Lo scudo termico della navetta spaziale Orion ha un diametro di circa 5 metri. Questa difesa del veicolo affronterà l’attrito con l’atmosfera al rientro sulla Terra domenica 11 dicembre. Questo vuol dire che dovrà resistere a temperature di quasi 2.800°C, circa la metà di quelle misurabili sulla superficie del Sole. Tanto per dare le dimensioni del fenomeno, il modulo Orion attraversando l’atmosfera terrestre fino all’ammaraggio nell’Oceano Pacifico (previsto per le 18,40 ora italiana), dissiperà tanta energia meccanica che l’equivalente potrebbe essere utilizzato per alimentare in un giorno ben 5.000 famiglie medie degli Stati Uniti. L’operazione di rientro sarà in diretta anche sul canale Youtube della Nasa (due finestre video qui sotto, una di queste tutta sull’ammaraggio nell’Oceano Pacifico – tutte le foto qui pubblicate sono di proprietà e concessione NASA).
Lo schermo protettivo è fatto da meno di 200 blocchi in Avcoat: è stata scelta una conformazione a nido d’ape, fabbricata in fibra di vetro/carbonio flessibile con traliccio al titanio, riempita con una particolare resina epossidica. Ogni cella è stata attaccata alla superficie in fibra di carbonio dello stesso scudo termico.
La soluzione tecnica, compresa quella del design con angoli smussati, insieme al sistema TPS di protezione termica del modulo abitativo, sono stati ideati dallo staff di ingegneri della Lockheed Martin, tra questi Joe Bomba e Damon Erb che hanno sottolineato come stiano affrontando sfide tecnologiche mai viste prima. Tanto per capirsi, anche la resistenza dello scudo termico e della protezione dell’abitacolo per i futuri astronauti della missioni Artemis affronteranno adesso il loro collaudo definitivo.
Il rallentamento della navetta non sarà affidato solo ai motori. Per non scontrarsi a velocità di crociera nello spazio con l’atmosfera, il veicolo utilizzerà il metodo di rientro graduale “a saltelli”, lo “skip reentry”. In breve, la navicella toccherà più volte l’atmosfera in modo da rallentare evitando così un unico impatto a massimo attrito e, quindi, non dovendo affrontare temperature ancora più alte dovute a una discesa ben più rapida.
Questo metodo ci è familiare e somiglia a quando buttiamo orizzontalmente una pietra piatta sulla superficie del mare o di un lago per farla rimbalzare più volte prima che affondi.
Allo stesso modo Orion avrà i primi impatti con la parte più esterna dell’atmosfera terrestre sfruttando angoli di incidenza particolari, quelli che la rallenteranno e la rimanderanno verso l’esterno. Il processo continuerà dall’iniziale velocità pari a 11 chilometri al secondo a rapidità sempre più basse fino al raggiungimento di quella voluta per un rientro sicuro e l’ammaraggio finale nelle acque dell’Oceano Pacifico. Questo metodo consente pure di calcolare al meglio e con maggiore precisione la rotta di rientro e il punto in cui Orion toccherà la superficie marina.

Le fasi del ritorno di Orion sulla Terra
– Prima di tutto la capsula Orion deve sganciarsi dal modulo di servizio costruito dall’Agenzia spaziale europea, la parte del sistema viaggiante che contiene i propulsori, il motore, i pannelli solari e fornisce l’energia a tutto il complesso. Questa operazione dovrebbe avvenire prima delle ore 18 in Italia.

– Rientro a salti nell’atmosfera, operazione che dovrà essere ultimata nell’ambito dei successivi 40 minuti circa. È una particolare manovra che oltre a rallentare il veicolo e sottoporlo a minor stress termico, consentirà decelerazioni meno intense, a minor G negativo. Perfetto per i futuri equipaggi umani sottoposti a minor sforzo (due decelerazioni da 4 G ciascuno, invece che una sola molto più intensa). Il vero e proprio rientro in atmosfera avverrà alla velocità di 40.000 km/h.

– La parte più rovente del rientro vedrà il sistema di paracadute frenanti protetto nell’alloggiamento superiore in titanio. Successivamente, tre paracadute iniziali apriranno il vano e inizierà la parte finale discendente.
– A una quota di 7.600 chilometri si apriranno i paracadute drogue in materiale ibrido Kevlar/Nylon che rallenteranno la discesa fino alla velocità di 160 km/h.
– A circa 2.900 metri dal suolo, questi paracadute si distaccheranno per lasciare spazio a tre paracadute pilota realizzati sempre in materiale ibrido Kevlar/Nylon. Successivamente si apriranno i tre paracadute principali, ognuno lungo 80 metri dal punto di attacco alla capsula alla vela vera e propria: porteranno Orion a una velocità massima di discesa pari a poco oltre una trentina di chilometri orari fino all’ammaraggio sul Pacifico, al largo delle coste della California, su una latitudine corrispondente a quella di San Diego.
L’ammaraggio dovrebbe avvenire intorno alle 18,40 ora italiana, ore 12,40 della costa orientale statunitense. Il recupero della navetta sarà completato dalla Marina degli Stati Uniti insieme a un gruppo di recupero del Kennedy Space Center della NASA: tecnici, militari e sommozzatori partiranno a bordo di gommoni dalla nave USS Portland poco prima dell’ammaraggio; trascineranno il cavo che servirà per agganciare la navicella in modo da trainarla nell’apposito alloggiamento a bordo della nave.
Questa volta la navetta Orion è vuota, ma l’operazione è identica a quella che sarà messa in atto con i futuri equipaggi di astronauti.
Chi ne ha memoria vedrà rivivere quanto avveniva con le “antiche” missioni Apollo anche se la Orion è frutto di decenni di evoluzione, utilizza materiali e tecniche estremamente diversi, ha una grandezza superiore. Siamo alle prove generali che porteranno a missioni per la costruzione di insediamenti lunari e a viaggi verso Marte (confesso che non so se riuscirò mai a vedere la prima missione verso il pianeta rosso).
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