Angelo Deiana (Confassociazioni), economia pandemica e di guerra, globalizzata. Serve un’Europa a voce unica, “Nessuno può fare da sé”. Prezzi, speculazione e inflazione

Uno sguardo a tutto campo per comprendere meglio. L’economista Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni (link), traccia una visione limpida sull’economia nazionale e mondiale, la globalizzazione, l’evidenza della speculazione sui costi energetici (e non solo). E ancora, l’impossibilità di un’autarchia economica, se non nei sogni e nelle favole. Globalizzazione da gestire diversificando e gestendo il rischio. Oculatezza, attenzione, tassazione degli extraprofitti. Lo Stato: evitare scostamenti di bilancio; evitare sostegni economici “a pioggia” perché alcuni settori economici sono sempre andati bene, servono sostegni selettivi, scientifici, per alcuni settori. Inflazione nei suoi due aspetti: buona se dovuta a momenti di crescita, cattiva se spinta da movimenti speculativi.

Globalizzazione per quello che è, per come “si muove”, il suo valore reale

Angelo Deiana – C’è un primo principio da fissare. Abbiamo finalmente capito il valore della globalizzazione. Prima lo comprendevamo relativamente in pochi. Adesso invece, con la pandemia prima e con la guerra Russia-Ucraina dopo, lo hanno compreso tutti. Quindi, globalizzazione come manifestazione del fatto che il costo del lavoro, le materie prime, il grano, vengono influenzati e provengono da posti diversi, quelli che hanno la capacità di specializzarsi sul piano economico, un fatto che per chi non ha quelle materie prime, quella forza lavoro, quel grano, rende più conveniente, comprarlo fuori piuttosto che produrlo in casa. Io non credo a questa sorta di reshoring autarchico di cui tutti parlano (ndR: opposto di offshoring, quindi il rientro “in casa” di produzioni e acquisti).

Giuseppe Grifeo – Non è possibile far da soli o rendersi economicamente molto più indipendenti?

Angelo Deiana – Non credo a una sorta di autarchia e lo penso per un motivo molto semplice. Non è che non si debba comprendere che è accaduto qualcosa di grave durante la pandemia e qualcosa di altrettanto grave nel corso dell’attuale conflitto. Si deve soltanto comprendere che, come tutte le altre manifestazioni straordinariamente importanti della nostra vita – la finanza, la vita stessa, il denaro -, la globalizzazione va gestita secondo dei criteri: diversificazione e gestione del rischio, ovvero risk management. Questo va scritto ovunque, della serie, “non lo hai mai fatto prima? Hai avuto quelli che non sono cigni neri come dicono tutti ma, al contrario, sono cigni bianchi”. Rammento quello che ci raccontammo in una precedente intervista (link all’articolo del 10 dicembre 2020), che c’erano 320 milioni di dollari di bond sul rischio pandemia emessi dalla Banca Mondiale che scadevano il 15 luglio 2020. Quindi, qualcuno aveva già pensato a gestire il rischio pandemia. Che Putin facesse la guerra era un dato di fatto per il track record precedente. Quindi, cosa si sarebbe dovuto fare? Gestire la diversificazione delle fonti di materie prime, gestire il rischio, in maniera ponderata: un pochino alla Russia che è autocratica, un pochino all’Algeria meno autocratica, un pochino all’Egitto che è più o meno autocratico, ma ci devi fare affari. Può sembrare brutale detto così, ma serve a far comprendere la situazione.

G.G. – Servono pesi e contrappesi. Globalizzazione e va bene, ma l’Italia è in Europa, un sistema che sembra non funzionare ancora.

A.D. – Qui siamo al secondo punto. Bisogna comprendere che, soprattutto per un Paese come l’Italia, si deve fare l’Unione Europea vera, non quella della Difesa che rimarrà sempre un aspetto di contorno, ma quella che porti a un ritorno verso il Mercato Comune Europeo, quello che è esistito fino al 1993, fino a Maastricht: tornare quindi alla dimensione in cui la realtà europea negozi tutta insieme, a unica voce, che fissi il prezzo del gas in blocco unico, con unica volontà. È quello che fanno, per altri versi, gli Stati Uniti con il loro spiccato federalismo sì, ma con norme e logiche federali che per alcuni temi sovrastano quelle dei singoli stati dell’Unione.

G.G. – Il quadro di un’Europa a unica voce creerebbe uno scenario mondiale del tutto nuovo con pesi e contrappesi economici di rilevo.

