Raccontare e far conoscere, ecco cosa mi piace di più della scrittura. Sono un operaio della parola

Cosa ti piace di più della scrittura?

Non c’è differenza tra i generi che hanno caratterizzato la mia professione, che sia cronaca pura, enogastronomia, informazione scientifica, storica, turistica, economica. Raccontare e far conoscere, ecco cosa mi piace di più della scrittura. Sono un operaio della parola (immagine d’apertura di rawpixel.com su Freepik).

C’è una sorta di strano meccanismo che si è rafforzato fin dall’inizio, quando il mio approccio col giornalismo avvenne in redazioni radiofoniche.
In breve, ho in mano gli elementi di una vicenda e ho davanti la pagina bianca del computer. In alcuni casi, per velocizzare la scrittura, davanti agli occhi ho lo schermo dello smartphone.
Subito viene fuori l’inizio di quel che voglio scrivere.
Non ci penso molto. Puro istinto.
Da quell’istante il processo è dettato quasi da un’esigenza fisica.
Devo continuare ininterrottamente fino alla fine. Tutto il mondo intorno sparisce, deve sparire, non deve interferire, nessuno deve mettersi in mezzo o fermarmi-distrarmi, che siano i familiari più stretti passando per controparti di vita e amici.

È questo fluire come un fiume in piena che per me è uno degli aspetti più belli della scrittura. Non voglio fermarlo. Non vorrei mai fermarlo.

Entro in pausa di riflessione solo se qualcosa mi squilla nel cervello come in un “dove stai andando?” semi urlato.
Di solito avviene quando devo passare in rivista i punti che avevo in mente, quelli già scritti e quelli ancora da inserire. In quell’istante devo comprendere se sto realizzando bene il mio progetto. Però, se me lo sto domandando vuol dire che inconsciamente una parte di me ha colto qualche elemento da cambiare.

Altra cosa curiosa.
Capita di sbagliare a scrivere male un vocabolo o di costruire non bene un punto di un paragrafo. Nella fretta dettata dalla furia delle parole può ben capitare, come può saltare un verbo, un articolo.
Gli occhi lo vedono, è vero, ma preso dalla corrente del flusso di idee vado avanti a scrivere, come a non accorgermene. Eppure la mente ha registrato quell’intoppo.

Così, all’improvviso, inciampo.
Il fiume di parole si blocca, sento che c’è qualcosa di incerto.
La cosa mi disturba per due motivi: stavo creando il discorso e mi blocco, non va, freno; da qualche parte si è inoculato un errore, come un virus.
Inizio a innervosirmi.
Torno indietro per rileggere ed ecco lì il punto incriminato.
Sollievo.
Correggo.
Vado avanti.

Spero di aver dato un’idea minima su cosa mi accade quando scrivo.
Non so quanto di tutto questo mi accomuni ad altri, ma lo vivo molto spesso, quotidianamente per il flusso dei pensieri e delle parole da scrivere. Gli inciampi sono quasi inevitabili, soprattutto durante la stesura di articoli più complessi e multi sfaccettati.
Non credete a coloro che dicono di non sbagliare mai, che gli viene naturale, che tutto fluisce con naturalezza e correttezza.

Le storie, che siano di cronaca nera, di politica, di vita, di imprese o che riguardino luoghi e sapori, sono delicatissime.

Basta anche un verbo fuori posto, scelto male tra quelli possibili, una parola mal scritta o non adeguata, oppure (e anche) un errore nell’accostamento di tempi verbali ed ecco che cade tutta la costruzione.
Tutto il racconto o una sua parte, non funziona: somiglia a quelli “tarlati” che mi vengono sottoposti da aspiranti giornalisti senza consapevolezza.

Un capitolo, un intero articolo con punti non adeguati scelti con poca cura, si trasformano in castelli di carte: basta un soffio per fare sì che la debolezza della struttura si riveli.

La cosa potrebbe terrorizzare i più, invece a me piace.

