Lo spirito di miseria, cinismo, furbizia e rassegnazione del dopoguerra napoletano si accomuna all’incertezza, allo smarrimento, al crollo di ideologie e metodi che oggi rendono tutti senza una meta certa. Il Sindaco del Rione Sanità, opera teatrale scritta da Eduardo De Filippo, in parallelo con il mondo d’oggi, due realtà nate da profonde crisi. Oggi sarebbe migliore un Mondo tondo tradizionale o quadrato? Mancano appigli per il rispetto e per i principi che scivolano via dalla sfera.


Vorrei che il mondo fosse meno rotondo e un poco più quadrato perché vedete sul rotondo le cose scivolano più facilmente e vanno perdute cose come la morale il rispetto verso gli altri la solidarietà e lasciatemelo dire anche i ricordi
da Il Sindaco del rione Sanità, scritta da Eduardo De Filippo nel 1960
E tutto questo nunn’è proprio na cosa bella.


La commedia raccontata in poche parole, il “sindaco” Barracano e i suoi desideri
Antonio Barracano, personaggio capocamorra in quest’opera di Eduardo, è l’esempio dell’emersione dalla miseria a ogni costo, anche corrompendo, riuscendo a far stravolgere in suo favore un processo per omicidio che lo vedeva colpevole. Capo indiscusso del rione nonché giustiziere fuori dalla giustizia. È un punto d’equilibrio tra le parti contrapposte, le liti, le storie di sopravvivenza anche violenta.
Barracano è anche un rassegnato alla situazione disastrosa di una società che non riesce a sollevarsi dopo il Secondo Conflitto Mondiale. È un personaggio che porta dentro di sé un dualismo incredibile: uomo dalla moralità arcaica e uomo con un ambiguo rapporto tra legge e giustizia. Una figura necessaria per il popolo che si sente distante dalle leggi e dalla Giustizia di Stato, un’ufficialità che garantirà loro di perdere sempre in qualsiasi contrapposizione. Possibile che sia la vendetta l’unico mezzo per avere giustizia? Il caos e l’anarchia sarebbero assoluti, così Antonio Barracano, il Sindaco del Rione Sanità, fa da punto fermo, da riferimento anti dissoluzione, alla ricerca di un ordine perduto.
Sia chiaro, non è assolutamente un elogio al fuorilegge e ai suoi metodi, ma un amaro e atroce ritratto di quella società napoletana che ancora oggi non ha trovato soluzione.
Antonio è perfettamente cosciente di quel che gli accade intorno, dello sfascio diffuso, pur partecipandovi per la sopravvivenza propria e di quello che rappresenta un ordine sociale che dovrebbe fare meno danni possibili. Non vuole imporsi con il terrore, ma deve agire: una veste parecchio diversa quindi dal classico camorrista.
Vuole garantire una forma di giustizia, essere sostegno di quanti si rivolgono a lui, diffondere la morale e trasformare il mondo in qualcosa di meno rotondo, un poco più quadrato, nel tentativo di riappacificare parti contrapposte.
Da qui la vicenda in cui agisce nel tentativo di frapporsi fra un padre e un figlio, Arturo e Rafiluccio Santaniello, prima che si uccidano a vicenda. Un contesto che invece lo vedrà cadere vittima in una morte che lui voleva evitare ad altri grazie al compromesso della sua legge.
Antonio Barracano vuole rappresentare la ragione che vince la passione, la violenta voglia di vendetta di Rafiluccio: intende far valere principio di realtà affinché sostituisca il principio di piacere.
La miseria umana però ha il sopravvento e la morte arriva, anche se per lui, non per uno dei contendenti, grazie alla lama di un coltello che gli penetra nelle viscere.
Non voglio scrivere di più sullo svolgimento di quest’opera: leggetela o andate a caccia di video.
ANTONIO La più grande scoperta non è stata la Radio, la Televisione, l’atomica, lo Sputnik… Don Artu’, la scoperta più grande è stata la carta.
– ARTURO (divertito) Sentiamo.
ANTONIO Quante cose si fanno con la carta?
