Le tragedie umane vanno sempre ricordate per non ripetere gli stessi errori continuando a portare morte, orrori, dolore. Il Giorno del Ricordo riguarda il massacro e l’esodo di tanti italiani come conseguenze di una guerra insensata, atroce e di azioni decise da regimi totalitari.
Mia decisione di sempre è quella di ricordare le vittime di violenze, ancora di più se da pulizia etnica, a prescindere dalle motivazioni di base e dal numero dei morti che, sempre, includono vittime innocenti: in simili atti violenti, chi ne è stato autore non ha visto la differenza tra spalleggiatori di un regime e gli altri. Si ammazza e si caccia via senza distinzione.
Nessun processo, nulla, al meglio procedimenti sommari, proforma. Senza contare gli imprigionati (come nei nei campi di concentramento jugoslavi, soprattutto a Borovnica e Lubiana) poi letteralmente scomparsi…
Il regime jugoslavo del maresciallo Tito fu autore di tutto questo: nel suo bilancio un grosso conto di morti per pura volontà di annientamento. Contro i fascisti sì, ma contro gli italiani in genere perché potevano opporsi al regime comunista e all’annessione jugoslava dei territori in questione. Da considerare che già dopo l’armistizio del 1943, nella volontà di annientamento degli italiani furono compresi anche i croati, pure loro considerati come problematici per la conduzione futura delle stesse regioni.

Fu una degenerazione non scusabile, ma prevedibile dopo sei anni del sanguinoso e terribile Secondo Conflitto Mondiale che ebbe conseguenze assurde per la lievitazione di odio, contrapposizioni, dittature nazifasciste che favorirono la distruzione finale di nazioni e partorirono un’Europa dilaniata, l’insorgenza di altre dittature, come quella comunista jugoslava che riempì subito un vuoto di potere nella confusione bellica e post bellica.
Per brevità, dal 1943 al 1947, tra Venezia Giulia, Istria e Dalmazia, il massacro delle Foibe (e non solo) che vide come vittime almeno 5.000 italiani, anche se altre fonti ne raddoppiano il numero (non si conoscerà mai esattamente il numero degli assassinati), uomini, donne, bambini, alcuni buttati in queste cavità carsiche quando erano ancora vivi.
E non si può sostenere che le vittime furono tutti sostenitori del regime fascista. A essere buttati in quelle fosse tantissime persone che nulla avevano a che fare col regime, ma erano persone qualunque. Ne furono colpiti anche partigiani italiani che non volevano accettare il dominio delle autorità iugoslave. Eliminati o cacciati. Uno degli scopi era assottigliare la presenza di non jugoslavi nei territori contesi in modo che ai tavoli delle trattative il regime di Tito potesse partire avvantaggiato per l’annessione di queste aree presentate solo come tipicamente jugoslave.
Il velo rosso sugli occhi, quello dell’odio, della sopraffazione, della rivincita, della pulizia etnica anti italiana e le macchinazioni politiche, non fecero fare distinzione. Si dovevano uccidere e cacciare via gli italiani. Tutti.
Da qui anche l’enorme esodo dalle loro terre di italiani Istriani, Fiumani e Dalmati.


Il Giorno del Ricordo è stato istituito come ricorrenza dal Parlamento italiano, con la legge 92 del 30 marzo 2004, proprio per onorare la memoria delle vittime delle foibe e di quel grande esodo al confine orientale d'Italia nel secondo dopoguerra.
Come ricordato anche dall’Enciclopedia Treccani, la data del 10 febbraio ricorda il giorno in cui, nel 1947, fu firmato il trattato di pace che assegnava alla Iugoslavia l’Istria e la maggior parte della Venezia Giulia.
E da quel momento la tragedia proseguì raggiungendo vertici incredibili.

Foibe – Le f. sono tristemente famose per i molti Italiani che nel 1945 vi furono gettati, vittime delle rappresaglie militari e politiche iugoslave.
Profonde cavità naturali (lat. fovea) tipiche delle aree carsiche. Nella Venezia Giulia (ex province di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume) le f. vennero largamente utilizzate durante la Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, per liberarsi dei corpi di coloro che erano caduti negli scontri tra nazifascisti e partigiani, e soprattutto per occultare le vittime delle ondate di violenza scatenate a due riprese – dapprima dopo l’8 settembre del 1943 e successivamente nella primavera del 1945 – da parte del movimento di liberazione sloveno e croato.
Molto note sono la «f. dei colombi» di Vines, in Istria, dalla quale vennero recuperati, nel 1943, 84 corpi, e il pozzo di Basovizza, nei pressi di Trieste, rispetto a cui nel 1945 fonti britanniche parlarono di alcune centinaia di vittime, mentre da parte italiana vennero diffuse cifre assai superiori; le esplorazioni di tale cavità non hanno tuttavia prodotto significativi risultati.
Quanto alle dimensioni del fenomeno, le ipotesi più attendibili parlano di circa 600-700 vittime per il 1943, quando a essere coinvolta fu soprattutto l’Istria, e di più di 10.000 arrestati – in massima parte, ma non tutti, di nazionalità italiana –, alcune migliaia dei quali non fecero ritorno nel 1945, quando l’epicentro delle violenze fu costituito da Trieste, Gorizia e Fiume.
Nel complesso, un ordine di grandezza tra le 4000 e le 5000 vittime sembra attendibile.
[…] Nell’insurrezione, però, i connotati etnici e politici si saldavano con quelli sociali; in tal modo bersaglio delle retate divennero anche i possidenti italiani, vittime dell’antagonismo di classe che coloni e mezzadri croati avevano accumulato nei confronti dei proprietari italiani. La seconda ondata di violenze ebbe inizio nel maggio 1945, quando le truppe iugoslave giunsero nella Venezia Giulia, colpendo in primo luogo i militi repubblichini, ma coinvolgendo anche unità della Guardia di finanza e parte della Guardia civica di Trieste.
Le autorità iugoslave diedero quindi il via a un’ondata di arresti, i cui obiettivi furono i membri dell’apparato repressivo nazifascista, i quadri del fascismo giuliano ed elementi collaborazionisti, ma anche alcuni partigiani italiani i quali non accettavano l’egemonia iugoslava.
Enciclopedia Treccani
Tra le vittime-simbolo viene ricordata Norma Cossetto, studentessa istriana che nel 1943 non aderì al movimento partigiano. Come risposta fu arrestata, trascinata nell’ex caserma della Finanza di Parenzo, ripetutamente e brutalmente seviziata e, nella notte tra il 4 e 5 ottobre del 1943, portata a piedi, insieme ad altri prigionieri, fino a Villa Surani: lì furono gettati una foiba, lei forse era ancora viva.