Essere giornalista, ma anche scrittore, poeta, “scribacchino“, vuol dire essere artigiano della parola.

Un bel mestiere, a prescindere dagli appagamenti-riconoscimenti che può dare nel corso degli anni.

In più, questo lavoro mi ha consentito di tenere sotto continuo esercizio l’uso della parola, di ripassare regole, di applicarle di continuo, di conoscerne altre approfondendo… di sapere e potere scegliere.
Nella scrittura il vecchio adagio, non si finisce mai di imparare, è quanto mai vero.

Mi accade scrivendo anche semplici sms, e-mail, post social, messaggi Whatsapp o Messenger, lettere (sì, le scrivo ancora, lo faccio su carta): mi rende più forte in ogni esigenza di comunicazione.

Curare la Lingua Italiana con le sue regole e modi d’uso corretti, rende invincibili in qualsiasi bisogno di racconto. Anche quando si ha (e ho) a che fare con responsabili di redazione, clienti di svariati tipi, aspiranti scrittori che di Italiano ne masticano poco o hanno alcune incertezze.

Un giornalista è un operaio della parola, lo ripeto da sempre: se non conosce il mattone con cui deve costruire la sua struttura, verrà fuori qualcosa di inconsistente, inefficace, pronta a crollare da subito.

… e poi esistono molti altri motivi per amare la scrittura facendo rivivere vicende umane.

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di PlusBrothers Il Mondo Positivo ha detto:

    Ho un’opinione su chi dice “non sbaglio mai”: sono quelli che scrivono col… Insomma, non propriamente col cuore. E da lì è molto difficile che possa uscire qualcosa di profumato!

    Per citare Tiziano Ferro: “le parole hanno un peso” – e aggiungerei anche le virgole!

    Nel legalese e politichese poi sono esperti – basta una parola o una virgola in più per togliere o aggiungere diritti a qualcuno, una parola messa fuori posto in un articolo di giornale può offrire una notizia o una stupidaggine.

    Per non parlare di quelli che scrivono titoli: abituati a impiegare pochissime parole ma conoscono l’arte della scrittura anche meglio di noi che in un modo o l’altro scriviamo contenuti più articolati.

    “Si è spento l’uomo che si era dato fuoco”. Quanti modi ci sono per dire che una persona è deceduta? Eppure hanno scelto proprio la parola “spegnersi”.

    O quando scrivono [personaggio famoso] “non ce l’ha fatta” poi a metà articolo scopri che nessuno è morto, hanno solo cancellato o rimandato l’uscita di un programma tv qualsiasi.

    E cosa dire di alcuni slogan per la pubblicità? Classico “riso Gallo: chicchi ricchi di fantasia”. Sintetizzare una caratteristica del riso, dargli un pregio e imitare il verso del gallo in meno di dieci parole. Top!!!

    Gifter

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    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      Tutti esempi da manuale, sia per l’inventiva di alcuni, sia per quello che non andrebbe fatto.
      Sull’uomo che si è spento dopo essersi dato fuoco, avrei evitato questa frase: non si gioca con le parole in caso di morte, non si tratta di pubblicità di un prodotto. È anche vero che continuiamo a ricordarci di quella bestialità nel titolo.
      Per i politici ometto giudizi, tanto li immaginerai. Anche i loro addetti stampa sono molto cambiati tra prima e seconda repubblica: alti professionisti prima, pronti a far pesare la loro esperienza, successivamente sempre più proni, impreparati e pronti ad assecondare i loro capi anche nelle scemenze: sono solo uomini di partito/movimento.

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      1. Avatar di PlusBrothers Il Mondo Positivo ha detto:

        Un titolo del genere non è idoneo alla cronaca del mondo reale, piuttosto andrebbe bene in una pagina ironica tipo “il giornalista imbruttito”, “titoli cattivi per affamati di click”, ecc. Lì sai a prescindere con chi hai a che fare.

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