– ARTURO (sempre divertito) Eh… quante cose…
ANTONIO Voi mi direte: le cambiali, i contratti, la carta bollata, libri giornali…– ARTURO Passaporti, licenze, manifesti…
dialogo tra Arturo Santaniello e Don Antonio Barracano
ANTONIO Biglietti di banca.
– ARTURO Ah, sì… il denaro…
ANTONIO Ma si fa pure un’altra cosa.
– ARTURO Che cosa?
ANTONIO C’è stato uno, un uomo certamente geniale… chi sa chi è stato… che ha tagliato un pezzo di carta quadrata, ha piegato i quattro angoli, tre l’ha incollati e uno l’ha lasciato aperto. Su quest’ultimo, poi, ci ha passato col pennello due striscette di una carta gommata che si asciuga immediatamente e che diventa attaccaticcia di nuovo soltanto quando ci si passa sopra la saliva con la lingua.
– ARTURO La busta!
ANTONIO Diventa busta quando prima di chiuderla ci si mettono dentro i biglietti di banca che anche sono di carta. Don Artu’: senza la busta si ferma pure la bomba atomica. Non c’è bisogno dell’ingegnere e dell’architetto. Questa gente qua conosce il codice civile a memoria; e quando arrivano a incatenare un povero ignorante in materia che vuole costruire, allora lo lasciano quando l’hanno portato diritto diritto al fallimento o al manicomio. E campano bene perché l’ignoranza è assai. E stanno sempre a posto legalmente, perché «la legge non ammette ignoranza». E non è giusto. Perché, secondo me, allora, la legge non ammette tre quarti di popolazione. Ma se, per esempio, si cambiasse la frase e si dicesse: «la legge ammette l’ignoranza», vi garantisco che più della metà di questi signori farebbero sparire la laurea e diventerebbero immediatamente ignoranti.
[…]
ANTONIO […] E la legge non può essere elastica. Il codice penale tiene 266 pagine e 734 articoli. La gente carogna come Giacchino sapete come dice? «Approvata la legge, trovato l’inganno». E un magistrato che può fare? Queste sono le prove, questi sono i documenti e questi i testimoni. Anche se come uomo lui è convinto della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, la sentenza deve rispondere come un totale di un’operazione di matematica. La legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano tra di loro… come vi posso dire… ecco: è l’astuzia che si mangia l’ignoranza. Io difendo l’ignoranza.
– FABIO […] trent’anni rappresentano la vita di un uomo, e noi li abbiamo spesi per proteggere una rete di delinquenti che fa vergogna al nostro paese; abbiamo rischiato la galera, io e voi, non una ma milioni di volte, per agevolare una classe di uomini spregevole e abietta, che è poi la vera piaga di una società costituita.
dialogo tra il medico Fabio Della Ragione e Don Antonio Barracano
ANTONIO La vera vittima, volete dire.
– FABIO Vittima?
ANTONIO È naturale. Perché si tratta di gente ignorante, e la società mette a frutto l’ignoranza di questa gente. Professo’, sui delitti e sui reati che commettono gli ignoranti si muove e vive l’intera macchina mangereccia della società costituita. L’ignoranza è un titolo di rendita. Mettetevi un ignorante vicino e campate bene tutta la vita. Ma l’ignorante ha capito. Ha capito che chi «tiene santi va in Paradiso», e dice: «Se vado in tribunale per appianare questa vertenza, con tutto che ho ragione, può darsi che la parte avversaria o si serve dei “santi” che probabilmente tiene in paradiso, o presenta tre o quattro testimoni falsi…» I quali si pagano, lo sapete: stanno all’entrata del tribunale stesso: si affittano .«Non dire falsa testimonianza!» questo l’ha detto Gesù Cristo. Per dirlo lui vuol dire che si faceva… e si fa ancora, prufesso’! (imita il tono severo di un magistrato) «Giurate di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità», e i quattro fetentoni giurano. E allora c’è il mezzo, dite voi: si attaccano di falso. Prove non ce ne sono, e se ce ne sono spariscono perché ‘e denare teneno ‘e piede, ‘e denare teneno ‘e rote e l’ignorante non solo perde la causa ma si piglia pure quattro querele per diffamazione. Ora, mò, l’ignorante invece di correre il pericolo di andare in tribunale va direttamente, di persona, dalla parte avversaria per farsi giustizia con le sue mani. Lui va carcerato lo stesso, è vero, ma la parte avversaria se ne va al camposanto. Professo’, e io non sono un assassino? Giacchino, ‘o guardiano d’ ‘a tenuta Marvizzo chi l’ha ucciso, non l’ho ucciso io? E la ragione la conoscete?
