Buona Pasqua! Uova simbolo di rinascita, il Pesach-Pasqua ebraica con la canzone dell’agnello e la Pasqua cristiana

Si fa in fretta a dire Pasqua. Nei millenni ha simboleggiato diversi momenti e differenti ricordi-solennità. Prima di addentrarmi nelle tante sfaccettature, auguro a tutti una Buona Pasqua da passare con chi più si ama. Poi dedicatevi alla Pasquetta, al Lunedì dell’Angelo o Lunedì in Albis quando si commemora l’apparizione dell’angelo a Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Giuseppe, e Salomè che stavano andando al sepolcro di Gesù trovandolo vuoto: Cristo era risorto. Lo passerete con gioia come richiede il momento, a prescindere se si sia credenti o meno. Trascorretelo in piccole gite, scampagnate, degustazioni, pranzi in città con amici (cosa che io stesso farò con enorme piacere).

Grande protagonista simbolico è anche l’Uovo di Pasqua che nel passato precristiano e non solo ha sempre avuto un significato legato alla vita e alla rinascita dopo la morte, era la forma presa dall’unione di Cielo e Terra. Per non parlare dell’Antico Egitto dove l’uovo era la fusione di tutti gli elementi alla base della vita, in più nei geroglifici era il determinativo da porre accanto al nome per indicare che fosse una donna rafforzando la comunione del simbolo col concetto della capacità generatrice di vita.
Il Cristianesimo ha rimodellato questo concetto secondo il Nuovo Testamento, quindi legato alla resurrezione di Cristo. Uova di Pasqua erano regalate fin dal Medioevo, a partire dall’area germanica con uova bollite e avvolte in fiori e foglie che coloravano il guscio.
Secondo la storica tradizione Cristiana Ortodossa, soprattutto nell’area balcanica e russa, l’Uovo di Pasqua, sodo, viene colorato di rosso e arricchito di decorazioni.

L’uovo più celebre e a noi vicino anche come confezionamento è raccontato dalle cronache storiche: rimanda al Re di Francia Luigi XIV che ne fece preparare uno in cioccolato dal Maestro Pasticcere di Corte.
Nello stesso Settecento la tradizione delle uova di cioccolato per la Pasqua è presente anche a Torino dove venivano confezionate ponendo all’interno un dono.

Uova Fabergé in esposizione al Cremlino, foto di Shakko, licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported

Cosa dire poi delle Uova Fabergé, splendide creazioni di alta gioielleria di Peter Carl Fabergé. Il primo fu commissionato nel 1885 da Alessandro III Romanov Zar di tutte le Russie che per Pasqua voleva regalarlo alla moglie, l’Imperatrice consorte Marija Fëdorovna nata principessa Dagmar di Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg. Questa creazione aveva lo stesso colore di un uovo vero, ma era molto complesso al suo interno: dentro custodiva un tuorlo d’oro; in quest’ultimo c’era una gallinella ricoperta d’oro e smalti con gli occhi di rubino; dentro quest’ultima una copia in miniatura della corona imperiale che racchiudeva un piccolo rubino a forma d’uovo.

Da quel momento le Uova Fabergé furono oggetti molto ricercati e commissionati da Case Reali, dalla nobiltà mondiale, da possessori di enormi patrimoni e, in tempi successivi fino a oggi, da facoltosi collezionisti e musei.

Pasqua ebraica

Pasqua quindi, per il popolo ebraico è la solennità con cui si celebra la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Pasqua, nome messo in rapporto con il verbo פָּסַח – Pāsaḥ – Pesach – passare oltre ricordando quando il Dio d’Israele (Esodo, 12-link) risparmiò gli ebrei nel corso della notte in cui pose fine alla vita dei primogeniti egiziani.

Cosa scatenò l’ira divina? Il Faraone non si piegava alla volontà e alle richieste espresse da Mosè di lasciare libero il popolo ebraico. Nonostante le nove piaghe che si erano già abbattute sul paese e sugli egiziani il Sovrano era duro d’orecchie. Ecco quindi la decima piaga.

Nel pomeriggio del 14, mese di abīb (poi nisān), seguendo i comandamenti di Dio trasmessi da Mosè, ogni famiglia ebrea doveva sacrificare un agnello. Con il sangue dell’animale si dovevano segnare gli stipiti e l’architrave di ogni porta di casa. Le carni dell’agnello dovevano essere arrostite e mangiate subito in riunioni tra partenti aggiungendo pane azimo ed erbe amare.

