Un tuffo tra VI e VII secolo è sempre utile come per qualsiasi sguardo al passato comprendendo al meglio il cammino intellettuale compiuto fino a oggi. Un esempio mi è venuto dall’opera De natura rerum – Sulla natura delle cose, trattato scritto da Sant’Isidoro di Siviglia (Isidorus Hispalensis), Santo che viene festeggiato il 4 aprile, Dottore della Chiesa, Vescovo, prolifico e dotto autore vissuto tra il 560 circa e il 636.
Nome evocativo quello del Santo, vissuto in un’epoca di cambiamenti radicali, tra il precedente mondo classico e la necessità di prendere una nuova forma: Isidoro dal greco sta per dono di Iside.
L’opera scritta da Isidoro è una sorta di manuale di fisica elementare, composta su richiesta del Re visigoto Sisebut al quale è dedicata. Tratta di astronomia, geografia, geologia e meteorologia basandosi sulla Bibbia e su testi di Arato, Igino, Giustino, Lucano, Sallustio. È uno dei libri più noti di Isidoro, pubblicazione estremamente popolare nel corso del Medioevo.


Evidente la commistione religiosa con quella dell’osservazione e calcolo diretti, unione di concetti nel tentativo di spiegare la natura, i moti celesti, il reciproco movimento di pianeti, sole e astri, la natura delle cose… anche se all’epoca queste erano definite Scienze profane. Tutto ciò serviva però a dare una rinnovata fisionomia anche alla teologia.
Il De natura rerum, diviso in tre parti (cronologia, cosmologia, fenomeni naturali), come supporto al testo aveva molte tavole grafiche dominate peraltro dall’immagine della ruota (in effetti, sei sono circolari e una cubica): il ciclo della materia per esempio con il continuo nascere e morire della stessa facendo sì che i quattro elementi platonici (fuoco, terra, acqua e aria) si mescolassero e si trasformassero l’uno nell’altro; in questo ciclo erano inserite le stagioni, i punti cardinali, le parti del mondo e le qualità umane; in tutto questo Isidoro inserì anche il suo Cubo degli elementi. Tale struttura visiva e narrativa diede all’opera anche il nome di Liber Rotarum.
Le Rotae di Isidoro saranno quelle che finiranno scolpite sui capitelli o su formelle murate all’esterno delle chiese, figureranno nei mosaici, in incisioni e volumi che illustrano testi alchemici, rappresentate sui pavimenti, nella tipica visione platonico-aristotelica della materia.
Dal De natura rerum ho riportato i capitoli relativi al sole.
Capitolo XV – De natura solis – Sulla natura del Sole
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1 Haec sunt verba Ambrosii in Libro Hexaemeron. Solem, inquit, philosophi negant calidae esse naturae, eo quod albus sit, non rubicundus, aut rutilus in speciem ignis, et ideo quod nec ignitus natura sit. Si quid habet caloris, ferunt prae nimio motu conversionis accidere. Quod ideo dicendum putant, ut nihil videatur humoris consumere, quia calorem, quo humor, vel minuitur, vel plerumque exhauritur, non habet naturalem. Sed nihil agunt, cum ista proponunt, quia nihil interest utrum ex natura calorem quis habeat, an ex passione, vel ex alia causa.
1 Queste sono le parole di Ambrogio nel Libro di Hexaemeron. I filosofi, dice, negano che il sole sia caldo per natura, perché è bianco, non rosso, o rosso, come il fuoco, e perché non è ardente per natura. Se ha qualcosa a che fare con il calore, dicono che accade a causa dell’eccessivo movimento della conversione/trasformazione. Questo, pensano, va detto, in modo che non sembri consumare l’umidità, perché il calore per cui l’umidità è diminuita o generalmente esaurita, non ha calore naturale. Ma non fanno nulla quando propongono queste cose, perché non fa differenza se una persona ha calore per natura, o per passione, o per altra causa.
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2 Nos autem credimus eum sicut habere virtutem illuminandi, ita etiam vaporandi. Igneus est enim sol; ignis autem et illuminat, et exurit. Quidam autem dicunt solis ignem aqua nutriri, et ex contrario elemento virtutem luminis, et vaporis accipere; unde frequenter solem videamus madidum, atque rorantem; in quo evidens dat indicium, quod elementum aquarum ad temperiem sui sumpserit.
2 Ma crediamo che abbia il potere di illuminare, quindi anche di vaporizzare. Perché il sole è ardente; ma il fuoco illumina e brucia. Ma alcuni dicono che il fuoco del sole è nutrito dall’acqua, e dall’elemento opposto riceve il potere della luce e del vapore; da dove spesso vediamo il sole bagnato e rugiadoso; in cui dà una chiara indicazione di aver portato l’elemento acqua alla sua temperatura.
