Non è perché la gente era al mare o in campagna, al lago o in montagna. Falso, falso, falso. La popolazione ha evitato le urne elettorali per la più totale e indotta sfiducia nel sistema, nelle istituzioni e, ancora di più, sfiducia nei confronti delle consultazioni elettorali, che siano elezioni di qualsiasi livello o quesiti referendari. Una strategia in cui tutti stiamo cadendo. Il risultato s’è visto con il Referendum 2022 che non rappresenta una sola e prima spia d’allarme, ma è l’ultima spia di tante precedenti spie già accese che avvertono della rottura del sistema-Paese.
Oggi è come se ci trovassimo davanti a un intero quadro con luci d’allarme tutte illuminate. Come se fossimo davanti al cruscotto di un’auto e si accendessero le spie di mancanza dell’olio motore, dell’acqua di raffreddamento motore, dell’assenza di acqua per i tergicristalli (e i vetri sono luridi), la spia dell’alternatore che non carica più, di insufficienza liquido freni, della riserva benzina col rischio del blocco.
Eppure, il sistema politico rimane chiuso in se stesso, autoreferenziale, rinserrato nelle sue propagande social ricolme di soli slogan privi di alcun contenuto.
Un sistema politico compiaciuto dei litigi anche urlati tra esponenti-pseudo leader nel corso di trasmissioni radiotelevisive, di tweet al fulmicotone, di post cretini in ridicoli botta e risposta tra avversari e opposti sostenitori.
Una sottolineatura: sono mie riflessioni che non voglio esprimere come se fossero verità assolute o riportate da grandi pensatori o chissà da cosa. Sono pensieri personali, non da imporre come, al contrario, capita spesso di leggere in post social quando molti presentano loro giudizi come indiscutibili verità universali.
Prendete, quindi, quanto qui espongo per quanto vorrei che fosse, nulla più e nulla meno. E senza intento polemico da parte mia.


(eventuali foto da una sezione elettorale sono state scattate prima dell’apertura al voto per le ore 7 del 12 giugno 2022: espressioni dei visi da svegliati alle 5 del mattino. Ma anche fosse stato dopo, l’importante è non immortalare gli elettori al voto senza aver ottenuto un loro consenso scritto. Le operazioni di scrutinio non sono fotografabili, tranne che per autorizzazione data dalle autorità preposte)
Ce li meritiamo così oppure no? O meglio, ci meritiamo una situazione del genere?
Sono sempre più convinto che anche il cittadino italiano ha una sua grande dose di colpa: elegge lui i politici in consigli municipali, comunali, regionali, alla Camera e al Senato. A cose fatte inizia a urlare virtualmente se le cose vanno male, se non corrispondono alle sue aspettative. Così l’Homo Italicus accumula gli slogan preferiti a consolazione di sue scelte errate e a riparo inconsistente di azioni non pensate… MA SE NON VAI A VOTARE, cosa rompi a fare le scatole con lamentazioni da prefiche o frasi al calor bianco infilate sui social o nelle rare occasioni di confronti a vista?
Perché ti lamenti a morte se nelle sezioni elettorali non ci vai?
La gente non comprende un meccanismo elementare, proprio basilare
C’è una disaffezione voluta e causata, una strategia di allontanamento dell’elettore dal voto. E ci caschiamo in pieno da oltre un decennio.
Perché?
Semplice: è estremamente più facile e rapido pilotare la volontà di numeri più piccoli di cittadini, quelli che vanno comunque a impugnare matite copiative e schede, magari i “sopravvissuti” dediti al dovere dell’elettore o gli “ammiratori” -a qualsiasi costo- degli attuali capipopolo.
Per i partitucoli (oggi li definisco tutti così) è un’incognita maggiore dover convincere 46 milioni di elettori, invece che il 50, 40 o 30 per cento di questi. I 46 milioni tutti insieme hanno più forza di inerzia nello sforzo del convincimento. E nelle votazioni del 12 e 13 giugno 2022 per i comuni che dovevano rinnovare i loro organi di governo, la partecipazione elettorale locale è scivolata pericolosamente verso quota 50 per cento (-5,29% rispetto alla votazione precedente).
Smuovere l’interesse e l’indirizzo di una frazione minoritaria degli elettori è molto più semplice, oltre che di maggior effetto, rispetto all’agire sull’intera massa degli aventi diritto al voto.
Ecco, quindi, che spadroneggiano slogan vuoti e di poco impegno (se non nullo) per campagne di comunicazione evanescente, ma perfette per influenzare masse ridotte con maggior forza proporzionale. Nessuno spazio per proposte su misure o progetti fattivi, per strategie utili al Paese (forse solo accennate a forma di slogan).