Quella notte Dio scese sulla terra, passò davanti alle case degli egiziani uccidendo tutti i primogeniti. Risparmiò invece i primogeniti israeliti: le case erano riconoscibili dal sangue sparso sugli stipiti, quindi il Signore passò oltre.

Nei tempi successivi la Pasqua divenne una festività che ricordava l’evento, durava sette giorni con grandi celebrazioni il primo e l’ultimo giorno. Naturalmente era anche il momento per il pellegrinaggio a Gerusalemme. Nell’anno 70 d.C. con la distruzione del Tempio divenne impossibile sia il sacrificio che il pellegrinaggio a Gerusalemme, ma la festa con tutto il suo valore rimase per sempre arricchendosi nei secoli di altri momenti giungendo anche ad ampliare e a differenziare la cena celebrativa Seder-סדר פסח.

Durante questa cena nel vassoio ke’arà trovano posto delle pietanze simboliche/celebrative:

  • stinco di agnello o collo di pollo arrosto (zeroà) rievocando il sacrificio dell’agnello;
  • uovo sodo (beitzà), simbolo del lutto per la distruzione del Tempio;
  • erbe amare, oppure l’erba perenne cren o rafano barbaforte (maròr e chazeret) per rammentare le sofferenze che il popolo ebraico dovette sopportare in Egitto;
  • impasto di mele, pere, noci e vino (charoset), per richiamare l’impasto che gli Israeliti adoperavano per fare i mattoni quando erano schiavizzati in Egitto;
  • un gambo di sedano o prezzemolo (karpas) per ricordare la corrispondenza della festività di Pesach con la primavera e la mietitura.

Tra gli ebrei italiani è in uso mettere anche un sesto componente nella ke’arà: della lattuga romana in insalata.

Per finire questo capitolo sulla Pasqua ebraica inserisco il Chad Gadya – גדי אחד, Il capretto, poesia-canto rituale o Piyutim tipica della Pasqua ebraica e del Seder.
Secondo tradizione il capretto dovrebbe rappresentare Abramo, il capostipite del popolo ebraico che Dio, il padre, ha acquisito grazie al cielo e alla terra, quindi grazie all’intero Creato.
A seguire il gatto: sta per il Re Nimrod di Babilonia che odiava Dio e il suo messaggero Abramo. Il cane rappresenta il Regno dei Faraoni capace di attaccare e sconfiggere Babilonia, ma senza mangiarsela (senza riuscire a distruggerla). Il bastone è quello che Dio diede a Mosè per colpire gli Egizi, ma simboleggia anche il successivo Regno di Giuda sotto il quale fu costruito il Tempio. Il fuoco sta per il regno Babilonese di Nabucodonosor che sconquassò il Regno del popolo ebraico che fu deportato in schiavitù. L’acqua simboleggia l’Impero persiano che cancellò quello babilonese. Il bue, il Toro della Grecia macedone che si bevve l’acqua-Impero persiano. Il macellaio, lo shohet, è la sanguinaria Roma, tinta e simboleggiata di rosso, discendente spirituale di Esaù, primo figlio di Isacco. La stessa Roma così materialistica e distruttiva diverrà l’angelo della morte di se stessa autodistruggendosi. Risorgerà così la dinastia del re David e dopo tre guerre giungerà il Messia col penultimo Regno. Alla fine il Santo, l’Eterno, riporterà l’ordine e la pace eliminando dal mondo la voglia di uccidere e di fare del male. In tal modo Dio si riapproprierà del suo Regno.

Pongo solo un quesito: riuscite a capire-ricordare quale cantautore italiano si è ispirato a questi versi?

Qui in basso, nella colonna a sinistra la trascrizione in Italiano del canto, al centro la traslitterazione dall’ebraico-aramaico e a destra la visualizzazione nei caratteri ebraico-aramaici