A.D. – Questo schema darebbe all’Europa la potenza di un mercato da 550 milioni di consumatori ricchi, perché è bene sottolinearlo, noi viviamo nel continente più ricco del mondo, rispetto ai 330 milioni degli Stati uniti, rispetto ai 144 milioni della Federazione Russa, il miliardo e 300 milioni della Cina che rimane un Paese importantissimo. La Cina è la fabbrica del mondo con basso costo della manodopera. Questi, però, quando arriva il momento, chiudono il rubinetto e non ti fanno più avere le forniture. È su questo nodo che occorre un’attenta la gestione del rischio.

L’Europa e il Mondo cambiano: nessuno può risolvere i propri problemi in splendido isolamento. La necessità di un’Unione Europea a voce unica

Giuseppe Grifeo – Siamo alle soglie di un forte cambiamento, anche se per adesso sembra tutto impantanato?

Angelo Deiana – Il pericolo di questi tempi ci sta conducendo verso la giusta meta. Non si può pensare che i processi di accelerazione conducano in un attimo dal punto di partenza a quello di arrivo. Un processo di cambiamento non può essere istantaneo. La Pandemia ha dimostrato che nessuno può fare da solo. Nemmeno lo stato più potente del mondo con il presidente più potente del mondo, come sono gli Stati Uniti. Tutti sono interconnessi e devono stare insieme. Il valore della globalizzazione è proprio in questa interconnessione totale, globale, che dobbiamo gestire con diversificazione e risk management politico ed economico.

G.G. – In tale quadro, quale strategia dell’Unione Europea per guidare i processi economici e non farsi schiacciare da imposizioni di mercato esterne?

A.D. – L’Unione Europea deve scegliere alcuni settori, non deve comprendere tutto, nei quali fare politica economica comune vera. Vogliamo etichettarlo semplicemente come gruppo d’acquisto? Così deve essere affinché l’Europa possa avere il potere di influenzare i mercati. Perché se alla Cina venisse a mancare il mercato europeo e se questo trattasse a unica voce, si potrebbe raccontare una storia significativa su alcuni dei settori dove per noi è difficile competere. Penso per esempio all’acciaio.

La speculazione sui prezzi dell’energia, l’influenza sui mercati mondiali

Angelo Deiana – Il prezzo dell’energia non sta aumentando dal 24 febbraio 2022, ma da almeno sei trimestri consecutivi fino al 31 marzo. È da18 mesi che stanno lievitando i prezzi dell’energia e delle materie prime. Paradossalmente, il primo aprile 2022, i prezzi sono diminuiti. Nell’ambito di quello che ho indicato prima, quindi gestione sotto il segno della diversificazione e del risk management, sarebbe stato necessario gestire da prima le problematiche dei prezzi dell’energia: c’è da riconoscere che il nostro governo lo ha fatto, basta considerare i 12 miliardi di euro stanziati a settembre 2021 e non dopo, ma il problema è che dal momento in cui si inizia a prendere provvedimenti per sostenere i costi delle famiglie e delle imprese, bisogna preoccuparsi degli effetti perversi della comunicazione sulla speculazione.

G.G. – Mercati e alcuni attori giocano su questi due pilastri: comunicazione e speculazione?

A.D. – I mercati si fanno sulle aspettative. Non solo quelli borsistiche, ma di qualsiasi tipo, su qualsiasi “prodotto”. Se qualcuno dice che il 31 dicembre l’inflazione sarà intorno al 5%, bisogna specificare in quella comunicazione che è solo quella di dicembre e che il dato tendenziale del 2021 era del 2,1%. Al contrario, senza specificare, accadono cose strane. Ecco un esempio con una delle mie banche alla quale pagavo un canone annuo di 32 euro e che mi ha scritto una bellissima mail in cui ha specificato che a causa degli aumenti, a causa dei costi e dell’inflazione, il canone passava da 32 a 60 euro: spalmandolo mensilmente sarà pure il costo di tre caffè, ma rimane un aumento di quasi il cento per cento. Totalmente ingiustificato.

G.G. – Aumenti spropositati in più settori. Chi è stato colpito maggiormente?

