Alfonso di Trastámara nonché V d’Aragona divenne Re di Napoli oltre 580 anni fa

Alfonso di Trastámara il Magnanimo, V d’Aragona, Re di Sicilia, Re di Napoli, un grande potere si incentrò nelle sue mani dominando gran parte del Mediterraneo. Nel 1442 Alfonso fu incoronato appunto Re di Napoli. Educato a Medina del Campo all’interno della Corte di Enrico III di Castiglia, sposò poi Maria, figlio dello stesso Sovrano, matrimonio deciso nel 1415 per ragioni dinastiche.

E come lui stesso ebbe a ripetere, era in possesso di un enorme tesoro mistico, il Sacro Graal…
Il nome di questo oggetto leggendario viene dato dal Latino gradalis, vaso, recipiente.

Per la precisione sono passati 582 anni da quando Alfonso, della Casa Reale Trastámara d’Aragona, divenne regnante di Napoli.
Fu un momento culminante nella vita di questo Principe oltre che essere uno degli obiettivi maturati durante il suo processo di preparazione a regnare.

Sotto la guida di suo padre Enrico di Castiglia, Alfonso era stato educato sì alla religione e alla morale, ma a questi erano stati aggiunti la geometria, l’astronomia e, soprattutto, la lingua latina e la grammatica. Amava i classici e i poemi cavallereschi.
Oltre alla mente lo curarono nel corpo, quindi esercizi fisici, militari e indirizzato alla caccia che amava molto.

Da questo processo educativo venne fuori un grande nobiluomo illuminato e colto, a contatto stretto con molti insegnanti e letterati dell’epoca.

Ferdinando di Trastámara, el d’Antequera (aragona per parte di madre), era padre di Alfonso. Questo personaggio, capostipite dei Trastámara d’Aragona, era la figura che Alfonso ammirava di più al mondo, il suo massimo esempio: uomo molto fermo e abile, ben capace nel farsi valere, cosa che mostrò con abilità il 30 giugno 1412 al Parlamento di Caspe nel far pesare le proprie prerogative.

Come sottolineato anche nell’Enciclopedia Treccani, un altro capitolo importante nella vita di Alfonso ancora giovane è rappresentato dalla “fastosa incoronazione del nuovo re d’Aragona – descrittaci con tanta vivacità e tanta ricchezza di colori nelle pagine degli Annali dello Zurita – e nella quale egli stesso, oltre che al lato del padre, rappresentò una parte di primo piano, regolata da un apposito cerimoniale, per l’elevazione al principato di Gerona“.

Alfonso imparò dal padre ad amministrare i domini mediterranei, a cominciare da quelli in Sicilia e in Sardegna e fu durante il Concilio di Costanza che il giovane e potente nobiluomo si convinse sempre più che affinché il Regno d’Aragona consolidasse il potere nelle due isole doveva avere una posizione predominante anche nella penisola italiana.

Da qui la necessità di ottenere il dominio su Napoli.

Il 2 aprile 1416, alla morte di Ferdinando I, Alfonso divenne Re d’Aragona come V del suo nome e qui dovette parare i primi grandi problemi che ostacolavano l’espansione in Italia e minavano lo stesso suo potere anche in Catalogna. Avvenne per esempio nelle Cortes di Barcellona, soprattutto nella seduta del 26 gennaio 1413 con un’opposizione ai privilegi sovrani che un largo partito voleva considerare nulli se contrastanti con le leggi “pazionate” o “col bene pubblico”.
Bisogna considerare l’attrito dell’epoca fra Calalogna e Aragona, la vocazione marinara ed esploratrice della prima e gli obiettivi della seconda all’interno del continente, quindi per il consolidamento e l’espansione di domini e regni sotto il controllo aragonese.

Stemma Aragona Sicilia

Contro la politica aragonese c’era fermento in Sicilia grazie al viceré, il Duca di Peñafiel inviato all’epoca di Ferdinando I, personaggio che il Parlamento siciliano voleva addirittura come sovrano o come capo di un regno particolarmente indipendente dall’Aragona.

Anche in Sardegna si stavano accendendo fuochi indipendentistici sobillati dai genovesi da sempre antagonisti degli Aragona, moti di ribellione comandati da Guglielmo III, Visconte di Narbona.

Vista la situazione Alfonso V agì con grande risolutezza per consolidare le posizioni e riportare tutto sotto il suo controllo.