Versetto 1:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Che mio padre comprò per due zuzim (antica moneta d’argento ebraica)dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 2:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne il gatto e mangiò il capretto,wəʔāṯā šūnrā wəʔāḵlā ləgaḏyāוְאָתָא שׁוּנְרָא, וְאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 3:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne il cane e morsicò il gatto, che aveva mangiato il capretto,wəʔāṯā ḵalbā wənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgaḏyāוְאָתָא כַלְבָּא ,וְנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 4:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne il bastone e picchiò il cane,wəʔāṯā ħūṭrā, wəhikkā ləḵalbāוְאָתָא חוּטְרָא, וְהִכָּה לְכַלְבָּא
che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 5:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne il fuoco e bruciò il bastone,wəʔāṯā nūrā, wəśārap̄ ləħūṭrāוְאָתָא נוּרָא, וְשָׂרַף לְחוּטְרָא
che aveva picchiato il cane, che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dəhikkā ləḵalbā, dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדְּהִכָּה לְכַלְבָּא ,דְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 6:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne l’acqua e spense il fuoco,wəʔāṯā mayyā, wəḵāḇā lənūrāוְאָתָא מַיָּא, וְכָבָה לְנוּרָא
che aveva bruciato il bastone, che aveva picchiato il cane,dəšārap̄ ləħūṭrā, dəħikkā ləḵalbāדְּשָׂרַף לְחוּטְרָא ,דְּהִכָּה לְכַלְבָּא
che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 7:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne il bue e bevve l’acqua,wəʔāṯā tōrā, wəšāṯā ləmayyāוְאָתָא תוֹרָא, וְשָׁתָה לְמַיָּא
che aveva spento il fuoco, che aveva bruciato il bastone,dəḵāḇā lənūrā, dəšārap̄ ləħūṭrāדְּכָבָה לְנוּרָא ,דְּשָׂרַף לְחוּטְרָא
che aveva picchiato il cane, che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dəhikkā ləḵalbā, dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדהִכָּה לְכַלְבָּא, דְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 8:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne il macellaio (Shochet) e ammazzò il bue,wəʔāṯā hašōħēṭ, wəšāħaṯ ləṯōrāוְאָתָא הַשּׁוֹחֵט, וְשָׁחַט לְתוֹרָא
che aveva bevuto l’acqua, che aveva spento il fuoco,dəšāṯā ləmayyā, dəḵāḇā lənūrāדְּשָׁתָה לְמַיָּא ,דְּכָבָה לְנוּרָא
che aveva bruciato il bastone, che aveva picchiato il cane,dəšārap̄ ləħūṭrā, dəhikkā ləḵalbāדְּשָׂרַף לְחוּטְרָא, דְּהִכָּה לְכַלְבָּא
che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 9:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Venne l’angelo della morte e uccise il macellaio,wəʔāṯā malʔaḵ hammāweṯ, wəšāħaṭ ləšōħēṭוְאָתָא מַלְאַךְ הַמָּוֶת, וְשָׁחַט לְשׁוֹחֵט
che aveva ammazzato il bue, che aveva bevuto l’acqua,dəšāħaṭ ləṯōrā, dəšāṯā ləmayyāדְּשָׁחַט לְתוֹרָא, דְּשָׁתָה לְמַיָּא
che aveva spento il fuoco, che aveva bruciato il bastone,dəḵāḇā lənūrā, dəšārap̄ ləħūṭrāדְּכָבָה לְנוּרָא, דְּשָׂרַף לְחוּטְרָא
che aveva picchiato il cane, che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dəhikkā ləḵalbā, dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדְּהִכָּה לְכַלְבָּא, דְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי
Versetto 10:
Un capretto, un capretto:ħaḏ gaḏyā, ħaḏ gaḏyā,חַד גַּדְיָא, חַד גַּדְיָא
Poi venne Il Santo, Che Egli Sia Benedetto,wəʔāṯā haqqadōš bārūḵ hūוְאָתָא הַקָּדוֹשׁ בָּרוּךְ הוּא
e distrusse l’angelo della morte, che aveva ucciso il macellaio,wəšāħaṭ ləmalʔaḵ hammāweṯ, dəšāħaṭ ləšōħēṭוְשָׁחַט לְמַלְאַךְ הַמָּוֶת ,דְּשָׁחַט לְשׁוֹחֵט
che aveva ammazzato il bue, che aveva bevuto l’acqua,dəšāħaṭ ləṯōrā, dəšāṯā ləmayyāדְּשָׁחַט לְתוֹרָא, דְּשָׁתָה לְמַיָּא
che aveva spento il fuoco, che aveva bruciato il bastone,dəḵāḇā lənūrā, dəšārap̄ ləħūṭrāדְּכָבָה לְנוּרָא, דְּשָׂרַף לְחוּטְרָא
che aveva picchiato il cane, che aveva morsicato il gatto, che aveva mangiato il capretto,dəhikkā ləḵalbā, dənāšaḵ ləšūnrā, dəʔāḵlā ləgāḏyāדְּהִכָּה לְכַלְבָּא ,דְּנָשַׁךְ לְשׁוּנְרָא, דְּאָכְלָה לְגַדְיָא
Che mio padre aveva comprato per due zuzim.dəzabbīn abbā biṯrē zūzē.דְּזַבִּין אַבָּא בִּתְרֵי זוּזֵי

Pasqua cristiana

Questa celebrazione è il punto cardine della Fede cristiana, celebrata prima domenica dopo il plenilunio di primavera. Commemora la resurrezione di Cristo avvenuta il terzo giorno della sua sepoltura seguita alla sua Crocifissione sul Monte Calvario (Golgota in aramaico) intorno al 30 d.C.