Su masse di votanti a ranghi sempre più ridotti, crescono il potenziale e la possibilità di risonanza dei non-pensieri.
Su una frazione minoritaria dell’elettorato aumenta moltissimo la pericolosità la capacità di influenzare il risultato finale grazie a poche sciocchezze.
Questa è la nostra classe politica, quella che ha il più grande sollievo di non dover partecipare alle tribune politiche, quelle di una volta, quando il cervello e le capacità dei leader venivano messe in luce nella dialettica che li contrapponeva.
Pieno sollievo per i politicanti attuali di dover solo sgranare gli occhi, solo litigare, magari partecipare a trasmissioni-spettacolo per urlare qualcosa in faccia all’avversario, sovrapporre voci in modo che il telespettatore continuerà a non capire nulla o a capire ancora di meno.
Sollievo degli attuali politici di potersela sbrigare con un po’ di post sui vari social, magari scritti da loro schiavi della comunicazione (perché, probabilmente, non sarebbero neppure capaci di scrivere minch… stupidaggini in poche battute: occorre l’addetto-schiavo, ma che sia senza tanta preparazione perché eviti di pensare troppo e di pretendere troppi denari per questo compito).


Il disastro del Referendum 2022
Sui referendum, a prescindere dalla tipologia, se propositivi o abrogativi, siamo passati da grandissime affluenze dell’87,7% per il referendum sul divorzio (1974), dell’81,2% per il finanziamento pubblico ai partiti (1978) e per l’aborto (1981), all’attuale 20,9% per i cinque quesiti di abrogazione sul tema giustizia cui il popolo italiano doveva rispondere il 12 giugno 2022.
Cinque quesiti NON raccontati alla gente (comportamento voluto da tutti, comprese le forze politiche proponenti), cinque quesiti larvatamente e svogliatamente spiegati, ma con ovvietà assurde e non con ragioni autentiche afferrabili grazie a un linguaggio comprensibile a ogni livello sociale (comportamento voluto da tutti, comprese le forze politiche proponenti). Se chiedi a tutti di esprimersi col voto, da tutti devi farti capire.
Anche la realizzazione fisica delle schede referendarie mi ha contemporaneamente fatto ridere e provare raccapriccio: in ogni scheda un quesito in Lingua Tecnico-burocratese-giuridica non fatta per essere capita da tutti.
Non solo.
Prendo l’esempio più sfacciato. La scheda gialla 3 sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: in grande evidenza le due caselle, quella per il SI e quella per il NO, fin qui tutto normale; ma in cima stava il primo riquadro con la domanda posta all’elettore, anche qui nulla quaestio; sotto questa il secondo grande riquadro con il quesito scritto in appena più di 24 RIGHE, in un carattere ultrapiccolo, illeggibile (mancava poco che fosse necessaria una lente di ingrandimento 30 X o un microscopio).
Veramente folle.
La scheda arancione del quesito 2, la seconda per quantità di testo, poco più di sette righe che illustravano il pezzo di norma da abrogare con il SI: sempre carattere ultraminuscolo come per tutte le altre schede.
Immaginatevi la gente, al chiuso della cabina elettorale. Per luce ambientale una lampadina a led (almeno così è per i seggi romani) cercando di decifrare e leggere quelle lettere piccine piccine, la selva di parole con concatenazioni complesse, quasi una lingua aliena di giuridichese-burocratese anche se resa più semplice del normale (immaginatevi se fosse stata complessa come da origine degli uffici ministeriali o delle magistrature).
Un linguaggio quasi sacerdotale, complesso, come da antichi riti intraducibili e inconoscibili, arcaici, lontani dal volgo che ne è sacralmente e per timore schiavo, ma che deve votare.
Questo nelle schede referendarie.
Conseguenza?
Ho visto con chiarezza come la gente ha reagito o ha disertato, visto che presiedevo una sezione elettorale nel quartiere di San Lorenzo a Roma, quartiere noto per essere stato sempre molto attivo.
Gli iscritti con diritto al voto nella mia sezione: 624 persone suddivise in 315 uomini e 309 donne.
Quanti hanno votato?
Solo in 56, a maggioranza femminile.
Ha votato il 9% scarso degli aventi diritto! E San Lorenzo, mi ripeto, è un quartiere che è sempre stato molto partecipativo. Da oltre 18 anni faccio lì il presidente della stessa sezione elettorale. Ho notato il cambiamento avvenuto anno per anno. La disaffezione montante, la desertificazione della mia e delle altre sezioni elettorali.
E qui ritorno al concetto di partenza.
Vogliono desertificare le sezioni elettorali. Vogliono che la gente si disaffezioni sempre più perché è molto più facile guidare il voto di pochi che quello di una moltitudine.
