Gangi e il Monte Alburchia, alla ricerca delle antiche origini: storia e archeologia in Sicilia grazie a nuovi scavi

C’è in gioco molto, la definizione più attenta, precisa e articolata del lontano passato di Gangi, Comune inserito nell’area del Palermitano e tra i Borghi più belli d’Italia per “spiccato interesse storico e artistico”. L’attuale tentativo è quello di gettare nuova luce sulla storia in Sicilia grazie a nuovi scavi archeologici sul Monte Alburchia che già dal 1958, grazie a una missione capeggiata da Vincenzo Tusa, rivelarono la presenza di strutture murarie relative a costruzioni dimostrando come l’antico centro fosse attivo in età tardo-antica, ovvero fino al V secolo d.C.

Tanto per definire geograficamente il luogo, si trova a 968 metri di altitudine, tra le Madonie e i Monti Erei, catena montuosa di origine tettonica che parte dalla Sicilia centrale.

Sulle immagini: 1 – Edicola con colonnine scoperta nel 2014; 2 e 3 – Edicole monumentali; 4 – Vano scavato nella roccia con probabile funzione rituale; 5 – Parete nord di Monte Alburchia con edicole votive.

La nuova indagine archeologica sul Monte Alburchia riparte dalla Via Sacra con le edicole votive degli eroi, lavoro reso possibile con la messa in sicurezza del costone roccioso e realizzato grazie al finanziamento del ministero dell’Interno sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo in collaborazione con il Comune di Gangi.

Gli scavi interesseranno la parete Nord, dove sono visibili edicole scavate nella roccia, già segnalate negli anni 90 dall’archeologo Santo Ferraro.

Il coordinamento dell’indagine archeologica spetta alla Sezione per i Beni archeologici diretta da Maria Marrone e sarà curato da Rosa Maria Cucco affiancata dagli archeologi Filippo Iannì Santo Ferraro dell’Associazione Culturale ARTEC.

«Lo scavo ci consentirà di esplorare un’ulteriore porzione della parete con le edicole sacre – rimarca Selima Giuliano, Soprintendente dei Beni Culturali e Ambientali di Palermo – e, grazie alle opere di protezione della parete rocciosa, auspichiamo di procedere con l’esplorazione del vano ipogeico del complesso sacro messo in luce nel 2015, la cui indagine fu interrotta per problemi di sicurezza».

Volendo fare una breve cronistoria sui ritrovamenti archeologici avvenuti sul Monte Alburchia, il primo da citare è il barone Gandolfo Felice Bongiorno, in pieno XVIII secolo, che trovò le prime tracce dell’antichissimo insediamento.

Alberto Samonà, assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana

Occorse molto tempo per vedere un’indagine seria su questo sito. Il salto è al 1958 con la missione archeologica che ho già citato, quella coordinata da Vincenzo Tusa che permise di trovare reperti da due zone cimiteriali che riguardavano l’esistenza di due diverse fasi di vita di un centro abitato collocabile sul Monte: una necropoli attiva tra l’età arcaica e quella classica (VII-V sec. a.C.) e una seconda di età ellenistica (IV-III sec. a.C.).

I reperti trovati da Tusa sono esposti al Museo archeologico regionale “Antonio Salinas” di Palermo, il più antico museo di Sicilia, istituito nel 1814, contenente testimonianze che partono dalla cultura fenicia-punica, passando per quelle greca, etrusca, romana e successive.

Una panoramica visiva sul Museo “Antonio Solinas” a Palermo

«Anche questa nuova campagna di scavi si prospetta interessante per meglio definire il quadro delle emergenze storico-culturali della Sicilia. Aspettiamo gli esiti di questa nuova entusiasmante ricerca con grande emozione – sottolinea Alberto Samonà, assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana – La natura e le dimensioni di questa “via delle edicole”, probabilmente tra le più significative dell’Isola, potrebbe, infatti, aprire a una nuova fase di scoperte accendendo l’attenzione su un’area della Sicilia ancora poco valorizzata sotto il profilo della conoscenza storico-archeologica e che, sono certo, ha ancora molto da restituirci».

Hérbita o Engyon? L’antico centro urbano del VII secolo a.C. sul Monte Alburchia

I ritrovamenti più antichi sul Monte Alburchia sono riconducibili all’antica età del bronzo.

Si può parlare della città cretese di Engyon (Ἔγγυον), in Latino Engium (Engio in Italiano) come sito originario del luogo?

Il mitico centro urbano di Engyon doveva essere stato fondato proprio da coloni cretesi i quali, come citato da Diodoro Siculo seguendo la cronologia mitologica, arrivarono proprio qui, in Sicilia, scappando dopo l’uccisione di Minosse, figlio di Zeus e di Europa.