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3 Hoc quantum ad naturam ejus pertinet. At vero juxta spiritualem intelligentiam, sol Christus est, sicut in Malachia scriptum est: Vobis autem credentibus justitiae sol orietur, et sanitas in pinnis ejus. Merito autem Christus sol intelligitur dictus, quia ortus occidit secundum carnem, et secundum spiritum de occasu rursus exortus. Item sol illuminat, et exurit, et opaco tempore confovet sanos, febricitantes vero flagrantia geminati caloris incendit; ita et Christus credentes fidei spiritu vegetante illuminat, negantes se aeterni ignis ardore torrebit.
3 Questo per quanto riguarda la sua natura. Ma secondo l’intelligenza spirituale, il sole è Cristo, come è scritto in Malachia: “Ma per voi che credete nella giustizia, il sole sorgerà e la guarigione sarà nelle sue ali”. Cristo è giustamente inteso come il sole, perché il sorgere uccide secondo la carne, e risorge dal tramonto secondo lo spirito. Allo stesso modo, il sole illumina e brucia e riscalda i sani nella stagione oscura, ma brucia i febbrili con l’ardore del doppio calore; così anche Cristo illumina i credenti con lo spirito vegetativo della fede, e brucia coloro che rinnegano se stessi con l’ardore del fuoco eterno.
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Capitolo XVI – De quantitate solis et lunae – Sulla grandezza del sole e della luna
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1 Rursus in eodem opere Doctor idem ita testatur: Solis radius nulli propior, nulli longinquior est. Similiter et lunae globus aequalis est omnibus. Similis sol est et Indis et Britannis; eodem momento ab utrisque videtur, cum oritur, nec cum vergit in Occasum minor apparet Orientalibus; nec Occidentalibus, cum oritur, inferior quam Orientalibus aestimatur. Quantum distat, inquit, Oriens ab Occasu, tantum hoc sibi invicem distat. Sed sol a nullo distat, nulli praesentior, nullique remotior est.
1 Di nuovo, nella stessa opera, il Dottore attesta la stessa cosa: Il raggio del sole non è più vicino a nessuno, né più lontano da nessuno. Allo stesso modo, la sfera della luna è uguale a tutti. Il sole è simile sia agli indiani che ai britannici; Nello stesso momento si vede da entrambi i lati, quando si alza, né quando si volge a occidente, agli orientali appare più piccola; né è stimato più basso dagli occidentali, quando sale, che dagli occidentali. Quanto è lontano, dice, l’Oriente dall’Occidente, tanto sono questi l’uno dall’altro. Ma il sole non è lontano da nessuno, più vicino a nessuno e non più distante.
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2 Neque moveat quemquam, quod tanquam cubitalis in orbe suo videtur, cum oritur; sed considerare oportet quantum intersit spatii inter solem et terram, quod aspectus nostri infirmitas et quaedam aegritudo vix valet intendere. Hunc autem ampliorem aliquot partibus, quam terram esse sapientes describunt.
2 Nessuno muova ciò che appare come un cubito nella sua orbita quando sale; ma è necessario considerare quanto spazio c’è tra il sole e la terra, perché difficilmente vale la pena di soffermarsi sulla debolezza della nostra vista e su una certa infermità. Ora questo è descritto dai saggi come essere più grande in alcune parti della terra.
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3 Lunam minorem esse dicunt quam solem; omnia enim quae proxima sunt nobis majora videntur, longinquitate autem locorum visus languescit. Lunam ergo videmus prope nos esse, nec eam majorem aspectui nostro quam solem. Ideoque, cum sol longe superior sit a luna, tamen nobis major videtur: jam, si prope nos accesserit, multo majorem futurum.
3 Dicono che la luna è più piccola del sole; poiché tutto ciò che è vicino ci sembra più grande, ma la distanza dei luoghi rende la visione debole. Perciò vediamo che la luna è vicina a noi, e che non è più grande alla nostra vista del sole. E quindi, siccome il sole è di gran lunga superiore alla luna, tuttavia ci sembra più grande: già, se si avvicina a noi, diventerà molto più grande.
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Capitolo XVII – De cursus solis – Sul percorso del sole
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1 Dicunt antiqui, Aratus et Hyginus, solem per seipsum moveri, non cum mundo verti uno loco manentem. Nam si fixus maneret, necesse erat eodem loco occidere et exoriri a quo pridie fuerat exortus, quemadmodum caetera siderum signa oriuntur et occidunt. Praeterea, si ita esset, consequens erat dies et noctes omnes esse aequales, et quam spatiosus hodiernus dies esset, tam longus semper esset futurus.
