59° Rapporto Censis, italiani “nell’età selvaggia, del ferro e del fuoco”, poveri, sfiducia nella sanità, delusi dalla politica, attratti dagli autocrati

Cosa siamo diventati? Il ritratto italiano che viene fuori dal 59° Rapporto Censis somiglia in maniera impressionante alle tendenze che caratterizzarono il nostro Paese dopo la Grande Guerra, periodo economico e sociale che consegnò l’Italia al totalitarismo.

Economia in tragica flessione, povertà nelle famiglie, politica deludente, desiderio di delegare ad autocrati le decisioni nazionali, tendenza molto somigliante a quella che nell’Italia post 1918 di piena crisi, con il massimo nel Biennio Rosso (1919-1920), spianò la strada a Mussolini nella disperata ricerca di una rivincita sociale e di categoria.
Stesse pulsioni che portarono Hitler al potere in Germania.
Le conseguenze di tutto questo le conosciamo, sia a livello sociale che nelle persecuzioni politiche e razziali, nel dare il via alla Seconda Guerra Mondiale.

Tutte le tabelle presenti in questa pagina sono cliccabili per ingrandirle.

Ecco quella che il Censis definisce l’attuale “età selvaggia, del ferro e del fuoco”:

L’Italia nell’età selvaggia

“Ci siamo inoltrati nell’età selvaggia, del ferro e del fuoco. Il 30% degli italiani adesso ha una convinzione inaudita: le autocrazie sono più adatte allo spirito dei tempi. Il Grande Debito inaugura il secolo delle società post-welfare. L’Italia spende più per interessi (85,6 miliardi) che per investimenti (78,3 miliardi): superano dieci volte le risorse destinate alla protezione dell’ambiente (7,8 miliardi). Il lungo autunno industriale rischia di scivolare nel gelido inverno della deindustrializzazione (non basta l’antidoto del riarmo). E sale la febbre del ceto medio, nonostante l’arte arrangiatoria degli italiani. Ecco la vertigine e la speranza di un popolo che, con i barbari alle porte, non prende alloggio al «Grand Hotel Abisso»: non si abbandona alla profezia dell’apocalisse e sceglie il piacere”.

{…] Gli italiani hanno una precisa reazione di fronte a possibili catastrofi, a una possibile guerra con risvolti atomici, “non si abbandonano alla seduzione della corriva litania della catastrofe, quasi con compiaciuta rassegnazione, né si lasciano persuadere dalla profezia dal sapore decadente dell’apocalisse dietro l’angolo. Il piacere non è cercato per esorcizzare nel proprio microcosmo i mali del mondo: è inscritto nel nostro stile di vita come espressione di una connaturata vocazione edonistica. Re dei piaceri è il sesso, liberato dalle antiche censure. I rapporti sessuali tra le persone di 18-60 anni sono molto frequenti. I performanti fanno sesso ogni giorno (sono il 5,3% del totale), gli attivi hanno rapporti due o tre volte alla settimana (29,9%), i regolari una volta alla settimana (27,3%), i saltuari con una cadenza tra il mensile e il quadrimestrale (21,9%), gli occasionali una volta ogni cinque o sei mesi (7,1%) e gli astinenti (chi non fa mai sesso) sono l’8,5%. Insomma, quasi due terzi degli italiani tra i 18 e i 60 anni (il 62,5%) hanno una vita sessuale molto intensa, contrassegnata da un ritmo settimanale”.

[…] “Nel mondo a soqquadro non è l’economia il vero motore della storia. Lo sono le pulsioni antropologiche profonde: antichi miti e nuove mitologie, paure ancestrali e tensioni messianiche, veementi fedi religiose e risorgenti fanatismi ideologici, culture identitarie radicali, desideri di riconoscimento inappagati, suggestioni della volontà di potenza”.

[…] “Ci siamo inoltrati in un’età selvaggia, del ferro e del fuoco, di predatori e di prede. E il grande gioco politico cambia le sue regole, privilegiando ora la sfida, ora la prevaricazione illimitata”.