È la massima solennità dell’anno liturgico.

La Settimana Santa – hebdomada maior, precede la Pasqua: secondo la liturgia occidentale inizia dalla Domenica delle Palme (Dominica in palmis, κυριακὴ τῶν βαίων) che celebra l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, contiene i giorni del Triduo pasquale, il giovedì santo che ricorda la lavanda dei piedi e l’Ultima Cena, il Venerdì Santo che commemora la crocifissione e morte redentrice di Gesù e il Sabato Santo che chiude il periodo quaresimale.


Volendo raccontare in questo paragrafo tre momenti solenni della Settimana Santa, mi rifaccio a quanto narrato nell’Enciclopedia Treccani che si rifà a pubblicazioni del 1903, 1906 e 1920. Queste parole evidenziano la storica tradizione e ne svelano la complessità liturgica frutto della codifica sviluppatasi in circa un millennio e mezzo (1):

(1) L. Duchesne, Les origines du culte chrétien, Parigi 1903; I. Schuster, Liber Sacramentorum, III, Torino 1920; K. A. H. Kellner, L'anno ecclesiastico, trad. ital., Roma 1906.

Nella Settimana Santa una delle originali giornate liturgiche era il Giovedì Santo che celebrava e celebra anche l’istituzione dell’Eucaristia, si benedicevano gli oli santi e la riconciliazione dei penitenti. Il centro principale della commemorazione è sempre la Basilica di San Giovanni in Laterano. “Si consacrano due ostie, una delle quali, che deve servire per il giorno seguente in cui non si consacra, finita la messa, viene solennemente portata in processione e deposta entro un ciborio appositamente preparato sopra un altare, che è riccamente ornato di lumi, piante e fiori, ed è visitato nelle varie chiese da grande affluenza di popolo devoto. Deposto il Santissimo Sacramento nell’apposito altare, segue la lavanda dei piedi (mandatum) a dodici chierici o a dodici poveri, a somiglianza di quanto fece Gesù secondo il racconto del Vangelo di Giovanni, la cui lettura precede la cerimonia. Un tempo il Papa compiva questa cerimonia, di ritorno dal Laterano, della chiesa papale di San Lorenzo (Sancta Sanctorum), lavando i piedi a 12 suddiaconi, mentre nella basilica si recitavano i vespri”.

Il Venerdì Santo è altro momento di somma liturgia presente fin dagli inizi. Tradizionalmente ha il suo nodo cruciale a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Tre i momenti che scandiscono il rito di questo giorno seguendo sempre il racconto della Treccani:
1-una sinassi o riunione con la lettura delle profezie dall’Antico Testamento, poi la Passione secondo Giovanni e, a conclusione, si recita la grande litania con il celebrante che invita a pregare per la Chiesa, per il Papa, per i vescovi e il clero, per l’imperatore, per i catecumeni, per la purgazione del mondo da mali e da errori, per gli eretici e scismatici, per gli Ebrei, e infine per i pagani. Questa litania, che non ha nulla che specificamente si riferisca al venerdì santo, può considerarsi come il tipo della preghiera offertoriale che doveva aver luogo in ogni liturgia dopo la lettura del Vangelo. Questa prima parte nella più antica liturgia romana doveva essere unica;
2-l’adorazione della croce. Questa cerimonia ha la sua origine in Gerusalemme e fu introdotta in Roma da Papa Sergio I. Aveva luogo nel pomeriggio ed era presieduta dal pontefice che usciva dal Laterano a piedi scalzi, dietro la Santa Croce che egli incensava lungo tutto il percorso, dirigendosi alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Oggi quest’adorazione segue in ogni chiesa il canto del passio ed è fatta dal clero che a piedi scalzi muove verso un crocifisso posto nel mezzo del presbiterio;
3-la messa dei “presantificati” ossia la consumazione dell’Ostia “preconsecrata”, cioè consacrata nel giorno precedente. Terminata l’adorazione, si procede verso l’altare del “Sepolcro” donde viene tratta la sacra Ostia che e solennemente portata verso l’altare al canto del Vexilla Regis prodeunt di Venanzio Fortunato, mostrata al popolo e consumata dal sacerdote sull’altare; questo poi viene subito spogliato della sua tovaglia.

