Manuale del Duellante, testo del 1896 che sorprende, descrive l’essenza del vero gentiluomo, dell’onore, dell’onestà, del coraggio. Esempio molto utile pure oggi

“Il duello è un fatto antropologico dovuto alle leggi della difesa della propria dignità e del proprio onore; è, fisiologicamente parlando, una manifestazione, come tante altre di repressione dell’offesa, di risentimento, di invidia umana”. Questo l’inizio del “Manuale del Duellante” edito nel 1896 a Milano. Un testo di 125 anni fa che fa risaltare anche l’universalità del concetto di gentiluomo, esteso a tutte le classi, a tutti coloro che sono onesti e retti, senza distinzioni tra posizioni-situazioni sociali (nell’articolo, immagini cliccabili per ingrandirle).

Questo antico volumetto mi fu regalato. Ricordo un mio compleanno di qualche anno fa. Una cara amica, Ester De Miro d’Ajeta, donna elegante e dal grande intelletto, ex docente di Cinematografia all’Università di Genova, me lo donò aggiungendo una splendida dedica.

Il Manuale del Duellante fu scritto dal Cavaliere Jacopo Gelli, stampato nel 1896 in seconda edizione da Ulrico Hoepli Editore-Libraio della Real Casa e venduto al prezzo di 2,50 lire dell’epoca.

Suddiviso in sette libri (il più lungo è il quarto, “Questioni di Cavalleria e di tecnica“, a sua volta composto da venti capitoli), illustra sì ogni aspetto del duello, dell’arte di usare la spada o il fioretto, alle statistiche sui combattimenti.

Ma c’è molto di più in termini di pensiero.

La definizione sociale, morale, quella sulla correttezza, prevalgono sul mero uso del duello: è qui il fulcro principale del pensiero dell’autore, punto che apre la strada allo scritto. Sorprendente nei contenuti per chi, come me, legge questo antico testo e vive nel ventennio del XXI secolo.

Nella prefazione al volume lo scrittore tiene a tracciare un’immediata precisazione:

Lo scopo del Manuale del Duellante è di limitare per quanto è possibile il duello; di impedire che una non esatta conoscenza delle disposizioni penali sul duello o delle consuetudinarie leggi dell’onore attribuisca agli inesperti responsabilità non ponderate, o li induca a consacrare la calunnia e a perpetuare l’equivoco con la forma cavalleresca

Quando osservai la copertina e lessi il titolo, mi formai un’idea iniziale sul contenuto. Immaginai qualcosa di tecnico-storico e di curioso su antichi costumi. Mi preparai a un approccio da quasi archeologo letterario alla scoperta di un mondo lontano ed estraneo.

Aprendo le pagine del manuale tutto ha cambiato forma. Da mero scritto con descrizioni per combattere al meglio, conoscere le regole sulla disposizione dei duellanti, le armi da adoperare, i luoghi da preferire, la presenza dei padrini-testimoni e del personale medico, il testo ha assunto una prospettiva inaspettatamente differente.

Nel Primo Libro, l’intero secondo capitolo è dedicato a “Il duello nel Codice penale“, il terzo alle “Sentenze contro i duellanti” e il quarto alle “Massime di giurisprudenza“.

In breve, queste tre parti sono una panoramica su giudizi e condanne possibili secondo il codice in esistente a fine XIX secolo, nel caso si fosse partecipato a un duello. Quindi, le diverse valutazioni fatte dai giudici a seconda del ruolo avuto nel combattimento (differente se si era parte offesa o sfidata e in qualsiasi altro compito durante il confronto con le armi).

La parte più profonda e umana del manuale è comunque quella di primo impatto, proprio il primo capitolo del primo libro, quello legato all’essenza dei gentiluomini, sull’onestà, sulla cavalleria. Chi e cosa sono e a cosa devono rispondere questi personaggi e questi concetti?

Onore – Codici – Gentiluomini – Duello

L’iniziale definizione di duello e di società descritti al primo capitolo del Libro Primo, tronca qualsiasi collegamento con un’eventuale idea romantica, superficiale tipo cappa e spada immaginata da chi vive nei tempi d’oggi. Nel Manuale è impressa la narrazione di un mondo di 125 anni fa con le sue codifiche che sono pure in gran parte attuali.

Il duello è un fatto antropologico dovuto alle leggi della difesa della propria dignità e del proprio onore; è, fisiologicamente parlando, una manifestazione, come tante altre di repressione dell’offesa, di risentimento, di invidia umana. Nel campo penale rappresenta l’apoteosi dell’omicidio mancato o compiuto sotto regole determinate, atte ad impedire il sopruso.

Le regole che governano il duello sono chiamate “leggi d’onore”; “gentiluomini” si chiamano coloro che protetti dalle leggi dell’onore consumano il reato di duello.

