s’ingegna
de l’opre sue, né questo seguir vale.
Perché in natura tal discordia regna,
che se là s’odia il rio, quà s’odia il giusto,
e in altra parte, e questo, e quel si sdegna;
Vario è’l parer d’ogni huom, diverso il gusto:
ognun de la sua voglia si compiace;
chi loda il pan mal cotto e chi l’adusto,
Né pur Venere stessa à tutti piace.
Chi vuol de l’opra sua far pago ogn’uno,
se stesso offende, e non content’alcuno.

Su questa favola si raccontano differenti origini risalenti a epoche anche molto lontane fra loro.

Per alcuni l’ideatore più antico sarebbe Esopo, il celebre scrittore greco, autore di favole senza tempo, vissuto nel VI secolo a.C. mentre agivano Creso e Pisistrato.

Per altri sarebbe Ibn Sa’id al-Maghribi, noto storico, geografo e poeta arabo che visse nell’Andalusia governata dai musulmani, la Al-Andalus, tra il XII e il XIII secolo.
Della versione di Ibn Sa’id esistono scritti originali e fa parte anche della raccolta letteraria intestata alla figura favolistica di Nasreddin Khoja fatta risalire alla cultura turco-persiana, ma pure alle raccolte delle antiche favole musulmano-siciliane col nome che cambia da Nasreddin Khoja a Guhacol da dove derivò il nome prettamente isolano di Giufà dato dalla successiva tradizione letteraria giudaico-spagnola in Trinacria e nel Sud Italia. Senza dimenticare la variazione toscana di Giuccamatta.

Le culture del Mediterraneo si sono mescolate come è normale che sia, hanno apportato loro elementi nel corso dei secoli, ma gli insegnamenti fondamentali di questa favola restano identici.

Da queste basi si sono succedute altre versioni-figlie, comprese quelle destinate all’utilizzo nei sermoni, oppure all’interno di raccolte come nel libro di racconti morali in Castigliano antico sotto il titolo El conde Lucanor, scritto fra il 1330 e il 1335 dal politico e scrittore spagnolo Giovanni Emanuele di Castiglia.

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