Solo chi ha ricordi che risalgono almeno a fine anni 60 del 1900 può rammentare bene cosa significava prendere un aereo. Grazie a questa scorta di ricordi rimpolpata nei decenni successivi, è possibile fare un raffronto tra il volo ieri e quello di oggi. Negli anni del nostro XXI secolo viaggiare volando è pratica diffusa, voli low cost prima di tutto, quelli che hanno “democraticizzato” questo mezzo di trasporto.
È andato tutto bene in in questo processo di diffusione del mezzo aereo?
Secondo la mia visione, molto non ha funzionato. Invito chi leggerà queste mie righe a raccontarmi, se vorrà, le sue esperienze e la sua idea in merito.
Divise storiche Alitalia dagli stilisti Delia Biagiotti, Tita Rossi, Mila Schön, Alberto Fabiani, Florence Marzotto – dal sito web della Compagnia aerea
Viaggiare in aereo tra gli anni Sessanta e Settanta
Ricordo perfettamente una sera a Catania, io bambino. L’aeroporto siciliano era all’epoca, per estensione, un decimo di quello che è oggi. Era praticamente un abbozzo. In quel momento l’ultimo dei miei pensieri era prevedere il futuro, immaginare che lo scalo aeroportuale catanese sarebbe poi diventato il quarto di tutta Italia.
Tanto per capirsi: se all’epoca nell’aeroporto catanese avessero dovuto mettere varchi di sicurezza con percorsi guidati e metal detector… non ci sarebbe stato spazio sufficiente per accogliere i viaggiatori.
Quella sera dovevamo prendere un aereo per tornare a Roma, ma pioggia, fulmini e tuoni imperversavano.
Nessuno aveva un’espressione tranquilla in quel salone d’attesa che, all’epoca, era grande quanto la stazione ferroviaria di paese.
Tutti a domandarsi, “Autorizzeranno il decollo?“, “Sarà sicuro?“, “Tutto quel vento ci sbatterà chissà dove, sempre che un fulmine non ci faccia esplodere“.
Un altro pensiero che albergava in molti era, “Con tutta quella pioggia le ruote dell’aereo scivoleranno? Il pilota come fa a vederci?“.
Il compito dei genitori era di rassicurare i figli, ma coloro che erano da considerare veri angeli erano hostess e steward, tutti bellissimi, tutti col sorriso, gentilissimi, carezzevoli sia a parole che nei fatti.
Gli assistenti di volo erano una élite, sia per il ruolo che per i modi, per la conoscenza dei meccanismi di quelle “macchine volanti”, per come sapevano destreggiarsi anche in situazioni complesse nella gestione di passeggeri, quei viaggiatori che, rispetto a quelli di oggi, erano meno consapevoli su come funzionassero i velivoli, i sistemi di sicurezza e tutto il resto.
La situazione era simile a quella di tanti decenni precedenti, quando si preparavano al viaggio i primi passeggeri di mongolfiere e, ancora di più, dei dirigibili.
Non posso e non voglio soffermarmi sull’aspetto sociale, ma il volare, dagli anni 50 in poi, era una possibilità riservata a un gruppo di utenti molto più ridotto rispetto all’oggi: era un mezzo proporzionalmente ben più costoso.
L’aspetto che cinquant’anni fa accomunava una certa borghesia, aristocratici, imprenditori, alti funzionari, era l’approccio al volo. Spesso ci si presentava in giacca e cravatta, un ottimo vestito e accessori eleganti per le signore. I bambini abbigliati in maniera più che degna, confacente a questo quadro.
Classismo? Elitarismo? Privilegio? Mancanza di senso democratico? Non accetto nessuna definizione di questo tipo.
Era uno stato dei fatti per un mercato turistico e dei viaggi d’affari che dal dopoguerra si era molto affermato, ma di strada doveva farne ancora molta.
Per spostarsi in volo c’erano Alitalia, Itavia, Alisarda poi Meridiana, Aliadriatica poi AirOne e qualcos’altro come le piccole degli anni 80 Air Valleè o Eurofly passata poi in Meridiana o la più tarda Air Sicilia. Oggi solo Alitalia è ancora viva, ma ancora per poco.
Prima foto in alto a sinistra, alcune hostess Alitalia in divisa firmata dalle Sorelle Fontana – fototeca Alitalia/ANSA/KRZ. Ultima e terza immagine, hostess Brithish Airways anni 50 – foto Getty Images
In questo quadro di mezzo secolo fa e oltre, il comportamento di quelle hostess e di quelli steward, di terra o imbarcato, è oggi un lontano ricordo o quasi: anche quando esprimevano fermezza sapevano farlo con una gentilezza e una grazia da farla sembrare vestita di poesia.