1 Gli antichi, Arato e Igino, dicono che il sole si muove da sé, e non sta in un luogo quando il mondo gira. Perché se rimanesse fisso, dovrebbe tramontare e sorgere nello stesso luogo da cui era sorto il giorno prima, così come sorgono e tramontano gli altri segni delle stelle. Inoltre, se così fosse, ne conseguirebbe che i giorni e le notti sarebbero tutti uguali, e che quanto più lungo fosse il giorno presente, tanto più lungo sarebbe sempre.
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2 Nox quoque simili ratione semper aequalis permaneret, sed quoniam inaequales dies aspicimus, et solem alio loco cras occasurum, alio occidisse hesternum videamus, ideo qui diversis locis occidit, et exoritur, putant eum philosophi nequaquam cum mundo fixum volvi, sed ipsum per se moveri. Qui postquam ardentem rotam Oceano tinxerit, per incognitas nobis vias ad locum unde exierat regreditur, expletoque noctis circulo, rursus de loco suo festinus erumpit; obliqua enim et fracta linea per Austrum pergit ad Boream, et ita ad Orientem revertitur. Hiemis autem tempore per plagam meridianam currit. Aestate vero Septentrioni vicinus est. Sed quando per Austrum currit, vicinior terrae est; quando vero juxta Septentrionem, sublimis attollitur.
2 Anche la notte, allo stesso modo, dovrebbe rimanere sempre uguale, ma poiché vediamo giorni diseguali, e domani il sole tramonterà in un altro luogo, e l’abbiamo visto ieri tramontare in un altro luogo, quindi i filosofi pensano che colui che tramonta e sorge in luoghi diversi non sia affatto fissato con il mondo, ma che sia mosso da se stesso. Colui che, dopo aver tinto d’oceano la ruota ardente, ritorna al luogo donde uscì per vie a noi sconosciute, per una linea obliqua e spezzata continua attraverso il sud a Borea, e quindi ritorna in Oriente. Ma in inverno attraversa l’emisfero australe. Ma in estate è vicino a nord. Ma quando attraversa il sud, è più vicino alla terra; ma quando è vicino al settentrione, si innalza in alto.
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3 Cui ideo Deus diversa cursus constituit loca, et tempora, ne dum semper in iisdem moraretur locis, quotidiano ea vapore consumeret. Sed ut Clemens ait, diversos accipit cursus, quibus aeris temperies pro ratione temporum dispensetur, et ordo vicissitudinum permutationumque servetur. Nam dum ad superiora conscenderit, ver temperat: ubi autem ad summum coelum venerit, aestivos accendit calores. Descendens rursus, autumni temperiem reddit; ubi vero ad inferiorem redierit circulum, ex glaciali compage coeli rigorem nobis hiberni frigoris derelinquit.
3 Per questo Dio stabilì luoghi e tempi diversi per le sue portate, affinché non rimanesse sempre negli stessi luoghi, li consumasse quotidianamente con il vapore. Ma, come dice Clemens, prende diversi corsi, per i quali la temperatura dell’aria è dispensata secondo la stagione, così l’ordine delle vicissitudini e delle permutazioni è conservato. Fintanto che sale ai luoghi più alti, la primavera lo modera; ma quando raggiunge il più alto dei cieli, infiamma la calura estiva. Scendendo di nuovo, dà la temperatura dell’autunno; ma quando torna nel cerchio inferiore, ci lascia i rigori del freddo invernale dalla gelida cornice del cielo.
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4 Ex ipso enim sunt horae; ex ipso dies cum ascenderit, ex ipso etiam nox cum occiderit; ex ipso menses et anni numerantur; ex ipso vicissitudines temporum fiunt, et cum sit iste minister bonus, genitus ad vicissitudines temporum moderandas, tamen ubi secundum voluntatem Dei correptio mortalibus datur, incandescit acrius, et urit mundum vehementioribus flammis, et perturbatur aer, et plaga hominum, et corruptio terris injicitur, et lues animantibus, et pestilens per omnia mortalibus annus inducitur.
