Tanti auguri a tutti per un felice 2022! Buon Capodanno 2021-2022! Abbiamo passato due anni molto pesanti. É ora di cambiare.
Il 2020, classico anno del terrore e dei morti, del respiro mozzato fino a soffocare, dell’isolamento comunemente anglicizzato in “lockdown”.
Sulle speranze che riponevo e che tutti riponevamo nel 2021 dopo il disastroso 2020, ne scrissi un anno fa nel mio articolo “Riprenderci l’intimità perduta: Buon Natale e Felice Capodanno per un 2021 che ci traghetti in un periodo post pandemia, sereno, d’amore lucidamente consapevole”.
Poi il 2021 carico di speranza, quello con i vaccini la cui somministrazione era iniziata timidamente sul finire dell’anno precedente, l’infezione ha iniziato a uccidere sempre meno, gli stessi reparti di terapia intensiva sempre meno carichi di lavoro per casi da Covid-19, anche se sono tornati a buon regime di ricoveri nell’ultimo spicchio dell’anno.
Un 2021 fatto di varianti del Sars-COV-2 sempre più contagianti anche se non così micidiali come nella “prima versione”, grazie anche allo scudo dei vaccini e a misure di protezione sociale già collaudate. Un anno di conflittualità sociale aizzata da chi ha usato una parte di popolazione per tornaconto elettorale e strumento di scontro politico, senza tralasciare chi delle contrapposizioni ha approfittato per aumentare la propria visibilità, i propri “like” social, le vendite di manuali e assurdi metodi di pseudo cura.


Non siete stanchi? Siamo tutti stanchi.
Stanchi delle mascherine, è vero, ma solo perché non siamo ancora abituati.
Ricordate negli scorsi decenni, quelli pre pandemia, quando ci arrivavano immagini da paesi come Giappone e Corea del Sud?
Come sorridevamo noi osservando quei viaggiatori di metropolitane e gli addetti al trasporto pubblico giapponese che indossavano le mascherine… oltre ai guanti bianchi. Prima in Giappone era pratica diffusa, ma non totale. Da 2020 totale uso delle mascherine insieme alla prassi per evitare le situazioni ad alto rischio denominata delle “tre C”: Closed spaces, Crowded places e Close-contact settings, ovvero spazi chiusi, luoghi affollati e contatti ravvicinati, soprattutto in situazioni che comportano conversazioni ad alta voce.
Molto prima dell’era Covid, su quelle zone dell’Asia tanti di noi pensavamo, “certo, lì dove c’è tutta quell’umanità così affollata e pressata, la mascherina la porteranno fin da bambini per evitare continue trasmissioni di influenza, raffreddore e chissà che altro”.

In Giappone indossare le mascherine è stato per molti decenni parte della vita quotidiana, una tra le abitudini sanitarie più consolidate. Di sicuro nelle città.

Come riportato da 3box.it, Mitsutoshi Horii, professore di sociologia all’Università di Shumei (link), ha sottolineato come “Quando qualcuno è malato, per rispetto dell’altro, indossa la maschera per evitare di infettare gli altri”. É quella che l’accademico ha descritto come una pratica collettiva che risponde e rispondeva a una sorta di “rituale di rischio auto-protettivo”.
A prescindere e ben prima del Covid.
Tutto iniziò nel 1918, col grosso dell’epidemia di influenza Spagnola, quella che in Giappone uccise circa 390.000 persone (nello stesso periodo in Italia le vittime furono circa 600.000).
“Il governo giapponese combinò una strategia di vaccinazione, isolamento e uso di maschere chirurgiche o maschere facciali per fermare quella pandemia – ha aggiunto il professore Horri – strategia che, alla fine, ha aiutato a controllare la crisi. Il fatto è che le persone lo hanno assunto come parte del loro folklore, sottolineando che le maschere costituivano anche una barriera tra aria pulita e inquinamento”.
“C’è una falsa convinzione che i giapponesi abbiano adottato questa misura perché i loro governi sono autoritari ed è una cieca obbedienza ai regolamenti governativi, ma non lo è – ha sottolineato George Sand, professore di storia giapponese alla Georgetown University – L’hanno fatto perché si fidavano della scienza. L’uso delle maschere era una raccomandazione scientifica vista dai giapponesi all’epoca, in un paese che era in un processo di industrializzazione, come l’adattamento al mondo moderno, come un progresso tecnologico”.
Più che una scelta estetica – sottolineano nell’articolo di 3box.it – le maschere sono considerate parte di una strategia di coping contro le malattie (semplifico strategia di coping: evidenze sperimentali vincenti contro l’incertezza con eliminazione di risposte fisiologiche agli stress), essendo l’epidemia della sindrome respiratoria acuta grave, quella che ha colpito il Sud-Est asiatico nel 2003, la migliore prova della generalizzazione di questa abitudine.
“Mentre nel resto della regione il virus ha colpito fortemente i suoi abitanti, in Giappone non c’erano vittime – ha affermato il professore Mitsutoshi Horii – Ciò non solo ha dimostrato che gli scienziati avevano ragione sull’uso delle maschere per evitare il contagio, ma ha anche molto rafforzato il loro utilizzo”.
In Europa e in Italia?
Da noi neppure a parlarne. Scavate pure nei vostri ricordi, quelli degli ultimi trent’anni e anche di più (per chi c’era già).
Sorridevamo dei giapponesi e degli asiatici con mascherina che ci venivano mostrati dai telegiornali e dai documentari. Ci consideravamo così lontani da quella realtà, noi europei: pensavamo di non aver bisogno di mascherine. “Quei giapponesi sono così esagerati!”.
Poi è arrivato il virus mortale, l’infezione Covid-19 e le mascherine abbiamo dovuto metterle anche noi.




