Palermo e la chiesa seicentesca che è divenuta moschea, ma era stata anche emporio e frutteria. Tra degrado e mutazioni

Ricordo di una mattina molto calda a Palermo, il 7 agosto 2018. Un articolo “diverso” sul turismo. È mattino, una bella levataccia, ma non troppo, anche perché inizia l’esplorazione della città: per me e Angelo (amico e fotoreporter) inizia l’avventura-vacanza siciliana che, dopo quella giornata, ci porterà subito a Partanna (Trapani) e poi ad Aci Castello (Catania), il tutto nel corso di oltre due settimane sicule prima di ritornare a Roma.

Nel nostro peregrinare in due, decidiamo di inoltrarci a piedi tra gli storici vicoli palermitani, partendo da via Maqueda e diretti al Castello della Zisa. Una lunga camminata in una torrida atmosfera quasi sahariana.

Già visitati luoghi noti e splendidi della Capitale Siciliana. Visto il panorama unico dalla cupola della Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria che abbiamo ammirato nei suoi ambienti interni. Incantati dalla Chiesa di San Cataldo e da quella di Santa Maria dell’Ammiraglio o Martorana. Avvinti dall’eleganza fluida, seppur scolpita nella pietra, della fontana di piazza Pretoria.

Occasione perfetta, ci dicemmo, quella di percorrere le strade meno battute per conoscere Palermo nell’intimo scegliendo il percorso più breve da fare a piedi fino alla Zisa.

Così è stato.

A incorniciare questa nostra esplorazione, negozi che sanno di passato, introvabili in altre città (Angelo mi ricordò che una replica possibile è l’area di Spaccanapoli… ma anche a Catania non mancano di certo), profumi, scritte, la “parlata” della gente e il suo spirito. Poi le “putìe con ottimo cibo casareccio e accoglienza. In una di queste ci siamo fermati godendo di quanto era offerto: pasta con polpette al sugo, involtini di melanzane. Squisiti.

Per un osservatore non c’è nulla di meglio. Ancora di più se si è siciliani e si vuole arrivare alle radici del proprio essere e della propria cultura.

Su via Sant’agostino ecco manifestarsi la sorpresa insospettabile e, forse perché sono un povero umano, foriera di sconcerto.

Non nascondo la mia sensazione (disagio?) nell’aver visto in pieno centro storico di Palermo un’antica chiesa diventata moschea su via Sant’Agostino 144, accanto a piazza degli Aragonesi: è la Chiesa-complesso del Santissimo Crocifisso di Lucca, costruita fra il 1589 e il 1597, completata nel 1602. Dopo oltre quattro secoli è… Al Falah Jame Mosque come recita un cartello accanto al portale di ingresso.

Non esprimo alcun giudizio che non sia pensato-ragionato e non vorrei che altri lo facessero. Rendo noto solo il mio stato d’animo di quell’istante, quel che ho provato rimanendo imbambolato non riuscendo subito a realizzare cosa i miei occhi mi stavano descrivendo.

Non credo che a Palermo mancassero altri edifici da dedicare all’Islam piuttosto che un tempio Cristiano (anche se sconsacrato), monumento storico del 1500. È una mia condizione di quella mattina che volevo esprimere in tutta sincerità.

Difficile da spiegare per bene questo mio moto interno (irrazionale?), ma mi sono sentito come quando si perde qualcosa di molto prezioso.

Scrutando nello spazio web del Museo Diocesano di Palermo, la chiesa è classificata, anche oggi 4 marzo 2021 come tre anni fa, “Chiusa al culto – Adibita ad altri usi”.

Bisognerà aggiornare la Diocesi di Palermo o la segreteria degli spazi museali diocesani sull’effettivo utilizzo del monumento?

Una storia di degrado quella che ha caratterizzato la chiesa del SS Crocifisso di Lucca

Nel 1998 la chiesa era stata sequestrata in quanto era diventata una sorta di supermercato-centro commerciale cinese.

Secondo sequestro nel 2012 quando il monumento palermitano era usato da bengalesi islamici e da questi trasformato in moschea, magazzino e rivendita di ortofrutta (foto sotto pubblicate da Repubblica – 7 ottobre 2011 e 2 maggio 2012).

Come si era arrivati a quel punto?

I vecchi proprietari, due ottantenni, come racconta un articolo di Repubblica pubblicato proprio nove anni fa, avevano arbitrariamente suddiviso gli spazi in tre parti con opere murarie abusive e orizzontalmente grazie a soppalchi. Un’assurdità per un bene artistico e architettonico come questo.

Quindi, prospetto esterno stravolto, finestre murate, saracinesche e tende come fosse una bottega qualsiasi, il campanile non più visibile perché inglobato in un appartamento: nel 2012 lo spettacolo trovato dai vigili urbani del Nucleo tutela patrimonio artistico, coordinati dal commissario Giuseppe Crucitti, dovette essere raccapricciante.

Impossibile però che fino a quel momento nessuno se ne fosse accorto.

Infatti si sapeva già tutto ben prima di quel 2012.

Da La Repubblica del 27 maggio 2012:Per porre rimedio a questi gravi danni, i proprietari nel 2004 pensarono di inoltrare agli uffici comunali del Centro storico del Comune un’istanza di sanatoria. Gli uffici risposero che dietro il pagamento della cifra irrisoria di circa 7 mila euro e il ripristino del prospetto, la sanatoria poteva essere accordata. Tutto, però, si blocca, nel 2010 con l’intervento della Soprintendenza ai Beni culturali. Da allora la situazione non è mai cambiata. E i proprietari hanno continuato ad affittare regolarmente la chiesa divisa in tre ambienti diversi. Anche i bengalesi, infatti, godevano del bene, grazie a un regolare contratto d’affitto: cinquecento euro al mese per quattro anni“.

Tanto per dare un piccolo accenno di storia più “recente” su questo edificio storico, nel 1877 la chiesa fu ceduta a privati con una vendita all’asta. Da quel momento in avanti l’inizio irrefrenabile del declino per questo monumento cinquecentesco.

Dopo i sigilli posti nel 2012, la vicenda ha avuto seguito, la comunità islamica è rimasta nel tempio. Non c’è più la rivendita di frutta… almeno, quando siamo passati da lì, quella mattina del 7 agosto 2018, non era visibile nulla del genere.

Sostituite le saracinesche in metallo che erano presenti nel 2012 e tolte le tende parasole rosse da bottega. Oggi sono presenti tre portoni in nuovo legno.

Nessun simbolo della cristianità è più visibile, solo un putto resiste su un tondo centrale che, in un lontano passato, doveva custodire un’antica raffigurazione sacra.

Ricordando la scena al nostro passaggio su via Sant’Agostino, dal portale più grande e centrale, aperto, svolazzava un lungo tendaggio a più strati che lasciava trapelare solo un’ombra interna portatrice di frescura.

Appena sotto quelle stoffe appese, le calzature lasciate lì dai fedeli musulmani che si trovavano all’interno. Il tendaggio attutiva appena voci e canti, forse simili a quelli che circa mille anni fa dovevano risuonare nelle moschee della Sicilia sotto il dominio musulmano.

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