Ho netti ricordi di bambino, tanto che in quegli anni sognavo di voler far parte di quegli dei del volo moderno. Per non parlare dei piloti, le cabine di comando così accessibili, potei vederne diverse con comandanti sempre così ben disposti. Desiderai fare anche il pilota! Amavo volare.
In cabina durante il viaggio, tutto era molto soft. Niente gesti bruschi, nessun sorriso tirato o finto da parte degli assistenti di volo. Un’atmosfera oggi non replicabile né replicata, se non nelle classi mega-extra lusso a bordo di grandi aerei che viaggiano tra continenti.
Ecco, la signorilità, l’efficienza gentile, l’educazione e la professionalità erano più diffusi in tutti i voli, senza distinzioni di classe.
Però sto scrivendo di 60 anni fa circa, anche di 50. Già 40 anni fa il sistema iniziò a scricchiolare.
Conclusa l’epoca delle divise Alitalia firmate da Delia Biagiotti, dalle sorelle Fontana, da Tita Rossi, Mila Schön, Alberto Fabiani, Florence Marzotto – solo per citarne alcuni -, tutto è stato preso in un vortice di decadenza sempre più pronunciato.
Prima foto a sinistra, Hostess e steward Alitalia anni 60; seconda immagine, anno 1967, divise di Emilio Pucci per la texana Braniff Airlines; ultima e terza foto, hostess Southwest Airlines nel 1971
Tanto per descrivere questa decadenza: la concorrenza sempre più dilagante dei vettori low cost che costrinsero e costringono gli assistenti di volo a orari sempre più massacranti e sottopagati; la crisi dei vettori tradizionali.
Poi, il moltiplicarsi dei clienti che inaugurò e consolidò la presenza a bordo di utenti molto differenti: gente in canottiera, pantaloncini/costumi, zoccoli e ciabatte, vestitini in acrilico trasparente con velleità di eleganza (inesistente), per non parlare della latitanza di deodoranti e saponette… tanto che, nonostante la ventilazione interna, i cattivi odori corporali si facevano ben sentire in un ambiente comunque piccolo come una cabina aerea.
Il mondo era cambiato. Volendo fare un’analogia, dagli Orient Express volanti si è passati all’impero dei simil vagoni merci alati stracolmi e mal gestiti.
Non stigmatizzo la diffusione e la democratizzazione dei viaggi aerei, sia ben chiaro.
Crocifiggo la pessima gestione da parte delle proprietà, il fatto che il significato di low cost sia stato ridotto a tagliare talmente i costi da non curare tantissimi aspetti del viaggio e da stressare a tal punto il personale, dai piloti a hostess e steward, che questi abbiano spesso (non sempre: gli eroi non mancano) un approccio non edificante alla professione: il carico che devono sopportare e la “volatilità” del loro lavoro pesano sulle loro menti e sulle loro reazioni.
Fine anni 80, mi accorsi del primo “scricchiolio” nel servizio dei viaggi aerei
Il 1988 fu una bella avventura, un mese negli Stati Uniti d’America tra costa Est e costa Ovest. Divertentissimo. Fu il mio primo volo così lungo. Fino a quel momento mi ero spostato in ambito europeo e, al massimo, in Nord Africa e nel mio amato Egitto patria dell’amatissima Egittologia (con spostamenti interni a Luxor, ad Abu Simbel e ritorno).
Ma il primo contrasto con la realtà europea ed italiana lo notai proprio sugli aerei. Sul volo Alitalia (compresi quelli di compagnie aeree europee che avevo già utilizzato) si era rimasti un po’… “primitivi”.
Il primo volo interno agli USA fu dopo un primo giro tra New York, Boston, Washington, quando ci spostammo dalla Grande Mela a San Francisco. In quel mese nordamericano presi altri due voli interni agli USA.
Negli aerei statunitensi c’erano schermi con videoproiezione che facevano osservare ai passeggeri quanto avveniva in cabina di pilotaggio al decollo e all’atterraggio! Una cosa mai vista. I videoproiettori erano grossi, quelli a tre lenti, una rossa, una blu e una verde, calati da uno scomparto del soffitto, connessi via cavo con la cabina del capitano.
Altra cosa strabiliante, la fila di aerei in coda per arrivare alla pista di decollo: sembrava di stare sulla tangenziale est di Roma paralizzata dal traffico in orari di punta.