(estratto dal capitolo «La società italiana al 2025» del 59° Rapporto Censis)

Per nulla rassicurante questo quadro italiano depresso, così immerso in un amaro e quasi repellente brodo nostrano, europeo e mondiale.

Un universo italiano poco partecipativo, di “lavoro invecchiato, giovani esclusi, produttività stagnante” e con una realtà sociale che vede una pronunciata erosione dei redditi e dei risparmi, altro fattore che ha fatto crescere a dismisura le differenze fra chi ha un ottimo potere economico e chi deve lottare per far quadrare i conti ogni fine mese.

Italiani disillusi dalla politica italiana, amareggiati nei confronti di quella europea dell’UE che per il 62% della gente non riesce a incidere sullo scacchiere mondiale, Unione che per 53 italiani su cento è destinata ad avere solo ruoli marginali nel Mondo.

Astensione al voto per le Politiche nazionali salita a quota 36,1% (nel 1979 era solo al 9,4%), dimezzata la quota di persone che ascoltano dibattiti politici, scesa in vent’anni dal 21,1% al 10,8% (ormai i litiganti che urlano dagli schermi televisivi non attraggono più tanto) e sempre nel periodo 2003-2023 si è dimezzata la popolazione che partecipava ai cortei (dal 6,8% al 3,3%).

La risposta è quel sentimento/desiderio oggi molto diffuso, quello di delegare, di consegnare il cuore delle decisioni agli autocrati per non dover pensare più a questa deludente politica.
Ed ecco il fascino, se così possiamo definirlo, per simil-dittatori, per uomini-donne forti, soprattutto per quelli che ben conosciamo, che dominano la politica globale. Sale molto la quota degli ammiratori di Papa Leone XIV.

Del resto il federalismo, i grandi movimenti, si sono esauriti. Anche le istanze quotidiane si esauriscono in istanti emozionali e non vanno oltre. I problemi rimangono irrisolti, spesso neppure affrontati e in grande maggioranza la gente non si sente preparate al futuro.

Il problema economico è grande con un debito pubblico che tra il 2001 e il 2024 è cresciuto dal 108,5% al 134,9% raggiungendo a settembre 2025 la cifra record di 3.081 miliardi di euro: solo Ungheria e Grecia ci superano nella classifica europea.

Negli ultimi 17 anni abbiamo subito ben sei recessioni. Una situazione spaventosa se si pensa che nei precedenti 60 anni ci sono stati solo due episodi di recessione, la crisi petrolifera del 1973-1974 e la crisi finanziaria del 1993 che fu l’apoteosi di una crisi già iniziata nel 1992, con svalutazione della lira, l’uscita dal Sistema Monetario Europeo, le speculazioni finanziarie, debito pubblico in picchiata, Tangentopoli ecc.

Famiglie e giovani nel ritratto del 59° Rapporto Censis

Il bilancio tracciato dal 59° Rapporto Censis evidenzia come a perdere la maggiore fetta di ricchezza sia stato il ceto medio e calano drammaticamente le piccole aziende (da 3,4 milioni a 2,8), quelle fino a cinque dipendenti e che una volta erano parte vitale dell’ossatura economica italiana: in vent’anni sono scese dal rappresentare il 17,8% del Pil nel 2004 al 14% del 2024.

Volendo rappresentare la ricchezza nazionale andata perduta come una torta divisa in dieci fette, il 50% delle famiglie più povere (le prime cinque fette) ha visto diminuire la propria ricchezza del 23,2%.
Le famiglie distribuite tra il sesto e l’ottavo decimo di torta hanno subito una riduzione del patrimonio iniziale tra il 35,3% e il 24,3%.
Per quelle del nono e decimo spicchio la contrazione di ricchezza è stata del 17,1%.
Solo il 10% composto dalle famiglie più ricche ha visto crescere la propria ricchezza del 5,9%.
Chiara rappresentazione come la categoria di mezzo, il ceto medio, abbia subito le peggiori perdite.

