Sicilia, Palermo, il mistero che non c’è sull’antico pozzo di piazza Edison… ma esiste una storia ancora tutta da scoprire

Il sottosuolo di Palermo cela storie e realizzazioni tecniche eccezionali, affascinanti, molte con secoli se non con almeno un millennio di vita. Basta citare la rete delle “Qanat” (قنات‎, Qanāt – visite per adesso sospese per l’epidemia Covid), condotte idriche sotterranee sviluppate e scavate soprattutto durante il dominio musulmano della Sicilia grazie a tecniche di origine persiana: l’acqua, bene prezioso per dissetarsi e per rendere rigogliose le colture, sin da epoche remote andava domata, incanalata per l’uso più proficuo. Gli islamici, originari di aree povere d’acqua, erano maestri in queste realizzazioni.

Nel caso che adesso sto per raccontarvi, ho conosciuto la realtà di un grandissimo e storico pozzo che si trova a Palermo, in piazza Thomas Alva Edison, praticamente accanto a via della Libertà.

Mi ci ha portato un caro amico e collega giornalista, Claudio Caruselli.

Claudio e il mio amico-cugino Danilo Moncada-Zarbo di Monforte, noto psicoanalista, entrambi palermitani Doc, mi hanno fatto scoprire diversi aspetti della capitale siciliana… anche di tipo enogastronomico (vero piacere del gusto, ma autentico attentato alla linea).

Il 17 dicembre con Claudio siamo su via della Libertà durante una lunga scarpinata da via Ausonia verso il Politeama (chilometri a piedi: e alla salute fa benissimo!), quando lui mi fa: “Guarda, saliamo su quella piazza che ti faccio vedere una cosa. Una sorpresa. Non te l’aspetti“.

In effetti è stato così. Assoluta novità.

É bastato salire una scalinata fino al livello di piazza Edison con al centro bei giardini curati, prato verde pareggiato, cestini per i rifiuti puliti e svuotati.

Il pozzo non è noto a molti palermitani pur essendo lì, in bella evidenza, a pochi metri dal trafficato viale cittadino, inserito in un quartiere edificato negli anni 30 grazie a piccole ville popolari, oggi mutato in luogo desiderato, con le villette non più popolari e molto quotate, “ben” abitato.

Davanti ai miei occhi, nella parte destra di piazza Edison (osservandola con spalle al viale), questa grande apertura nel terreno: una cancellata delimita il pozzo dalla forma quadrata, 12 metri per ogni lato. Man mano che si scende fino ai 22 metri di profondità massima del pozzo, le pareti si riducono in larghezza fino a 8,50 metri ciascuna. É come un imbuto a base quadrata.

Per scendere fino in fondo, fino all’acqua, si dovrebbe usare una scalinata con 95 gradini – ognuno alto 22 centimetri – disposti su quattro rampe e quattro tavolieri, originariamente ricavata proprio dalla rastrematura delle pareti.

Purtroppo il passaggio è impraticabile.

Le prime ipotesi storiche sull’antico pozzo di piazza Edison

Verso il 1940 Alfredo Salerno, professore, medico nonché appassionato di archeologia e speleologia, lo definì inizialmente come “Pozzo Sicano“, basandosi su presunte scritture incise sulle pareti di una galleria, quella che si apre sul fondo del pozzo e che corre orizzontalmente fino a un altro pozzo di ben più ridotte dimensioni.

Il professore Francesco Beguinot (Paliano, primo agosto 1879 – Napoli, 2 marzo 1953), orientalista dell’Università di Napoli (primo titolare della cattedra di Berbero in Italia), sottolineò addirittura che quelle incisioni potessero essere tipiche di popoli libici risalenti al III secolo a.C., quindi più recenti dei sicani. Doveva essere gente arrivata dal Nord dell’Africa come parte delle forze puniche inviate da Cartagine in Sicilia.