Stemma Reale del Regno di Sicilia, dall’Armoriale Conrad Grünenberg (1486)
Blasonatura: inquartato in decusse (ad X-croce di Sant’Andrea), nel primo e nel quarto d’Aragona (d’oro, a quattro pali di rosso), nel secondo e nel terzo di Svevia-Sicilia (d’argento, con aquila spiegata di nero e coronata)

Prese suo fratello Giovanni e gli fece sposare Bianca di Navarra, inviò in Sicilia Cardona e il Ram, ribadendo l’unione personale tra Aragona e Sicilia.

Toccò anche alla Sardegna sbarcando il 14 giugno 1420 ad Alghero: accordandosi col Visconte di Narbona, riprese il dominio dell’Isola.

Alfonso V ebbe appena il tempo di iniziare a prendersi pure la Corsica con la presa di Calvi e l’assedio di Bonifacio, quando giunse una delegazione di Giovanna II di Napoli che chiedeva il suo aiuto: era sotto l’attacco delle truppe di Muzio Attendolo Sforza, condottiero pagato e assoldato da Luigi III d’Angiò, Conte di Provenza.

Occasione perfetta per prendere Napoli e il suo Regno nella penisola italiana: in cambio del sostegno di Alfonso, la Regina Giovanna lo avrebbe adottato come figlio e successore alla Corona napoletana, lo avrebbe investito col mero titolo, ma anche del ducato di Calabria.

L’impresa non fu per nulla semplice perché dal suo arrivo a Napoli il 5 luglio 1421, si scatenarono lotte interne tra vari personaggi di vertice fino a divenire scontri sul terreno.

Da una parte c’era l’insofferenza di Martino V nei confronti di Alfonso, quella aperta e manifesta di Filippo Maria Visconti, Duca di Milano e Signore di Genova, quella di ser Gianni Caracciolo, favorito di Giovanna II, che vedeva ridursi il potere a favore dei dignitari aragonesi. A questi, come guida degli angioini anti Aragona, si aggiunse il condottiero Muzio Attendolo Sforza.

La lotta aperta ebbe inizio e nell’aprile del 1423 Alfonso V giunse a trovarsi assediato a Castel dell’Ovo, ma passò al contrattacco.
Però dovette fermarsi e tornare a Barcellona per la situazione precaria che lì si stava creando, oltre che per la revoca dell’adozione da parte di Giovanna II di Napoli.

Lasciò parte della flotta a al fratello, l’infante Pietro, per continuare a presidiare la situazione napoletana, missione difficilissima per i tanti nemici che aveva intorno e per gli armati angioini e genovesi che premevano.

Ci vollero otto anni per consentire ad Alfonso di riportare tranquillità in Spagna.

Alfonso V raffigurato sulla facciata del Palazzo Reale a Napoli dove in altre nicchie sono collocate le statue di regnanti del Sud, a cominciare da Ruggero II di Sicilia e da Re Federico II di Svevia

Nel 1432 sbarcò di nuovo in Italia e da lì non fece più ritorno a Barcellona: morirà a Napoli il 27 giugno 1458.

Ci vollero 26 anni per normalizzare la situazione nel Regno napoletano, consolidare e sviluppare i regni ereditari cercando di contrastare i desideri autonomistici nelle due maggiori isole del Mediterraneo.

Prima, nello stesso 1432, Alfonso V fece partire la spedizione contro Gerba colpendo Tunisi eliminando le scorrerie pirate che da lì colpivano la Sicilia e le terre affacciate su quel lato del Mediterraneo. Il Regno Siciliano riprese il dominio di quella fetta di Africa obbligata a un trattato commerciale con Palermo.

A seguire si assistette a un continuo ribaltamento della situazione nella contrapposizione con gli angioini, i genovesi e con il Papato, visto che Papa Eugenio IV contrastava l’allargamento dell’influenza aragonese.

Il 5 agosto 1435 la flotta aragonese fu sconfitta dai genovesi nella battaglia di Ponza. Alfonso V voleva correre in difesa di Gaeta che era la piazzaforte fondamentale per il dominio nel Meridione d’Italia, ma fu sconfitto e fatto prigioniero con i fratelli Giovanni ed Enrico.

Finirono nelle mani del Duca di Milano… ma ecco la sorpresa!

L’8 ottobre del 1435 Alfonso e Filippo Maria Visconti firmarono un trattato segreto.

Cosa sanciva questo patto?