A.D. – Tutto questo ha colpito i settori a domanda “non elastica”. Tanto per farmi capire: sono quelli dove c’è la domanda elastica, come per i vestiti di lusso, anche i viaggi o altro. Si può decidere, “caspita, costa troppo, non acquisto e non viaggio”. Al contrario, nei servizi finanziari, nella logistica, negli alimentari e nei prezzi dei carburanti al dettaglio e dell’energia in generale, è chiaro che si è riversata una speculazione enorme. Hanno messo prezzi con aumenti ingiustificati, anche perché alcuni di questi – non tutti – dovevano recuperare quanto non avevano guadagnato durante la pandemia.

G.G. – Cerchiamo di far luce sul come vengono definiti i prezzi.

A.D. – Bisognerebbe chiedere quando hanno comprato materia prima, quali contratti sono in corso per la fornitura di gas russo o di petrolio. Però c’è una sottolineatura da fare. Il mercato dell’energia vende sempre al prezzo più alto. Mi spiego con un esempio semplice. Tu “entità X” hai il fotovoltaico e produci energia a costo praticamente nullo. Poi c’è il tuo vicino che produce a un costo 10 perché ha un’altra tipologia di produttività che comporta alcuni costi. Un altro ancora usa invece il gas per produrre energia, quindi è soggetto agli aumenti di Putin e deve vendere a 50. Con questa panoramica il mercato pratica un prezzo finale pari a 50: colui che produce energia col gas va in pari, quello di mezzo avrà un guadagno finale pari a 40 e il produttore tramite pannelli fotovoltaici si metterà in tasca tutti i 50 senza aver fatto nulla. Tutto ciò per far comprendere che bisognava pensarci prima a calmierare questa tipologia di assetto del mercato dell’energia. Per questo in precedenza sono partito dalla necessità di diversificazione e dal risk management.

G.G. – Il meccanismo è chiaro, ma non è finita qui…

A.D. – Ecco, qui siamo al secondo tema. Come già successo durante la pandemia, questa tipologia di impatto dei due grandi cigni bianchi – la pandemia stessa e la guerra -, non ha colpito in modo identico tutti i settori: su molti hanno avuto un forte impatto e su pochi molto meno. Molti settori hanno continuato e continuano ad andare benissimo. La Sanità va benissimo, come l’Energia. Allo stesso modo la Logistica che ha i prezzi dei noli in forte aumento, stanno lievitando e scoppiettando sempre più, come dei popcorn nel forno. Tutti questi stanno accumulando forti extraprofitti compreso un altro soggetto: lo Stato.

G.G. – Tassiamo gli extraprofitti dello Stato. Ci faccia begli sconti su servizi, ci sostenga.

A.D. – L’IVA – imposta sul valore aggiunto -, a parità di bene, è fissa nel suo peso percentuale. Quando i prezzi lievitano, lo Stato incassa sempre di più: se un bene costa 100, lo Stato ne incassa 22; se il prezzo per lo stesso bene sale a 200 euro, lo Stato ne incassa 44. Crescendo tutta una serie di extraprofitti, anche lo Stato ne ha un forte guadagno sul piano fiscale. A sua volta però, lo Stato potrebbe prendere queste inaspettate entrate fiscali per abbattere i costi dei cittadini e delle imprese senza procedere in quello che stanno chiedendo tutti, ovvero, lo scostamento di bilancio.

G.G. – La temerarietà di uno scostamento di bilancio statale è fattore cui possiamo sottrarci. Evitiamo di appesantire l’indebitamento pubblico?

A.D. – Appunto, io per il momento sarei molto prudente sul tema bilancio. E lo sarei per due motivi. Il primo: siamo già carichi di debito. Noi, con Grecia e Romania, siamo una nazione che ha preso tutta la sua potenziale quota del PNRR sul totale dei 750 miliardi di euro: la nostra Nazione ne ha presi 191, di questi, circa 80 sono a fondo perduto; gli altri circa 112 sono a debito che, pur essendo a lungo periodo, “tripla A” ecc, sono tutti da restituire. Anzi, se ci aggiungiamo la Programmazione UE 21-27 in cui l’Italia è contributrice netta – il nostro Paese dà più soldi di quelli che riceve – alla fine i prestiti a fondo perduto sono tra i 30 e i 35 miliardi e la somma restante va restituita.

G.G. – Bisogna quindi evitare lo scostamento di bilancio. Abbiamo già troppi denari che dovremo restituire, anche se a condizioni favorevolissime.