L’ipotesi libica fu duramente contestata dall’accademico palermitano, storico dell’arte e ingegnere Rosario La Duca (Palermo, 22 giugno 1923 – 23 ottobre 2008) che concluse la sua valutazione con un semplice ragionamento: popolazioni di cultura libica di quel periodo, quindi i cartaginesi guidati da Amilcare Barca che rimasero meno di un paio di anni in zona, sempre posti sotto assedio dai romani sul Monte Pellegrino; è impossibile che scendessero a valle e si dedicassero a un’impresa così impegnativa, anche nei tempi, per scavare questo gigantesco pozzo; avevano altre fonti da cui attingere acqua o, comunque, potevano dedicarsi a realizzazioni ben più piccole, molto più rapide da ultimare, sufficienti per l’approvvigionamento delle truppe.

La realtà storica sull’antico pozzo di piazza Edison e i suoi “simili” a Palermo

Le ipotesi più antiche sulle origini costruttive furono del tutto smontate, mentre ulteriori indagini riportano tutto almeno al XIV secolo e alle cave di pietra palermitane.

In più, non si tratta dell’unico pozzo, con queste caratteristiche, presente in città. Ne esistono altri due, uno di questi a Villa Barbera (via dei Nebrodi) un po’ più piccolo come apertura in cima (8 metri per lato che sul fondo diventano 4,50), ma un po’ più profondo (25 metri con scalinata da 158 gradini ognuno alto 18 centimetri, 10 rampe e 10 tavolieri), di impianto praticamente identico a quello di piazza Edison.

Tra il 1300 e il 1400 il pozzo di piazza Edison fu scavato nella roccia dai “pirriaturi” (o anche pitriaturi), i cavatori di roccia e gli scalpellini che lavoravano nelle cave locali di Calcarenite tufacea: l’acqua serviva sia per l’attività estrattiva che per consentire agli operai di avere acqua da bere a disposizione. Accanto all’utilizzo principale, il pozzo venne pure adoperato per irrigare i terreni agricoli, soprattutto agrumeti.

Proprio quelle rigogliose piante di agrumi ricoprirono totalmente il pozzo quando questo cadde in disuso tra 1700 e 1800 contemporaneamente all’esaurimento delle cave.

Piante di arance e limoni che, in vista della sistemazione di zona – all’alba degli anni 30 del 1900 per creare il Quartiere Littorio, denominato Quartiere Matteotti nel Dopoguerra – furono estirpate nel 1927 rivelando così, agli stupefatti operai e progettisti, la presenza del grande pozzo .

Purtroppo, come descritto per anni in articoli e convegni, il pozzo non è esplorabile, la scalinata è ingombra di vegetazione e pattume, spazzatura che compare anche sul fondo, affiorante dall’acqua.

Devo però ammettere che, rispetto a quanto ritratto negli anni precedenti in scatti di altri autori, oggi l’opera appare meno ingombra di rifiuti. In acqua sono pure cresciute delle piante di papiro. Comunque non è praticabile.

Nella galleria orizzontale (30 metri di lunghezza per 2 di larghezza) che parte dal fondo e che conduce a uno stretto pozzo secondario, oltre ai non chiari segni/incisioni che furono al centro delle precedenti teorie storiche, si trovano alcune scritte tracciate da chi, durante la Seconda Guerra Mondiale, utilizzò questo spazio sotterraneo come rifugio durante i bombardamenti aerei.

Uno degli ultimi grandi esploratori di questo sistema di raccolta delle acque, è il professore Pietro Todaro dell’Università di Palermo, esperto e studioso delle reti di accumulo e distribuzione delle acque, a cominciare dai sistemi palermitani. Lui stesso ha sottolineato che ancora bisogna comprendere l’epoca esatta dello scavo, chi commissionò il pozzo e tanti altri particolari compreso l’esatto funzionamento del pozzo in questione.

Una vicenda ancora da definire, come se la osservassimo con un obiettivo che non mette a fuoco l’immagine storica.

L’inserimento del pozzo in un percorso esplorativo sotterraneo archeologico-storico-geologico, come già avviene per alcuni tratti dei canali arabi della rete dei Qanat, sarebbe un ulteriore arricchimento dell’offerta turistica di Palermo. Ma non accade nulla…

Non c’è neppure una targa che racconti questo luogo, che ne esponga la funzione, neppure con un minimo di schema.

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