A lungo andare, per noi storicamente viziati e auto consideratici superiori, ecco arrivati il disagio mentale, l’incertezza. Stati psicologici causati anche dall’informazione carente e contraddittoria, dalla ricerca disperata e acritica di qualsiasi cosa in cui credere.
I già esistenti complottismi che comprendevano pure i terrapiattismi, i terracavismi, i rettilianismi, i reset mondiali (qui rido forte), i poteri forti schiavizzanti e altre amenità, si sono consolidati e sviluppati: i loro “profeti” non potevano lasciarsi scappare la ghiotta opportunità del Covid per allargare i ranghi.
Da qui la mascherina etichettata a simbolo della “dittatura sanitaria“, espressione che continua a farmi ridere nonostante la tragicità di chi ancora oggi la sbandiera.
Non siete stanchi? Siamo tutti stanchi.
Il “nemico” non è la mascherina, ma il disagio sociale non dominato e non curato, è la mancanza di serenità – a volte l’impossibilità – di potersi abbracciare o darsi la mano, il non sapersi adattare al momento e alla lontananza del tocco umano.
La mascherina è diventata un obiettivo comodo da stigmatizzare per i poveri di mente, facilmente propagandabile insieme a sciocchi slogan.
Eppure proprio da Giappone, Corea del Sud e Taiwan ci è giunta una grande lezione. Lì, presìdi di prevenzione medica come le mascherine, sono usati da decenni. In quei paesi c’è grande consapevolezza del senso di comunità – da sempre – come della disciplina e dell’obbedienza alle regole come responsabilità verso gli altri. In queste nazioni dove il regime democratico esiste, questo loro comportamento ha reso più facile affrontare l’emergenza Covid pur avendo patito conseguenze per la partenza ritardata delle vaccinazioni.
Un aiuto a comprendere tutto questo arriva da un articolo (che invito fortemente a leggere) pubblicato sul Corriere della Sera (link) intitolato “Il successo del modello asiatico (non autoritario) contro il Covid: una lezione per l’Occidente”. Un pezzo che dipinge una panoramica limpida su queste nazioni dell’Est asiatico affiancando, in alcuni punti, il nostro comportamento europeo-occidentale.
Non siete stanchi? Siamo tutti stanchi.
Passata questa panoramica deprimente che tutti abbiamo vissuto tra il 2020 e il 2021, ci resta l’augurio di qualcosa che illumini i nostri prossimi giorni.
Non è l’amore che nasce, cresce e, prima o poi, muore per poi ricrearlo ripescando dal vecchio o esplorando il nuovo. Non si tratta di altro che possa essere espresso in alti e, al tempo stesso, vaghi concetti, tanto astratti quanto determinanti nel rosario di ogni esistenza.
Chiarezza-limpidezza. Questo ci vuole. É l’elemento determinante che tutti desideriamo.
La certezza è quella che permette di ripartire con grande energia, che sia nell’Amore, nel Lavoro, negli interessi, nella convivialità tra parenti e amici, nella voglia di stare insieme.
La chiarezza, solo lei, può essere propulsore di quella grande spinta che può permetterci di stare più lontani dai ring social, televisivi, giornalistici, canali che ci vendono continuamente violenza e contrapposizione (oggi fanno ascolti, “fanno click” e “mi piace”). La chiarezza-limpidezza ci permetterà di non essere più come suini contenti di rigirarsi nel fango dei pugni verbali, degli insulti, delle teorie balorde, delle urla a labbra schiumanti.
Non siete stanchi? Siamo tutti stanchi.
Facciamo il nostro dovere comunitario, morale, spirituale. Mentre lo facciamo, attendiamo con una maggiore carica interiore di serenità, leviamo ogni velo dagli occhi, non facciamo da spettatori e non leggiamo solo quel che ci aggrada di più, solo quel che soddisfa il nostro bisogno del momento, non seguiamo solo la nostra “simpatia” politica, l’ideologia dell’istante.
É vero, è più faticoso, è un percorso più impegnativo, ma il futuro ci attende. Senza serena e ampia visione non andremo da nessuna parte. L’acriticità e la passività non servono a nulla e sono condanna a morte civile.
Confrontiamo tutto senza tensioni. Facciamolo con chiarezza e onestà.
Speranza e invito vani? Vedremo. La stanchezza spinge a un cambiamento radicale del comportamento.
La verità non è mai tutta da una parte: la verità è da scovare come i sassolini lasciati andare da Pollicino per tornare al sicuro dalle tenebre del bosco. Ma che siano sassi, solidi, concreti e non effimere molliche di pane, quelle che gli uccelli-imbonitori divoreranno facendoci perdere il sentiero del ritorno.
Vogliamo ritrovare la strada giusta?
Un consiglio di lettura: la favola di “Pollicino – Le Petit Poucet” scritta nel 1697 per “I racconti di Mamma l’Oca” dallo scrittore Charles Parrault, tradotta in Italiano nel 1875 dallo scrittore e giornalista Carlo Collodi che le diede il nome di “Puccettino”
Buongiorno Giuseppe, davvero un bel post. Mi piace leggere le idee espresse in maniera pacifica e scritte (soprattutto) bene. Buona giornata e se non ci ribecchiamo davvero un buon inizio.. che di “fine”, ne abbiamo avuta anche troppa. 🌻 ciao!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie Giusy e felice 2022 a te! Mi fa piacere che sia tutto definito in maniera lineare e che in questo modo sia percepito.
Sì, basta con la fine di qualsiasi cosa 😁 ne abbiamo già collezionate diverse di “conclusioni”. La ripartenza è un buon pensiero.
Salutoni!
"Mi piace"Piace a 1 persona