In questo modo cosa voglio solo sottolineare?
Siete sicuri di voler lasciare campo libero a chi vuol guidarvi verso un subdolo allontanamento dalle urne, verso lo spingervi a rinunciare al diritto di voto? Perché se non vi presentate alle sezioni elettorali, rinunciate al vostro sacrosanto diritto.
Dobbiamo lasciare sempre più spazio alle truppe cammellate dal voto prevedibile e guidabile da certi personaggi?
Il referendum è stata una vittima sacrificale utile, un altro esperimento per non farvi andare a votare. Nessuno voleva seriamente riformare o mutare alcuni aspetti della gestione giudiziaria di questo Paese. Se avessero veramente voluto delle riforme, le avrebbero decise e votate tra Camera e Senato.
Ci saranno nuove elezioni politiche nazionali, locali, ma voi sarete ulteriormente scoraggiati.
Avranno sempre più peso i pochi.
Volete facilitare il compito agli pseudo politici di oggi che col minimo sforzo potrebbero dirigere il voto di una sempre più minoritaria frazione di elettori?
Direi che sia il caso di bloccare questo andazzo. Smettiamola di lamentarci e torniamo in massa a votare. Prendiamoci tutti insieme la responsabilità del responso dato dalle urne, quale esso sia.
Basta con le sirene dalle urla facili, dalle ovvietà abbrutenti, dai post social per decerebrati, stop ai politici cerebralmente ovvi e svogliati, basta con promesse di democratizzazione e sprofessionalizzazione del politico-tipo (il politico DEVE essere preparato e DEVE conoscere i meccanismi: non può cascare dal pero), altrimenti nella sacralità delle aule del Parlamento e dei governi locali sentiremo sempre più degli improvvisati onorevoli, senatori, consiglieri fare dichiarazioni che sono copia e incolla da post Facebook o altro social.
Vogliamo far gestire la cosa pubblica in questo modo? Questi personaggi devono dar vita alle Leggi del Paese?
Il primo passo: torniamo tutti alle urne elettorali.




Sono ultradaccordo!!!!
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Si deve reagire, dobbiamo reagire tornando tutti a far sentire il pieno peso dei nostri voti. Tutti al voto dalle prossime occasioni elettorali
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dobbiamo unirci tutti compatti nel votare Sudtiroler Volkspartei. Renderemo obbligatorie le bretelle e le braghette dal nord al sud!
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Allora invito a votare il partito borbonico per rendere obbligatoria la Coppola e i cannoli con ricotta da capra cinerina dell’Etna dalle isole alle Alpi!
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😂😂😂
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Mi trovo, tristemente, d’accordo.
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La situazione è grave. Non è possibile continuare con queste approssimazioni che condizionano. C’è da reagire e non farsi intrappolare. Partecipazione a ogni costo
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La cosa più preoccupante è la scarsa affluenza alle amministrative, elezioni nelle quali la vicinanza tra elettore e candidato è massima.
Per il referendum, indetto dalla casta, con una raccolta minima di firme, su argomenti poco sensibili per la popolazione, è abbastanza normale che siano andati in pochi. E poi, l’astensione al referendum è una forma di espressione di volontà, diversamente dalle altre elezioni. Io non ho ritirato le schede, proprio per esprimere la contrarietà ai quesiti referendari e alle modalità di indizione. Ci fosse stato il fine vita (o anche la liberalizzazione della marijuana), avrei votato, come penso tantissimi altri. Ma quei quesiti non andavano bene, al contrario di quelli arzigogolati a tutela della casta…
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Per quanto mi riguarda la vera e più profonda forma di libertà nel proprio diritto di voto è essere presenti, prendere le schede, utilizzare il SI, il NO, lasciare in bianco o annullare in qualsiasi modo si voglia, anche con un messaggio. Negli ultimi decenni non si sta facendo più distinzione o quasi su referendum ed elezioni, non va per niente bene l’allontanamento dalle sezioni elettorali, si stanno favorendo così le facili influenzabilità (lasciami passare il termine) dei piccoli numeri di elettori.
Per me c’è un’unica rotta di salvezza: partecipazione.
Di massa e non dei pochi resilienti o pilotati.
I referendum abrogativi sulla giustizia non erano poi una questione di casta (in una certa forma lo è diventata non spiegandoli bene alla gente… perché si voleva lasciare tutto com’è) perché le risposte in un senso o nell’altro ai quesiti avrebbero avuto ricadute sulla vita di tutti.