Era un altro mondo, comunque scandito da personale che richiamava quello dei miei ricordi da bambino: di una gentilezza disarmante.
Alla fine di quel mese, il ritorno con volo Alitalia da New York a Roma. Fu scioccante.
Il sedile di mio fratello aveva lo schienale steso che non stava su e dovevamo decollare. Chiesi alla hostess e poi a uno steward se per il momento ci potevamo spostare indietro: un quarto delle poltrone era vuoto, inutilizzato. Nulla da fare, il “No” che ci risposero era secco, netto, senza neppure cercare di ingentilirlo con una parvenza di sorriso.
Non ci potevamo spostare… ma lo schienale restava coricato e mio fratello non poteva stare così per motivi di sicurezza, sia in decollo che in atterraggio.
Ci pensò lo steward prendendo a pugni il punto dove si incardinava lo schienale alla seduta (sospetto che il problema si fosse già presentato altre volte).
Alla fine tutto fu risolto, la spalliera tornò su bloccandosi in posizione… purtroppo non fu più possibile farlo reclinare durante le nove ore di volo.
Volevamo vedere il film previsto in proiezione e lì ebbi il secondo, doppio, raccapriccio. Negli aerei statunitensi venivano usati videoregistratori, il personale di volo inseriva le videocassette (non ricordo se VHS o Betamax) e via alla visione in più lingue.
Cosa accadde invece sul volo Alitalia di ritorno a Roma? Prima la distribuzione (a pagamento) delle cuffie da collegare al bracciolo: scegliendo tra i canali della pulsantiera, si poteva scegliere l’audio tra Italiano, Inglese, Francese e Tedesco.
Giunse la hostess e che aveva in mano? Una pizza con pellicola, tipo quelle da cinema! Altro che videocassetta. La inserì in uno scomparto come fosse un mangiadischi (invece era un mangiafilm, mangiapellicola) e così diede inizio alla proiezione.
La ricerca del canale audio in Italiano fu immediata, ma ecco la sorpresa: Francese e Inglese erano sincronizzati con le immagini; l’audio in Lingua Italiana era ritardato di circa dieci minuti. Quando si osservava una scena, il sonoro era di sequenze precedenti di circa dieci minuti.
Ripeto: volo Alitalia, settembre 1988.
Alle mie osservazioni, l’hostess mi guardò dall’alto come se fossi stato una sottospecie di rudimentale primate ribadendo con vocina secca e ferrea, stile signorina Rottermeier nella serie dei cartoni di Heidi: “Non posso farci nulla ed è inutile che mi restituisca le cuffie perché una volta noleggiate non le restituiamo quanto ha pagato. Segua il film in altra lingua“.
Nella parte finale del volo mi addormentai nonostante passassimo diverse turbolenze avvicinandoci all’Europa. Quando riaprii gli occhi, Roma non era lontana. L’aereo ancora lottava con i venti e tra i tremolii e scossoni vidi che dal tetto gocciolava acqua sulla testa semicalva di un passeggero (giustamente indispettito) seduto tre sedili più avanti.
Ecco, da quel momento ebbi la piena consapevolezza che il mio mondo del volo, del viaggio in aereo, era definitivamente morto.
L’industria iper produttiva e super industriale del turismo aeroviaggiante, stava distruggendo tutto. In tutto questo si inserii la crisi perenne di Alitalia, già esistente da prima, ma sempre più devastante col passare degli anni. Crisi giunta ormai a un punto di rottura con il progetto di riduzione al lumicino del vettore aereo nazionale, il cambio di nome e il sipario che calerà impietosamente.
Finisce la mia visione romantica ormai dettata solo da ricordi, ma condivido un episodio divertente e appagante
Gli “assistenti low cost“ si fanno onore nonostante le difficoltà. La definizione-nomignolo (non con intenti dispregiativi) fu data da un amico fotoreporter all’aeroporto romano di Fiumicino mentre attendevamo di imbarcarci per un volo BluPanorama diretto a Palermo.
Un noto politico, ex sindaco di Roma, progressista, voleva imbarcarsi con un bagaglio a mano eccedente di molto la misura consentita. I passeggeri guardavano con occhi a spillo il privilegiato.
L’assistente di terra non lo fece passare e agì con gran coraggio e professionalità. Il politico fu protagonista di una scena penosa, togliere carte e altra roba dal voluminoso borsone in pelle per farlo “dimagrire” buttando tutto quel materiale sulle mani dei due di scorta. Non voleva pagare l’eccedenza…
Niente da fare, per quanto spingesse, la grande borsa non entrava nel misuratore delle dimensioni.