A.D. – Affinché il debito in questione rimanga “debito buono”, c’è una condizione da assicurare: avendo preso tutta la quota disponibile del PNRR per l’Italia seguendo la precisa intenzione di rivoluzionare il Paese in pochi anni, e visto che la UE vuole che lo si faccia in cinque anni, dobbiamo però assicurare una crescita del 4% nel 2023 e del 3,2% medio per il 2024, 2025 e per il 2026. I calcoli erano stati fatti bene perché si pensava di crescere del 4,2% durante il 2022. Purtroppo, è arrivata la guerra. E se questa continuerà, cresceremo al massimo del 2,3%: sarà solo per effetto di trascinamento di quel 6,5-7% del 2021 dovuto, per esempio, ai lavori del super bonus, opere che saranno portate avanti per tutto il 2022. Nei fatti, come dice Banca d’Italia, nel primo trimestre del 2022 il Paese è decresciuto dello 0,5%. Una tendenza da primo trimestre che, se mantenuta, a fine anno andrà moltiplicata per quattro: un totale finale di due punti negativi. Significa anche un’altra cosa: se non cambierà qualcosa, quel debito del PNRR non sarà più sostenibile.

G.G. – Le prime e più urgenti tappe per evitare di peggiorare la situazione?

A.D. – Prima di fare altri scostamenti di bilancio chi amministra deve: andare a comprendere le nuove entrate fiscali, quelle generate da inflazione, poi l’aumento ingiustificato dei prezzi, quindi su base speculativa; deve andare a recuperare tutte le risorse della “bellissima” fase della bonus economy quando sono stati spesi un sacco di soldi per cose non strategiche. Amo l’ecologia, a fine 2021 sono stato nominato ambasciatore per l’ecosostenibilità, ma non capisco il bonus monopattini, non capisco il bonus biciclette. La bicicletta te la devi comprare da solo! Anche perché non è e non sarà mai alternativa all’automobile. Non smetti di andare in auto perché hai comprato la bici elettrica.

G.G. – Come e dove reperire risorse per raggiungere gli obiettivi?

A.D. – Nelle pieghe dei 120 miliardi di scostamenti di bilancio fatti nei due anni precedenti c’è l’ira di Dio. L’esempio dei bonus monopattino-bicicletta è solo uno tra i tanti. Quindi, cosa fare? Prendere figurativamente un rastrello, raspare tra quelle logiche di bonus economy, recuperare tutte le risorse disponibili, nonché gli extraprofitti fiscali e metterli a disposizione di due cose: delle famiglie alleviando i costi ingiustificati dei carburanti e dell’energia; dei settori che ancora non funzionano e che sono ancora in crisi.

Economia asimmetrica: molti settori soffrono, ma tanti non hanno mai spesso di prosperare

Giuseppe Grifeo – Lo abbiamo evidenziato in precedenza, ma occorre tracciare di nuovo il quadro economico per settori, anche perché la differenza tra chi ha proseguito a crescere e chi è ancora fermo al palo, si è approfondita anche in questo periodo di economia di guerra.

Angelo Deiana – La situazione di crescita economica era già asimmetrica in piena fase pandemica. Sanità/Salute, Logistica, Tecnologia e Alimentari per la grande distribuzione andavano benissimo. La gente era chiusa in casa, ordinava soprattutto tramite dispositivi tecnologici, bene il settore Alimentari, ma non nel negozio sotto casa troppo piccolo che necessitava ancora di più della mascherina. E ancora, la Salute come era ovvio e la Logistica che distribuiva/consegnava i beni e faceva da supporto al tutto. Cosa andava male? La Ristorazione, Turismo, Servizi professionali. Del resto in pieno lockdown/confinamento sanitario, ti serviva un avvocato? Se qualcosa andava parzialmente bene era per il commercialista perché la dichiarazione dei redditi la dovevi fare. Poco altro. Questo era il sistema pandemico.

G.G. – Dal periodo pandemico al “tardo pandemico” i settori trainanti sono rimasti più o meno gli stessi?

A.D. – È la parte finale del 2021, da giugno a dicembre, quando questo mondo produttivo è esploso. Come è avvenuto nell’Edilizia, fino a quel momento mal sopravvivente, ma rilanciato con l’arrivo del bonus vari, facciate ecc, truffe o non truffe sul superbonus e tanto altro: di quella crescita totale italiana al 6,5% del 2021, l’edilizia – da sola – rappresentato l’1,2-1,3%. Tantissimo. Anche molti morti sul luogo di lavoro perché l’Edilizia è un settore poco presidiato. Però è stato un comparto che se nel periodo strettamente pandemico resisteva male, poi è esploso aggiungendosi a quelli che continuavano ad andare bene e che ho già citato, Sanità/Salute, Logistica, Tecnologia e Alimentari. Chi adesso non ha più i picchi di crescita economico-pandemici è la grande distribuzione del settore alimentare che, comunque, non va male.