4 Poiché da lui provengono le ore; da lui quando sorge il giorno, da lui anche quando la notte muore; da lui si contano mesi e anni; da lui avvengono le vicissitudini dei tempi, e siccome questo è un buon ministro, nato per regolare le vicissitudini dei tempi, tuttavia quando, secondo la volontà di Dio, la correzione (governo) è data ai mortali, arde più ferocemente e brucia il mondo con fiamme più violente, e l’aria è turbata, e una piaga è gettata sugli uomini e la corruzione è iniettata nella terra, e viene introdotto un anno che è pestilenziale per tutti i mortali.
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5 Quod autem Sol oriens per Austrum, id est, meridianum, iter habet, et decursa australi parte invisibilis vadit in locum suum rediens, ad instar quippe Ecclesiae fabricatus est hic mundus, in quo Dominus Jesus Christus, sol aeternus, partem suam percurrit, unde et Meridianum vocant. Aquiloni vero, id est, adversae parti non oritur, sicut iidem, cum in judicio venerit, dicent: Justitiae lumen non illuxit nobis, et Sol non est ortus nobis. Timentibus autem Dominum oritur Sol justitiae, et sanitas in pinnis ejus, sicut scriptum est. Malis vero meridie nox est, sicut legitur: Dum sustinent ipsi lumen, factae sunt illis tenebrae; dum sustinent fulgorem, in obscura nocte ambulaverunt.
5 Ma il sole che sorge attraverso il sud, cioè al meridiano, ha un percorso, e dopo aver attraversato la parte meridionale diventa invisibile e ritorna al suo posto, poiché questo mondo è stato costruito a somiglianza della Chiesa, in cui il Signore Gesù Cristo, il sole eterno, percorre la sua parte, così lo chiamano il Meridiano. Quanto al settentrione, cioè, il lato opposto che non sorge, così come lo stesso, quando verrà in giudizio, diranno: La luce della giustizia non ha brillato su di noi e il sole non è sorto su di noi. Ma per quelli che temono il Signore sorge il sole della giustizia e nelle sue pinne c’è la guarigione, come sta scritto. Ma il male è la notte a mezzogiorno, come si legge: Mentre loro stessi trattengono la luce, per loro sono calate le tenebre; mentre portano il fulgore, camminavano nella notte oscura.


Il periodo storico era molto particolare nella Penisola Iberica, terra di Sant'Isidoro. La regione si trovava in una fase di passaggio dalla grandezza della cultura classica greco-romana a un mondo nuovo tutto da costruire. Un'opera da innestare sulla base di presupposti molto differenti, di nuove idee e concezioni che potessero recuperare elementi dell’immenso patrimonio culturale e di acquisizioni scientifiche accumulate nel passato. Visione del futuro sì, ma anche forte incertezza per quello che avrebbe riservato il futuro. Il compito di sintesi culturale tra vecchio e nuovo era perfetto per la lucidità e la profonda cultura di Isidoro, cardine tra due mondi in quanto appartenente al mondo ispano-romano grazie alla famiglia del padre, ma appartenente e partecipativo alla società gotica dell'epoca. Politicamente il crollo delle istituzioni romane era fatto ormai più che consolidato e si era assestato il governo dei Visigoti nel cosiddetto Regno di Toledo. Procedeva la cristianizzazione della popolazione grazie alla conversione al cattolicesimo e alla volontà di farne religione di Stato espressa nel 587 dal Re visigoto Recaredo, ufficializzata poi al III Concilio di Toledo del 589. Il Monarca era figlio di Re Leovigildo e della sua prima consorte, Teodosia, di tradizione cristiana, figlia di Seberiano, governatore bizantino della provincia Cartaginense. Dall'influenza della madre arrivò al Sovrano non solo la conversione religiosa, ma anche la più decisa scelta di assorbire elementi culturali e organizzativi del retaggio romano. Recaredo diede sicurezza al Regno, ne ampliò pure i confini sconfiggendo i Franchi guidati dal Conte Desiderio: l'esercito invasore era stato inviato da Gontrano, Re dei Franchi di Orléans e di Burgundia, che intendeva sostenere il vescovo ariano di Narbona, vertice del partito ariano iberico contrario alla conversione cattolica del sovrano visigoto. ... Nulla ancora lasciava presagire il successivo dilagare delle forze musulmane guidate dal condottiero berbero Tāriq ibn Ziyād al-Laythī - طارق بن زياد per conto del Califfo omayyade di Damasco, quindi la conquista di Toledo nel 711 e il cambio di nome imposto dai nuovi dominatori alla città: طليطلة - Tulaytila.
A proposito…grande pezzo questo.
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Grazie! Ogni tanto mi piace riportare lo sguardo al passato per capire meglio quanto accade oggi e l’evoluzione fatta. E non mi baso solo sull’Antico Egitto 🙂
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