Il Re aragonese promise di pagare 30.000 ducati come riscatto (in breve, si comprò il milanese), rinunciò alle sue pretese sulla Corsica, rinunciò pure alle sue basi in Toscana e, contemporaneamente, si impegnò a portare le armi contro lo Sforza a favore del Visconti. In cambio il Duca di Milano gli giurò alleanza.

Il progetto finale era quello di stabilire due esclusive e uniche influenze politiche in Italia. A Sud di Bologna gli Aragona e a Nord, i Visconti.

In questo modo Alfonso V ebbe il pieno via libera alla conquista del Meridione. Negli anni di guerra che seguirono l’avanzata aragonese fu inarrestabile, anche se nell’ottobre 1438 costò la vita all’infante Pietro.
Aversa, Benevento, Salerno furono prese dagli aragonesi.

Corpore gracilis, vultu pallido, sed aspectu laeto, naso aquile et illustribus oculis, crine nigro et iam albicanti, ad aures usque protenso, statura mediocri, cibi potusque temperans.

Snello nel corpo, pallido nel viso, ma allegro nell’aspetto, con naso aquilino e occhi luminosi, capelli neri e ora bianchi, che arrivano fino alle orecchie, di media statura, misurato col cibo e col bere.

Alfonso d’Aragona nella descrizione del cardinale Enea Silvio Piccolomini, poi Papa nel 1458 col nome di Pio II

Fece seguito la tregua con Genova, l’investitura pontificia del Sovrano con la Corona napoletana secondo la Pace di Terracina siglata il 14 giugno insieme al Papa Eugenio IV che il 15 luglio 1443 emanò la bolla di investitura.

Alfonso V non finì di combattere, una per tutte, si riaccese il conflitto con Genova, senza dimenticare la guerra di successione al Ducato di Milano e il contrasto al pericolo turco che proveniva da est. Contro quest’ultima minaccia la Sicilia e il Mezzogiorno erano preziosissimi dal punto di vista strategico-militare.

Ma il suo più grande lavoro civile fu quello di espandere la diffusione dell’insegnamento, degli studi nel Napoletano e nei regni ereditari, sviluppare e dare nuova forza alle vie commerciali mediterranee seguendo la tradizione siciliana.

Fondò l’Università di Catania e istituì una scuola di greco al monastero basiliano del Santissimo Salvatore di Messina, mentre a Napoli diede vita alla più splendida corte letteraria esistente in quei tempi.

Ecco nascere quindi il mito di Alfonso il Magnanimo, il “gran lume delle lettere”, così citato e cantato da moltissimi letterati del tempo. Noto come grande mecenate, uomo d’avventure coltissimo e fortunato nelle imprese d’armi.

Napoli divenne la vera capitale dei domini Mediterranei nella sfera di influenza degli Aragona.

Alfonso V d’Aragona, il Magnanimo, morì a 64 anni, il 27 giugno 1458. Si trovava nelle sue stanze a Castel dell’Ovo. Si spense due ore prima dell’alba. Era passato un mese da quanto contrasse la malaria.

Come lui desiderava, il suo corpo fu portato in Spagna. Fu l’unico degli Aragona del Meridione a non essere imbalsamato e posto nel Passetto dei Morti della chiesa di San Domenico Maggiore.

Come da sempre racconta il mito, il Sovrano potrebbe aver fatto seppellire con sé il segreto del Graal, la coppa usata da Gesù nell’ultima cena, oggetto da sempre ricercato e mai trovato, calice che Alfonso V ripeteva spesso di possedere.
Il Sovrano si fece ritrarre sul grande portale del Maschio Angioino assiso sul “seggio periglioso“, il tredicesimo scranno della Tavola Rotonda della Corte di Re Artù su cui poteva sedersi solo Galahad, il più puro dei cavalieri, figlio di Lancillotto oltre che autore del ritrovamento del Graal.

Il Sacro Graal appare tra i Cavalieri della Tavola Rotonda, da una miniatura inserita in un manoscritto – Parigi, XV secolo

L’ipotesi più affermata vorrebbe il Graal nella Cattedrale di Valencia. Lì Alfonso lo avrebbe lasciato dopo averlo portato nel suo palazzo reale durante il 1424: originariamente sarebbero stati i monaci del Convento di San Juan de la Pena a donarlo ai Re Aragona.

Re Alfonso V lo diede poi alla Cattedrale di Valencia per farsi finanziare l’impresa di conquista del Regno di Napoli.

Il Graal sarà ancora nella Cattedrale di Valencia, all’interno della Cappella del Sacro Calice?

… ma questa è una storia da raccontare in un altro approfondimento.

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