Per quanto riguarda il Sabato Santo questa era giornata originariamente dedicata al più stretto digiuno.
Le cerimonie del Sabato Santo seguono quest’ordine:
1-accensione e benedizione del nuovo fuoco, fatta da un sacerdote fuori della porta della chiesa;
2-benedizione dei cinque grani d’incenso e accensione del nuovo fuoco di tre candele (Lumen Christi) poste a triangolo su di una canna; canto dell’Exultet (praeconium paschale) e accensione del cero pasquale, nel quale vengono confitti a forma di croce i cinque grani d’incenso, e accensione di tutte le altre lampade della chiesa;
3-canto delle profezie, ossia di passi dell’Antico Testamento che riassumono per sommi capi la storia del popolo ebraico dalla creazione del mondo fino al trionfo dei tre fanciulli nella fornace di Babilonia;
4-benedizione del fonte battesimale ed eventualmente battesimo di catecumeni; indi processione solenne di ritorno in chiesa, celebrazione della messa con canto del Gloria in excelsis, suono (detto “scioglimento”) delle campane, e benedizione delle case con la nuova acqua benedetta. Il senso della rigenerazione completa di tutta la vita morale e materiale del cristiano in unione con Cristo risorto è trasparentissima in tutta questa mirabile liturgia della Pasqua.


La definizione della festa per la Pasqua Cristiana

Fu tra il II e il III secolo che la festa cristiana iniziò la sua autonoma affermazione cambiando il significato di base rispetto alla Pasqua ebraica. Non fu un passaggio facile visto che su questo si acuì la differenza tra il mondo cristiano occidentale e quello orientale. Proprio questi ultimi insistettero nel voler mantenere la data del 14 nel mese di nisān. I cristiani occidentali invece erano per la celebrazione nella domenica indicata, quindi una data variabile.

Tra maggio e giugno dell’anno 325 al Concilio di Nicea (il primo dei concili ecumenici) fu presa la decisione di festeggiare la Pasqua nella domenica che segue il plenilunio avvenuto dopo l’equinozio di primavera seguendo l’uso romano-alessandrino.
Nello stesso Concilio fu condannata l’eresia di Àrio, prete della chiesa di Baucalis, Eresiarca alessandrino, già discepolo di Luciano d’Antiochia: la sua teoria sulla Trinità rivoluzionava le dottrine della Chiesa, affermava la non consustanzialità di Dio Padre e Figlio/Logos (non identità di sostanza del Padre e del Figlio)… ma questa è un’altra storia.

L’altro conflitto sulla data da osservare per la Pasqua, quello tra cristiani celti e romani, fu risolto durante il Sinodo di Whitby nell’anno 664 favorendo la scelta di Roma, quando Oswy, sovrano della Northumbria (tra l’attuale Inghilterra settentrionale e la Scozia sudorientale), accettò il cristianesimo romano anziché quello celtico.

Da qui poi le diverse e specifiche denominazioni della Pasqua cristiana per distinguerla da altre feste che portarono e portano lo stesso nome: Pasqua di resurrezionePasqua maggiore, Pasqua d’agnello (seguendo la tradizione dell’agnello pasquale), Pasqua d’uovo o d’ova (per l’antica tradizione della benedizione delle uova).

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7 commenti Aggiungi il tuo

  1. Fiorisce nel buio ha detto:

    Grazie Giuseppe, articolo molto interessante, letto con piacere e curiosità. Buona Pasqua!

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    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Auguri per una felice Pasqua!

      Piace a 1 persona

  2. Antonio Gaggera ha detto:

    Buona Pasqua, Giuseppe, a te e famiglia.

    Piace a 1 persona

    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Buona Pasqua Antonio!

      Piace a 1 persona

  3. andreavania57 ha detto:

    beh, cantautore facile… Angelo Branduardi, nella sua “Alla fiera dell’Est”, bellissima canzone, che copia quasi alla lettera il canto ebraico da te citato.
    siamo quasi a fine tempo, ma… chad pesach sameach, caro Giuseppe!

    Piace a 1 persona

    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Buona Pasqua a te Andrea!
      Sì, praticamente i due brani sono identici, tranne pochi versi all’inizio è il topolino di Branduardi messo al posto dell’agnello.
      Riconosco che non avevo mai approfondito e non avevo idea di questa connessione con il canto tradizionale ebraico pieno di simbolismi e significati

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