La Hostess compilò una ricevuta e si fece pagare il surplus bagaglio a mano come avrebbe fatto per qualsiasi altro passeggero. Il politico pagò di cattivo grado, anche se i suoi alti proventi gli consentivano e gli consentono di pagare con leggerezza senza fare quella figuraccia.
Apprezzamenti e applausi da parte di alcuni passeggeri.
Il mio amico fotoreporter: “Ma guarda che bello, l’Hostess Low Cost si è fatta rispettare. Brava!“. Attorno a noi la battuta fu apprezzata da altri passeggeri che sorrisero di gusto apprezzando il lavoro di quella donna così risoluta e attenta.
E poi ci si chiede perché Alitalia è un colabrodo… 😅
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Ecco, colabrodo è il termine esatto. Che gestione pessima. Nei decenni l’ho vista cambiare dall’eccellenza a quel che è adesso. Credo di aver dato un’idea sullo stato delle cose 😉
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Sì, infatti: ci sei riuscito 😊
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Anche le immagini dell’epoca danno l’idea di proiezione verso il “domani”, della sperimentazione, inventiva. Un clima tutto particolare. Il futuro era osservato, immaginato con predisposizione attiva che andava al di là del mero ottimismo
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Sì, l’idea che danno è quella 😊
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Il mio primo volo risale agli inizi dei ’60: decollato da Birgi, con un Fokker ad eliche, in direzione Pantelleria, dove ho vissuto poco più di un anno. Ero piccolo, ma ricordo la bellezza della vista dall’alto e le figure delle hostess, belle ed eleganti.
A metà anni ’70, il primo volo intercontinentale, in direzione degli USA: un Boeing 707 della TWA. Viaggio lungo, ma confortevole.
Nei primi ’80, ormai mi ero trasferito a Milano, l’aereo era utilizzato, dai comuni mortali e per motivi diversi dal lavoro, solo in casi di estrema necessità. Il volo Milano – Palermo costava 350.000 lire, molto più che il treno o l’auto.
L’uso dell’aereo si è fatto più frequente con l’avvento delle compagnie low-cost, ma la qualità del trattamento è decisamente decaduta. Perfino le hostess non erano più carine ed eleganti come un tempo. Per non parlare dello spazio tra un sedile e l’altro, degno di un pollo da batteria.
Non sono un frequent flyer, ma ho sempre amato volare e, soprattutto, la fase del decollo mi inebria.
Per quanto riguarda Alitalia, ricordo che una mia zia, che viveva negli USA, non voleva mai utilizzarla quando veniva a trovare i miei in Sicilia. Tra scioperi, ritardi e pessimo trattamento, preferiva viaggiare con altre compagnie (parliamo degli anni ’80).
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Ecco, ci siamo, esperienze molto simili alle mie. Io bambinetto viaggiai in aereo per la prima volta nel ‘69. Poi ripetei diverse volte. Sensazioni identiche sulle situazioni, servizio in volo, personale. Naturalmente, mezzo secolo fa. Dopo, il tracollo industriale, se così posso definirlo, una situazione che ha reso ancora più profondo il divario a bordo tra le prime classi e quelle economiche. Per quanto riguarda la mia famiglia, prima del trasferimento definitivo a Roma abbiamo abitato a Parma, Livorno, Savona, Crotone. La spola con Catania la facevamo spesso in auto, ma la preferenza era in aereo e in vagone letto (ma quello dell’epoca) imbarcando l’auto nelle bisarche messe in coda al convoglio ferroviario, servizio del tutto sparito da svariati anni
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Ho provato anch’io il treno con auto al seguito (Milano San Cristoforo – Villa S.G.), viaggiando in cuccetta con uso esclusivo dello scompartimento. Non mi è piaciuto perché i tempi di imbarco e sbarco erano troppo lunghi e per la paura che, durante il viaggio, dei ladruncoli danneggiassero l’auto per portar via il contenuto.
La soluzione preferita per andare in Sicilia in vacanza era (non vado da quasi dieci anni) l’auto più il traghetto da Civitavecchia a Palermo.
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Noi preferimmo sempre prendere due scompartimenti comunicanti del vagone letto che veniva sigillato dal resto del treno e l’addetto la mattina ti svegliava all’ora stabilita con la prima colazione scelta la sera prima dal menù. Era troppo comodo. L’auto imbarcata non fu mai toccata da ladri. I tempi più lunghi erano per lasciare l’auto all’imbarco più che al ritiro. Ma era troppo comodo anche questo. Non guidavi per nulla, eri in Sicilia in tutta comodità e al ritorno
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