Sequestrati dai Carabinieri TPC due splenditi reperti archeologici che erano finiti nel traffico illecito di beni culturali italiani

Chissà da quanto tempo erano stati portati via da antiche sepolture risalenti alla Magna Grecia e poi rivenduti più volte, anche all’estero. Sono un askos apulo a figure rosse datato tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. e un’anfora apula a figure rosse con anse a nastro, databile verso la metà del IV secolo a.C. Questi i splendidi reperti archeologici sono stati recuperati dai Carabinieri TPC-Tutela Patrimonio Culturale di Venezia sotto il comando del Maggiore Emanuele Meleleo.

L’operazione “Magna Grecia” che non è del tutto conclusa e che ha permesso il recupero di questi due oggetti, è iniziata dopo la prima segnalazione che risale ad agosto 2021.
In quel momento uno studioso veneziano riferì che questi i beni venivano posti in vendita all’incanto da una casa d’aste romana.

Successivamente le due antiche opere d’arte sono state sequestrate dopo alcune perquisizioni in abitazioni private nelle province di Crotone e di Firenze.

Il 20 aprile 2023 i Carabinieri hanno consegnato i reperti alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna. Otto i denunciati per ricettazione di beni culturali.

I due oggetti d’arte antica

Il primo dei due reperti è appunto un askos apulo a figure rosse databile tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C.
La forma della ceramica richiama un’anatra stilizzata la cui testa costituisce il bocchello del recipiente, mentre la coda è una testina decorativa dipinta in ocra.
Il ‘lato A’ è decorato da una coppia di cavalieri su destrieri rampanti e affrontati. Sotto alle cavalcature sono stati dipinti anche due cani, sempre avvicinati tra loro e sempre uno di fronte all’altro.
Il ‘lato B’ presenta la classica decorazione fitomorfa (figure di piante stilizzate).

L’altro è un’anfora apula a figure rosse con anse a nastro, databile alla metà del IV sec. a.C.
La decorazione del ‘lato A’ è costituita da due figure umane affiancate ai lati di un plinto sormontato da un’anfora. A sinistra un giovane nudo regge una coppa e una corona. A destra una giovane donna stringe una fascia decorata e un ramo.
Sul ‘lato B’ risalta una scena di conversazione tra due uomini affrontati, ognuno con un manto indosso. Uno di loro regge un bastone.

Dopo gli esami tecnico-scientifici, entrambi i reperti per classe ceramica, tipologia, produzione e dimensioni, risultano provenire da contesti archeologici italiani.
L’ottimo stato di conservazione degli oggetti suggerisce una verosimile provenienza da contesti funerari, come parti di corredo.

Le indagini

L’azione investigativa ha potuto sfruttare il fondamentale aiuto della “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti” dei Carabinieri TPC, strumento perfetto per l’individuazione di oggetti scomparsi o passati di mano tra mercanti d’arte e ricettatori.

Dopo l’individuazione c’è stata la fase di rilevazione sulle due opere grazie agli esami tecnici e storico-artistici conclusi dai funzionari archeologi della Soprintendenza A.B.A.P. per il Comune di Venezia e Laguna che collabora strutturalmente con il Nucleo Carabinieri TPC di Venezia.

Gli accertamenti dei Militari hanno permesso di concludere una verifica importante.
Questi reperti archeologici, al centro di varie vendite che hanno interessato anche l’estero, non erano all’origine accompagnati dalla necessaria documentazione attestante la legittima proprietà.
C’è infatti da considerare un punto cruciale. Sui beni archeologici italiani l’attuale normativa prevede una presunzione di appartenenza allo Stato.
Il privato che vuole rivendicare la proprietà di reperti è tenuto a fornire la prova che gli stessi gli siano stati assegnati in premio di ritrovamento o che gli siano stati ceduti dallo Stato, oppure che siano stati in proprio ossesso – o in possesso di altri – in una data che sia stata precedente all’entrata in vigore della Legge n. 364 del 20 giugno 1909.

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