G.G. – Il settore dell’energia ha messo al sicuro bei guadagni ben prima del conflitto Russia-Ucraina.

A.D. – Oltre all’Edilizia è fortemente emerso tutto il sistema dell’Energia. Perché se nel Paese c’è stata una ripresa di circa il 7%, significa che tutte le imprese hanno tanti ordinativi, sia interni che di esportazione: nel 2021 abbiamo esportato 550 miliardi di euro, circa un terzo del PIL italiano. Ma questa esportazione/vendita giunge da un’industria manifatturiera fortemente energivora. Le ceramiche hanno fortemente bisogno di energia, come l’acciaio, la carta. Lunghissima la lista di settori a forte bisogno di energia. Per questo da 18 mesi aumentano i prezzi dell’energia. Comunque, come abbiamo fatto noi, ha fatto la Cina, l’India e tutta una parte di Paesi europei che non sono autosufficienti dal punto di vista energetico. I prezzi sono saliti. Se si va ad analizzare il mercato energetico negli USA, i prezzi non sono saliti così come da noi perché loro sono autosufficienti.

G.G. – L’industria che ha bisogno di molta energia segna il passo. Soffre. Poi il colpo anche sulla logistica: spedire i propri prodotti ha raggiunto vertici di costo inimmaginabili. Di che cifre parliamo?

A.D. – I nostri settori a forte bisogno d’energia stanno soffrendo tantissimo. Le bollette sono aumentate a dismisura e alcune lavorazioni non sono più convenienti. A oggi almeno un 15% di imprese sta sotto producendo, anche se ha ordinativi: gli costa troppo, non conviene, quindi taglia la produzione e le vendite. Un’altra parte di imprese, quella basata su altre materie prime, ha sia il problema della crescita dei prezzi di queste che della logistica. Per spiegarmi al meglio: l’Eva è una sorta di polistirolo evoluto con cui si fanno tantissime cose, comprese le suole delle scarpe ginniche, da tennis; prima si comprava in Cina con trasporto container verso l’Italia che costava 2.500 dollari; adesso lo stesso trasporto costa ben 13.000 dollari. Non è più possibile trasportare-importare questo materiale. Anche per questo c’è una parte di imprese che sottoproduce e che non riesce ad avere materia prima per l’enorme lievitazione dei costi, sia dello stesso materiale utile al lavoro che della logistica. Poi ci sono imprese sopravvissute alla pandemia pur soffrendo tantissimo. Durante quel periodo, ad esempio le banche, hanno sfruttato le garanzie statali – decreto liquidità – per fare prestiti più o meno grandi o piccoli. Rischiano di chiudere tutte le realtà oggi sotto scacco per l’aumento spropositato dei costi per le materie prime, per quelli l’energia e, sotto effetto inflazione, per le sacrosante richieste di aumento degli stipendi dei lavoratori che rischiano di veder crollare il potere d’acquisto dei loro salari.

G.G. – In relazione alla situazione economica, quale sarebbe la sua ipotesi di tassazione sugli extraprofitti?

A.D. – Draghi quantifica in un 10%. Calenda dice il 50%. Per quanto mi riguarda, penso che il 25% di tassazione sugli extraprofitti potrebbe rappresentare un giusto equilibrio. Una misura temporanea. Bonomi, presidente di Confindustria, ha sottolineato come oggi in Italia sia a rischio un’impresa su due. Io stesso, in periodo pre-guerra Russia-Ucraina, mi ero permesso di scrivere che avrebbe chiuso un’impresa su quattro. Basta fare la media per comprendere quanto del tessuto produttivo sia a rischio nel nostro Paese. Per questo motivo gli extraprofitti dello Stato e le rendite della bonus economy devono essere rastrellati per essere messi a disposizione settoriale: non a pioggia su tutti, non perché piccole e medie imprese. Vanno mirati a precisi settori. Tutti gli altri, quelli che stanno guadagnando, soprattutto quelli che stanno guadagnando da aumenti puri come per le imprese dell’energia, devono avere una tassazione equilibrata su questi extraprofitti.