In epoca romana la città fu poi fatta saccheggiare dalle truppe romane comandate da Gaio Licinio Verre (115-43 a.C.) quando questo personaggio rivestiva il titolo di propretore di Sicilia, carica di cui approfittava per arricchirsi e depredare.

Hérbita (Ἕρβιτα) o Erbita, insisterebbe nella stessa zona, anch’essa citata per la prima volta da Diodoro siculo che la fissa in epoca databile intorno al 445 a.C. Lo stesso storico ellenistico-siciliano raccontò come la città sia riuscita a non essere conquistata da Dionisio I di Siracusa che la fece porre sotto duro assedio.

Per il resto, le caratteristiche di Hérbita ricalcano quelle di Engyon, quindi pieno dominio su un terreno fertilissimo che permetteva una grande produzione di grano. Cicerone la definisce “honesta et copiosa civitas” nelle sue “Verrine” (In Verrem) che riguardano il processo a Roma contro Gaio Licinio Verre, con gli abitanti della Sicilia nel ruolo di accusatori nonché testimoni dei reati commessi dal propretore nell’Isola.

Come sottolineato anche dalla Soprintendenza di Palermo e dall’assessorato regionale ai Beni culturali, gli storici dell’antichità parlano di questa città come di un centro ricco. Sotto l’impero romano la città fornì molti tributi cerealicoli utilizzando per il trasporto la strada Enna-Halaesa che sotto i il dominio di Roma era divenuta la città con il porto più importante della zona tirrenica.

Dal tardo 1100, Gangi e i territori circostanti, compreso Monte Alburchia, seguirono i cambiamenti politici del Regno di Sicilia e il passaggio a diverse famiglie nobili alla guida dell’Isola, i de Craon, i Ventimiglia, i Grifeo, i Valguarnera.

Come ho già scritto, la campagna di scavo di Vincenzo Tusa durante il 1958 dimostrò come il sito originario fosse ancora frequentato in età tardo-antica, fino al V secolo d.C. Nell’area della necropoli lungo la piccola strada che dalle case Salerno sale verso il Monte, furono scavate due tombe (su una ventina individuate) databili invece all’età ellenistica, tra fine del IV e II sec. a.C.

Sebbene oggi sia documentata la presenza di un abitato tardo-antico sul Monte Alburchia, non c’è ancora traccia di quello connesso alle tombe di età arcaica-ellenistica, agglomerato urbano da cercare, probabilmente, al di sotto dei livelli di vita tardo-antichi.

Cosa è stato trovato fino a oggi sul Monte Alburchia, lato delle edicole votive?

Nel 2014 un evento inaspettato calamitò l’attenzione sulla parete dove sono state ritrovate numerose edicole: un cedimento di terreno di accumulo davanti alla parete rocciosa, portò in luce una nicchia monumentale con due colonnine scanalate sulla fronte.

Il ritrovamento fu comunicato alla Soprintendenza da Giuseppe Salerno, proprietario del terreno. Ecco quindi partire la campagna di scavo che tra il 2014 e il 2015 portò a nuove scoperte. Nella nicchia erano stati trovati: una coppetta acroma (priva di colorazione), il fondo di una brocca, un chiodo di ferro. Le due colonnine per ragioni di tutela sono state tolte dal sito archeologico ed esposte al Museo Salinas.

Lo scopo dell’indagine lungo la parete era quello di verificare la presenza di edicole che potevano essere più monumentali di quelle fino a quel momento visibili.

L’indagine portò al ritrovamento di altre nicchie della stessa tipologia di quelle già note – incasso quadrangolare con interno intonacato – fu rinvenuto, infatti, un architrave in pietra con dentelli, certamente il coronamento di un’edicola. In più, un’ulteriore edicola monumentale denominata E 123.

Straordinaria fu poi la scoperta di un vano scavato nella roccia, con un basamento cubico davanti all’ingresso.

Come sottolineato dalla Soprintendenza, tutto il complesso rupestre di Monte Alburchia riveste un’importanza notevole in quanto documenta come tra il III ed il I secolo a.C., epoca in cui si datano le edicole, questa zona non fu isolata. Al contrario, ebbe contatti con altri centri della Sicilia e, probabilmente, del Mediterraneo, dove sono state rinvenute nicchie dello stesso tipo scavate nella roccia: Alessandria d’Egitto, Ustica, Lilibeo, Segesta, Enna, Agrigento, Akrai (Palazzolo Acreide).

Anche sulla base dei confronti con altre realtà analoghe è possibile ipotizzare che le nicchie di Alburchia fossero disposte lungo una via sacra e, precisamente, individuabile nella strada che, provenendo dalla necropoli ellenistica scavata da Vincenzo Tusa procedeva verso l’abitato che si ergeva sulla sommità del monte.

È verosimile che al loro tempo anche le edicole di Alburchia contenessero quadretti raffiguranti i defunti venerati come eroi.

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