Il telescopio spaziale James Webb della NASA analizzerà le esplosioni di radiazioni da stelle massicce che influenzano l’area della Nebulosa di Orione

Stelle giovani e massicce, esplosioni di supernova, molti sono i fenomeni stellari che mi hanno sempre affascinato per l’energia che sono capaci di sprigionare e per la capacità di dare vita a sistemi stellari, al moto di nebulose, all’influenza che hanno su intere regioni stellari. Uno di questi casi riguarda la regione della Nebulosa di Orione, vera fucina di nuove stelle che sarà studiata dal telescopio spaziale James Webb NASA.

Ho avuto fin da bambino un telescopio col quale ho scrutato cieli, sole e luna, sempre fortemente attratto da cosa si nascondeva in quel cielo nero notturno punteggiato di stelle e pianeti (all’osservazione a occhio nudo, le prime brillano, pulsano di luce, i pianeti sono a luce fissa perché riflessa da quella solare, non ne sono fonte). Anche osservare il sole al mattino, con apposito filtro nero per non bruciarmi la retina, mi rivelava quella strana superficie “granulosa” della nostra stella.

Col tempo molte informazioni le ho ampliate, ho letto, mi sono tenuto in contatto con Nasa, Esa, Asi, ricevendone comunicati, osservando le immagini che mi venivano spedite. Magnifiche quelle del telescopio orbitante Hubble una volta che fu lanciato nello spazio e divenne operativo.

Ora c’è un entusiasmo nuovo, quello sul telescopio spaziale James Webb su cui ho già scritto in un mio articolo (link) riguardante i futuri studi sulla Galassia Centaurus A.

Sopra, dalla prima all’ultima foto, comparazione tra il James Webb e l’Hubble, il particolare “specchio” del Webb, le capacità visive e di analisi tra sistemi di osservazione, l’ipotesi visiva del lancio in orbita e, infine, l’assetto in orbita del nuovo telescopio spaziale

La Nebulosa di Orione, la Cintura e la Spada, luoghi interstellari di grandi energie e cambiamento

È la stessa NASA a raccontarmi quel che si prospetterà dopo l’ormai vicino post-lancio (a novembre se non cambierà nulla) del telescopio James Webb.

La premessa sullo stato della situazione riguarda la Nebulosa di Orione, ampia 24 anni luce e distante dalla Terra 1.344 anni luce. Questa regione di spazio è un “vivaio stellare”. Lì stelle giovani e massicce stanno letteralmente inondando con radiazioni ultraviolette le loro “nuvole” di materia interstellare, fatte di polvere e gas, quelle dove sono nate e dove stanno prendendo forma. Queste stelle emanano energia come fossero dei venti, spingono, irradiano, scaldano, quindi influenzano.

Bisogna comprendere bene questo meccanismo.

Una di queste regioni di grandi cambiamenti stellari è la Orion Bar che viene definita come “una caratteristica cresta di gas e polvere che viene scolpita dall’intensa radiazione delle vicine stelle calde e giovani“. In realtà quest’area è ben più complessa, contiene molta struttura e diverse zone distinte.

Per la prima volta il telescopio Webb sarà in grado di separare e studiare le condizioni fisiche di queste diverse aree. Se ne saprà di più quindi sull’influenza che le stelle massicce hanno sui loro “ambienti” permettendo di fare altri passi avanti nella comprensione dei meccanismi che hanno portato anche alla formazione del nostro sistema solare.

Come sottolineato da Olivier Berné, uno dei principali ricercatori del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica di Tolosa, “il fatto che le stelle massicce modellino la struttura delle galassie attraverso le loro esplosioni come supernova, è cosa nota da molto tempo. Ma ciò che le persone hanno scoperto più di recente è che anche le stelle massicce influenzano i loro ambienti non solo come supernova, ma attraverso i loro venti e le radiazioni nel corso della loro vita“.

La Nebulosa di Orione anche se a 1.344 anni luce di distanza dalla Terra, è la regione di formazione stellare massiccia più vicina al nostro Sole. L’Orion Bar che ne fa parte, sembra solo apparentemente avere la forma di una stria a barriera di gas e polveri.

Immaginatevi questa regione fatta da gas atomico e molecolare, ma solo all’1% di minutissime parti di particelle solide di polvere vitali nei processi di formazione delle stelle e nella sintesi di molecole complesse presenti nello spazio.

Polveri il cui status e il cui cambiamento sono strettamente dipendenti dai gas in cui sono immerse: i granelli di polvere assorbono la luce visibile e ultravioletta, quindi si riscaldano irradiando lunghezze d’onda dell’infrarosso e submillimetriche.

Da qui lo studio delle regioni di fotodissociazione (PDR) dove la luce ultravioletta di stelle giovani e massicce crea un’area per lo più neutra, ma calda, di gas e polvere, dove lo stesso gas completamente ionizzato circonda le stelle massicce e le nuvole in cui sono nate.

Questa radiazione ultravioletta influenza in maniera incredibile la chimica dei gas presenti in tali regioni e agisce come la più importante fonte di calore. Il telescopio Webb consentirà uno studio del fenomeno a un livello di dettaglio senza precedenti per analizzare i processi fisici e chimici che sono importanti per la maggior parte della massa che si trova tra e intorno alle stelle.

Come sottolineano NASA ed ESA, i processi di radiazione e disgregazione delle nuvole guidano l’evoluzione della materia interstellare nella nostra galassia e in tutto l’universo, dall’era primitiva dell’iniziale vigorosa formazione stellare fino ai giorni nostri.

L’Orion Bar è probabilmente il prototipo di un PDR – ha rimarcato Els Peeters, professore alla University of Western Ontario, membro del SETI Institute e tra i principali investigatori del team di ricerca – È stato ampiamente studiato, quindi è ben caratterizzato. È molto vicino ed è davvero visto al limite. Ciò significa che è possibile sondare le diverse regioni di transizione. Poiché è vicino, questa transizione da una regione all’altra è spazialmente distinta se si ha un telescopio ad alta risoluzione spaziale“.

Da qui l’importanza dell’innovativo telescopio spaziale James Webb: rappresenterà i nostri occhi in orbita e saranno così acuti da farci vedere la nascita e la crescita di stelle, di sistemi planetari 1.344 anni fa (vista la distanza che ci separa dalla nebulosa). Una sorta di ultratecnologico binocolo che è anche una macchina del tempo.

Noi vedremo quindi nel passato di quella regione dello spazio. Ma oggi quella stessa area come sarà? Cosa starà avvenendo tra quelle stelle?

Una cosa è certa: non possiamo osservare “in tempo reale” e non potremo farlo ancora a lungo. Però quello attuale resta un passo avanti per comprendere meglio gli infiniti meccanismi del Cosmo.

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4 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    Ci guardavi anche nei palazzi vicini, col telescopio, o quello era solo col binocolo nonnesco? 😁😇

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    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      😄😄 non c’erano palazzi vicini, ma panorami… ugualmente interessanti

      Piace a 1 persona

      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        😜

        Piace a 1 persona

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