Inflazione, timori, il valore del lavoro

Giuseppe Grifeo – La bestia nera dell’inflazione, la gente guarda con preoccupazione a quello che sta avvenendo nei mercati, nelle vendite al dettaglio, un riflesso concreto anche dell’innalzamento dei prezzi sull’energia e sulle materie prime.

Angelo Deiana – Come per il colesterolo bisogna distinguere tra l’inflazione buona e quella cattiva. La prima, quella buona, deriva da una fiammata di crescita economica. L’inflazione del 2021, al netto dei prezzi dell’energia, è stata un’inflazione di crescita. Basta pensare all’Edilizia: non si trovavano ponteggi in tutta Italia per la grande richiesta e per la moltiplicazione degli interventi. Un’inflazione di crescita ha effetti temporanei, è elastica. Tornando all’esempio, qualcuno produrrà più ponteggi per l’edilizia, farà pure più soldi, ma mediamente il prezzo scenderà. L’inflazione cattiva è invece quella che deriva dalla speculazione, quella determinata da soggetti che ti portano i prezzi dei canoni per servizi e delle forniture verso innalzamenti spropositati, del tutto immotivati. Come un grande provider di webmail che il 5 gennaio 2022 ha scritto a me – e a tutti i suoi clienti – che i suoi prezzi avrebbero avuto un aumento del 5% perché era il tendenziale inflattivo di gennaio. Peccato che al 31 dicembre 2021 la tendenza dell’inflazione fosse al 2,1%… e il provider ci ha informati di quell’aumento il 5 gennaio: significa che fino a quando il tendenziale inflattivo non andrà realmente al 5%, il provider guadagnerà speculando.

G.G. – L’Italia non è sola a subire queste spinte inflattive di oggi. Come viene affrontata anche nell’aspetto che riguarda il mercato del lavoro?

A.D. – La stessa inflazione, nella sua quota parte buona, c’è anche negli Usa dove è arrivata addirittura all’8,5%. È tanto. Una parte sarà dovuta alla crescita. L’altra è da speculazione. Ma il mercato statunitense del lavoro è flessibile, non è irrigidito da una miriade di regole. Lì, nello stesso periodo, i salari sono aumentati del 6,2%. Il che vuol dire che negli Usa l’impatto reale sulle tasche di tutti è stato solo del 2,3% che rappresenta un’inflazione credibile: se ogni 100 euro all’anno ne perdi 2, sarà l’equivalente di poco più di un caffè. Al contrario, in mercati come il nostro, iper-regolati dal punto di vista del lavoro, sorge un grande problema. Il lavoratore perde potere d’acquisto. Ma anche se si dovesse andare al rinnovo del contratto si rischierebbe di avere poi l’effetto stagflazione: tanta inflazione, poca crescita, aumento dei salari, aumento dei costi di impresa. Il tutto non corrisponderebbe a un effettivo aumento del potere d’acquisto dei cittadini.

G.G. – Quale strada seguire in un mercato del lavoro rigido come il nostro a fronte di una montante inflazione?

A.D. – Soluzioni sagge, quelle tipiche di mercati del lavoro regolati come quello francese e tedesco, fanno rimandare i rinnovi contrattuali. Rinnovare oggi i contratti di lavoro significa basarsi sull’inflazione attuale. Per fare questo calcolo deve essere considerato l’indice Ipca, Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato, depurato dai prezzi dell’energia: oggi è sul 2,4%, mentre l’inflazione è tra il 6 e il 7%. Quindi, in Francia o in Germania le parti sociali si sono messe d’accordo e hanno rimandato i rinnovi contrattuali ad anni successivi, dal 2023 ai seguenti, dando oggi a tutti i lavoratori un bonus una tantum. Invece di rendere stabile l’aumento basato su un’inflazione che, paradossalmente potrebbe rientrare – poi impossibile da eliminare dai contratti rinnovati -, le parti sociali possono trovare precise logiche di concertazione: le imprese – soprattutto quelle che vanno bene – possono incentivare con una tantum i lavoratori consentendo loro di recuperare una parte del potere d’acquisto perso dagli stipendi. Nel frattempo, il rinnovo del contratto potrebbe scivolare all’anno o ai due anni successivi, periodo nel quale si tenterà di rendere realistica l’inflazione, quella autentica, non da speculazione.

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