Sul fine vita e sulla Cannabis è stata una grande occasione persa-non voluta trasversalmente da tutte le forze politiche (per non inimicarsi frange di elettori e poteri di un certo tipo). Lo affermo con rammarico occupandomi peraltro giornalisticamente del settore canapa, anche se prevalentemente quella industriale, quindi la alimentare, bioedilizia, cosmetica, tessile ecc comprendendo anche la canapa medico-terapeutica
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Sono d’accordo sulla necessità di partecipare, che non condivido per i referendum abrogativi, nei quali l’astensione, secondo me, rappresenta l’espressione di un parere.
Che i referendum non fossero promossi a difesa della casta non lo penso. Certo, il sistema giustizia è molto perfettibile, ma i maggiori beneficiari dell’abrogazione delle norme in questione sarebbero stati politici e colletti bianchi, non certo la gente comune. Sentivo, nei giorni scorsi, che, grazie a norme ad hoc, che permettono una maggiore pressione sul sistema giudiziario, il numero di colletti bianchi condannati per reati commessi è drasticamente diminuito. Non penso ciò sia dovuto alla rettitudine della categoria.
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Il quesito che poteva essere a protezione del mondo politico era solo uno, sulla possibilità di continuare a occuparsi di cariche pubbliche (ho semplificato molto). Gli altri quesiti no, compreso quello della differenziazione netta delle due carriere da pubblico ministero e da giudicante, oppure l’altro, sulla possibilità di giuristi e avvocati di potersi esprimere sull’operato dei magistrati e sulla loro professionalità invece di lasciare ai soli stessi giudici la possibilità di giudicarsi senza mettere in mezzo altri appartenenti al settore. O ancora l’ultimo quesito sulla candidatura di un magistrato al Consiglio Superiore della Magistratura, cosa che un giudice avrebbe potuto fare senza andarsi ad accordare con “gruppi” di magistrati per avere il nulla osta di 25/50 suoi colleghi.
Tutto questo semmai avrebbe potuto smussare parecchio l’andazzo della casta…
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Grazie per la risposta.
Penso che ci si modo di perseguire gli obiettivi sacrosanti da te citati, senza mettere il morso ai magistrati e salvaguardando l’indipendenza del potere giudiziario. I giudici sono, a loro modo, una corporazione, ma, in Italia, ce ne sono tante altre come, ad esempio e senza scomodare i politici, gli avvocati. Il corporativismo è sempre vivo e costituisce un elemento di arretratezza del nostro paese.
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Certo, sono possibili tanti percorsi, non c’è dubbio. Da tempo tutti chiedono una ristrutturazione del sistema giudiziario, anzi, lo si chiede da troppi anni, tutti concordano, ma poi -guarda un po’- non ci si arriva mai. Eppure si è coscienti che per come vanno le cose, c’è urgenza di un intervento. Senza entrare nel merito di quelle che potevano essere le conseguenze delle vittorie dei Sì nei cinque quesiti, peraltro non avrebbero imbavagliato nessuno nel suo compito di magistrato, dopo il fallimento dei referendum, in Parlamento stanno nuovamente litigando. Tutto resterà quindi inamovibile, uguale, un pantano dal quale non si potrà emergere.
Proprio su questa immobilità e litigio politico-elettorale in molti giocano per far radicare l’idea che è inutile andare a votare per qualsiasi cosa.
Lèggevo oggi alcuni pensieri di amici palermitani che asserivano come per nuove elezioni comunali a essere eletti consiglieri sono sempre gli stessi nonostante lo scatafascio amministrativo pluridecennale. Altra prova di immobilismo che mortifica la sensazione della gente di poter incidere col voto.
Da qui l’altro crollo del voto anche alle amministrative, tendenza che si approfondirà ancora premiando chi proporzionalmente influirà più facilmente sull’esito di elezioni e referendum visti i ranghi sempre più ridotti di votanti.
L’unica cura è invertire la tendenza: tutti al voto a prescindere dall’esito, far comprendere a pochi che la gente non vuole più delegare e che, quindi, dovranno riprendere a faticare nel fare i politici.
Schede e matite copiative in mano. Tutti!
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Giusto. La partecipazione è importante. Sui referendum non cambio idea, ma sul resto auspico un massiccio ritorno alle urne. Meglio sarebbe tornare alle preferenze, abbandonando le liste bloccate, che favoriscono lo strapotere delle segreterie.
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Mica si deve cambiare idea. È uno scambio di opinioni.
Qui ci sarebbe bisogno di cambiamenti profondi e pensati sul sistema mettendo a confronto le esperienze del passato e quelle di altre nazioni europee.
Cambiamenti che vorrei pure sul sistema primitivo e per nulla sicuro di raccolta del voto, una vera orgia di sprechi tra materiale e risorse
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