– FABIO No, e non ve l’ho mai chiesta.
ANTONIO Se vi dico che la ragione era dalla mia parte mi dovete credere. Avevo diecimila volte ragione. Quella carogna doveva morire. Mi creai tutti gli alibi, presentai otto testimonianze false. Fui assolto per legittima difesa, e oggi sono incensurato e tengo il porto d’arme.
– FABIO E che significa?
ANTONIO Che chi tiene santi, va in paradiso, e chi non ne tiene…
– FABIO … va all’inferno.
ANTONIO No, viene da me.
Il personaggio di Antonio sembra agire come quello del Professore Don Ersilio Miccio, altro ruolo che fu di Eudardo ma nel film a episodi L’oro di Napoli diretto da Vittorio De Sica.
Il professore, al centro del primo episodio del film, è il confidente della gente del quartiere, è rispettato, quasi un padre per tutti: insegna ai popolani come difendersi dalle prepotenze degli arroganti e lui stesso agisce contro questi ultimi, pone quindi riparo ai torti, protegge la morale, dà lezioni di vita.
Realtà umane e personaggi che sono stati del tutto reali nel territorio napoletano, tanto che lo stesso Eduardo, riferendosi al personaggio di Antonio Barracano, parlò di un certo signor Campoluongo, esistente a Napoli:
Si chiamava Campoluongo. Era un pezzo d’uomo bruno. Teneva il quartiere in ordine. Venivano da lui a chiedere pareri su come si dovevano comporre vertenze nel rione Sanità. E lui andava. Una volta ebbe una lite con Martino ‘u Camparo, e questo gli mangiò il naso. Questi Campoluongo non facevano la camorra, vivevano del loro mestiere, erano mobilieri. Veniva sempre a tutte le prime in camerino. “Disturbo?” chiedeva. Si metteva seduto, sempre con la mano sul bastone. “Volete ‘na tazza ‘e cafè?”. Lui rispondeva “Volentieri”. Poi se ne andava.
Eduardo De Filippo su Vita di Eduardo di Maurizio Giammuso, Mondadori – Milano 1993
La prima assoluta de Il Sindaco del rione Sanità fu il 9 dicembre 1960 al Teatro Quirino di Roma. La versione teleteatrale andò in onda sulla Rai il 29 aprile 1964 e riprogettata-ritrasmessa nel 1979. In entrambe a interpretare i diversi personaggi, nomi noti del teatro, della televisione e del cinema dell’epoca, l’interprete principale era Eduardo De Filippo. Nella seconda versione partecipò anche Luca De Filippo figlio di Eduardo. Il grande artista morì nel 1984 e dodici anni dopo di questa sua opera se ne fece una versione cinematografica con Anthony Quinn come protagonista. Altra versione per il cinema nel 2019, realizzata dallo sceneggiatore e regista teatrale/cinematografico Mario Martone.
Il pensiero di Eduardo andò ben oltre i confini napoletani, campani e italiani grazie alla sua celebre produzione: Napoli milionaria (1945), Questi fantasmi (1946), Le bugie con le gambe lunghe (1947), La grande magia (1948), Le voci di dentro (1948), La paura numero uno (1951), Mia famiglia (1953), Bene mio, core mio (1956), Sabato, domenica e lunedì (1959), Il sindaco del rione Sanità (1960), L’arte della commedia (1964), Il contratto (1967), Il monumento (1970), Gli esami non finiscono mai (1973).