Le “leggi cavalleresche” costituiscono un insieme che i gentiluomini dicono “Codice di cavalleria”, cioè: il complesso di norme passate allo stato di consuetudine e accettate attualmente come leggi sacrosante da quelli che si appellano al duello per risolvere le querele loro.

Dopo questa iniziale definizione, il Cavaliere Jacopo Gelli, autore del manuale, sembra voler iniziare a stupire e dà la sua prima stoccata, non con una lama, ma con le parole. Reinquadra i termini gentiluomini, cavalleria e onore.

Tra le righe dà un quadro sociale che, pur risalendo a fine 1800, può trovare affinità spiccata con l’oggi, nonostante il mondo odierno sia regolamentato da altri termini, altre definizioni, altre leggi.

L’onore nel senso cavalleresco è un mito; è un falso apprezzamento della dignità umana; è una parola vana e menzognera, rigonfia di vento, come dice Falstaff, che si pasce di vanità e di lusinghe e che la corrompe l’orgoglio e l’ammorba la calunnia. L’onore, infine, è quella parola inventata per mandare all’altro mondo un amico che ci dà uggia, senza correre il rischio d’andare a finire in galera.

Dopo la nota iniziale così dura, l’autore racconta la vera definizione di “onore” e la vera natura del coraggio, da distinguere da quello artificioso, dannoso, finto, apparente, inconcludente che veste il codardo.

L’onore vero viene determinato dalla stima e dalla considerazione che una persona onesta ha saputo acquistarsi con le sue azioni sempre conformi ai dettami delle leggi naturali e di quelle civili. È, perciò, falsa l’opinione che l’onore debba valutarsi dal numero di duelli. Essa si fonda esclusivamente sulla confusione che gl’imbecilli fanno del pregiudizio con uno fra i più nobili sentimenti della vita umana: il coraggio!

Il coraggio nel duello è un prodotto artificiale che permette, appunto, ai timorosi di far credere che essi posseggono una virtù che non hanno.

Ho veduto soldati e cittadini decorati di medaglie, premio di atti di vero coraggio, scendere sul terreno dello scontro pallidi per l’emozione, che solo una volontà ferrea sapeva e poteva vincere;

ho veduto un duellista, famoso per le sue smargiassate sul terreno dello scontro, voltare i tacchi alla prima fucilata partita da un gruppo di quattro briganti armati di trombone.

L’essenza vera del termine “gentiluomo”

A questo punto il Manuale punge sul vivo. Il cavaliere Gelli non usa mezzi termini per separare l’autentico gentiluomo da una sua imitazione o dalla sua falsa rappresentazione: lo fa utilizzando frasi che, allo stesso tempo, sono eleganti e spietate… la verità ha da essere descritta senza nessuna ombra. Una rappresentazione che uomini e donne del nostro 2021 dovrebbero tenere presente.

La parola gentiluomo indica, innanzi tutto, l’onestà. Senza onestà non esiste, non può esistere il gentiluomo. Come la parola «onore», così quella «gentiluomo» ha origine nel bujo e si perde nelle tenebre, perché nulla può determinare il punto in cui l’uomo onesto comincia a essere gentiluomo, né quando finisce di esserlo.

Gentiluomo perché di nobili natali? Vero nei tempi andati… anche se, in questo modo, pure molti “somari” divennero gentiluomini

Nella beatissima epoca che fu, bastava nascere da nobile per avere la pretesa di essere considerato, nel campo della Cavalleria e in quello di Diritto, un gentiluomo.

Questo diritto, in allora, poteva anche essere rappresentato da un somaro di nobile casata, a cui natura avesse concesso forme umane, e la Chiesa di cingere la spada e di portare speroni. E quando i gentiluomini erano rappresentati, per la parte maggiore, da simili tipi più o meno ragionevoli, capitava spesso di sentirli, rigonfi della ignoranza loro, a minacciare l’impronta del nobile zoccolo sulla persona magari di un divino Michelangelo o di un venerando Galileo, qualora fosse loro saltato il ticchio di far valere le ragioni proprie con la spada in pugno.

La stoccata vincente dell’autore riguarda chi rappresentava nel 1896 la parte di società fatta da veri gentiluomini, una realtà valida sia in quell’epoca che nel nostro oggi. Una definizione-concetto da applicare come si deve, da insegnare ai nostri figli e nipoti.

Oggi, i gentiluomini di razza si sono fusi col gentiluomo d’origine plebea; e da questa fusione ne è scaturito l’assioma: che tutte le persone le quali godono meritatamente pubblica estimazione di onestà e rettitudine sono gentiluomini.

L’unico caso in cui il Cavaliere Gelli definisce come sopportabile un duello?E gentiluomo è oggi dunque colui che all’onestà e alla rettitudine accoppia il cuore di chiamare a tenzone singolare l’offensore, quando trovi quattro persone per bene che in lui riconoscano questo diritto e che lo accompagnino sul terreno della pugna per testimoniare dinanzi alla legge e alla cavalleria che le parti si condussero lealmente senza frode nel combattimento“.

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