Edward H. White II, pilota del modulo di comando, Virgil I. (Gus) Grissom, comandante della missione e Roger B. Chaffee, pilota (da destinare poi al modulo lunare) sarebbero stati i primi ad andare nello spazio, in orbita bassa terrestre grazie alla capsula Apollo 1, la prima del Programma Apollo che diede poi il via alle missioni successive fino al primo atterraggio sulla Luna. Invece la tragedia era dietro l’angolo: il 27 gennaio 1967, nel corso di una serie di test sulla rampa di lancio numero 34 alla base di Cape Canaveral, scoppiò un incendio proprio nella cabina dell’equipaggio. I tre uomini morirono in maniera orribile.



Il vero e proprio lancio programmato doveva avvenire quasi un mese dopo, il successivo 21 febbraio.
Eravamo ancora proprio dei neofiti dei viaggi umani nello spazio. Pur con tutte le precauzioni prese, la tecnologia, se confrontata con quella odierna, era veramente primitiva. A cominciare dalle capacità dei computer in uso a quei tempi (oggi ben superati da qualsiasi iPhone). Ma anche i cablaggi, i sistemi di sicurezza e controllo. Tutto il complesso, pur avveniristico per gli anni 60 dello scorso secolo, oggi sarebbe valutato inammissibile. Era però il meglio della tecnologia di 55 anni fa.
Da sviluppare ulteriormente i protocolli di lancio, di verifica, dei test, tutto un processo che venne perfezionato nei decenni. Tutta tecnologia affinata nel tempo e che ebbe immediate ricadute nella quotidianità e nella costruzione e sviluppo di un grande settore, quella dell’industria dello Spazio, oggi fatta di grandi, medie e piccole aziende anche in Italia.
Ma tutto questo è stato costruito anche su episodi nei quali persone hanno perso la vita.
L’equipaggio dell’Apollo 1 composto dal pilota Comandante Gus Grissom, dal pilota Roger Chaffee e dal pilota Maggiore Ed White, ha rappresentato il massimo sacrificio ma, se lo ricordate, non fu l’ultimo nella storia dei lanci verso lo spazio.

A ricordare i tre uomini, anche in un post Facebook, è stato Buzz Aldrin (Edwin Eugene Aldrin Jr.), ingegnere e astronauta della missione Apollo 11, colui che camminò sulla Luna insieme a Neil Armstrong:
“55 years ago today, we tragically lost the crew of Apollo 1 – Gus Grissom, Roger Chafee, and Ed White when a launch pad fire claimed their lives. They were true patriots. Their ultimate sacrifice made us even more determined to step foot on the Moon. We must never forget them”.
“55 anni fa oggi, abbiamo tragicamente perso l’equipaggio dell’Apollo 1: Gus Grissom, Roger Chafee e Ed White, quando un incendio sulla rampa di lancio ne ha causato la morte. Erano veri patrioti. Il loro ultimo sacrificio ci ha reso ancora più determinati a mettere piede sulla Luna. Non dobbiamo mai dimenticarli”.
Le cause alla base dell’incidente mortale
Le indagini iniziarono immediatamente. In una sua ispezione e rilevazione ci si mise anche una commissione del Congresso statunitense che agì in parallelo all’Apollo 204 Accident Review Board coordinato dalla NASA.
Quel che si apprese fu che essendo una prova di pre-lancio, quindi con il razzo vettore Saturn 1B non riempito di carburante, le misure e il personale di sicurezza non erano stati tutte attivati perché il pericolo era stato giudicato di basso livello nel corso del test.
Cosa andò storto e rese inevitabile la morte dei tre uomini?
L’incendio venne innescato da un problema elettrico che ne fu la scintilla iniziale in una sezione dei 50 chilometri (!) di cavi nel veicolo spaziale: un cavo usurato che si era spellato per la chiusura e apertura continua di un portello cui era connesso/incernierato. La scintilla divenne fiamme perché il cavo non più isolato era vicino a una delle giunzioni del sistema di raffreddamento che stava emettendo vapori infiammabili della sostanza utilizzata.
Inoltre, l’incendio ebbe facile via di diffusione grazie a due elementi decisivi: per il materiale combustibile in nylon e per l’atmosfera che in cabina era ad alta pressione ed era carica di ossigeno puro.
Altra complicazione mortale: l’impossibilità di aprire il portellone della cabina proprio per l’alta pressione atmosferica interna alla capsula.
Le tute dei tre astronauti furono trovate parzialmente fuse ma, come rivelarono le autopsie, i tre soffocarono per eccesso di monossido di carbonio e non perché bruciati: quindi, per il conseguente arresto cardiaco. Tutto questo vuol dire pure che passò non poco tempo dall’inizio dell’incendio alla morte, anche se l’ossigeno ad alta pressione velocizzò il diffondersi delle fiamme.

Il proseguimento del Programma Apollo
Dopo la determinazione delle cause dell’incidente, al Programma Apollo occorsero circa 20 mesi per ritornare operativo. C’erano da risolvere quegli aspetti critici che avevano causato la morte del primo equipaggio. A essere testati e cambiati in molti componenti furono sia la capsula di lancio e ritorno (la vera e propria “navetta spaziale”), ma anche il LEM, il modulo lunare che sarebbe dovuto servire per atterrare sulla Luna e per ripartire dal nostro satellite.
I cavi elettrici furono scelti con rivestimento maggiorato risolvendo altre 1.407 criticità che questi presentavano in molti passaggi lungo il veicolo spaziale. Venne pure diminuita la pressione atmosferica interna alla capsula e il portellone fu reso facilmente apribile anche dall’interno. Sostituiti con materiali non infiammabili quelli che potevano prendere fuoco.
… e questa è solo una parte dei problemi risolti dopo l’incidente e le indagini.
Il razzo Saturn 1B che doveva portare in orbita la missione Apollo 1, fu utilizzato per l’Apollo 5 che servì pure da primo collaudo automatico/telecomandato trascinandosi in volo anche il LEM.
David R. Scott, James A. McDivitt (comandante) e Russell L. Schweickart che costituivano l’equipaggio di riserva dell’Apollo 1, riuscirono ad andare nello spazio con la missione Apollo 9 (3-13 marzo 1969), quella che voleva testare il volo in orbita della capsula insieme al LEM e il passaggio tra i due moduli collegati da un tunnel (McDivitt e Schweickart furono i primi astronauti in orbita terrestre a passare da un mezzo spaziale a un altro).
Furono però preceduti dal comandante Walter Schirra, dal pilota CSM Donn Eisele e dal pilota LEM Walter Cunningham, l’11 ottobre 1968 nella missione Apollo 7, la prima con equipaggio umano a bordo dopo l’incidente del 1967.
Un commento Aggiungi il tuo