Sempre a proposito di forza economica, i numeri della rilevazione evidenziano come nella prima parte del 2025 il 60% della ricchezza nazionale sia nelle mani di 2,6 milioni di famiglie, quelle che nella torta della ricchezza stanno nella decima e più ricca parte.
Focalizzando questa parte sociale con un microscopio economico si nota come il 48% della ricchezza sia in mano a 1,3 milioni di famiglie rappresentando il 5% di quelle più economicamente potenti.

Guardando invece il lato opposto della nostra società, i più poveri, questi dal 2011 al 2025 hanno visto crollare la loro forza economica dall’8,7% al 7,3%.

Il 59° ritratto dell’Italia e degli italiani analizza attentamente i sentiment dei giovani e il risultato non è per nulla consolante.
Ragazze e ragazzi sono convinti che la scuola non fornisca basi adeguate per la loro preparazione al futuro, si diffonde l’uso dell’Intelligenza Artificiale e quasi tre quarti degli studenti delle superiori sottolinea che la utilizza per studio o per attività quotidiane. Molti dei giovani considerano l’IA una competenza fondamentale per il futuro. La sfiducia nel “futuro attraverso lo studio” e la ricerca di alternative come l’Intelligenza Artificiale messe insieme fanno intuire come i giovani non considerino più la scuola come un ascensore sociale, quindi vanno alla ricerca di altri strumenti di adattamento.

Una situazione che si incastra bene con un sentimento diffuso fra la gente, una generalizzata sfiducia nello Stato e nelle istituzioni, un sentore che diventa forte preoccupazione quando si inquadrala Sanità nazionale: un’altissima percentuale di italiani ha paura di non poter contare su giusti servizi sanitari e assistenziali se dovessero piombare in situazioni di non autosufficienza.

Comunque, visto che si è costretti a stringere la cinghia, in quale settore risparmiano gli italiani?
Si risparmia nella cultura, nell’acquisto di libri e affini, tanto che nelle famiglie la cosiddetta spesa culturale è scesa di oltre il 30% negli ultimi vent’anni.

Gli immortali. L’Italia continua a invecchiare rapidamente. Le persone dai 65 anni in su rappresentano il 24,7% della popolazione (14,6 milioni di persone): erano il 18,1% nel 2000 (10,3 milioni) e il 9,3% nel 1960 (4,6 milioni). L’aspettativa di vita è arrivata a 85,5 anni per le donne e 81,4 per gli uomini: circa 5 mesi in più solo nell’ultimo anno. E i centenari, 594 nel 1960, diventati 4.765 nel 2000, oggi sono 23.548. Nel 2045 le persone dai 65 anni in su saranno aumentate di quasi 4,5 milioni e raggiungeranno i 19 milioni (il 34,1% della popolazione). Il desiderio di prolungare l’esistenza sfuggendo alle malattie è la regola che accomuna la nuova generazione di anziani. Una tendenza a vivere come eterni adulti, senza limitazioni legate all’avanzare dell’età. Con la consapevolezza di custodire e trasmettere in eredità risorse, non solo materiali, di cui le giovani generazioni non potranno godere in ugual misura.

(dal 59° Rapporto Censis)

(cliccare sulle immagini in basso per ingrandire le tabelle)

59° Rapporto Censis, mercato del lavoro che invecchia

È vero che cresce il numero di occupati, sono 833.000 in più nel biennio 2023-2024, ma fra loro primeggiano italiani con 50 anni e più, ben 704.000, l’84,5% di tutti i nuovi occupati.

Tendenza confermata nei primi dieci mesi del 2025 con i suoi 206.000 occupati in più rispetto allo stesso periodo del 2024, ma sempre in gran parte lavoratori più anziani rispetto a tutti gli altri. Infatti calano i 35-49 anni con un -96.000 pari al -1,1%, diminuzione maggiore fra coloro che hanno meno di 35 anni, con -109.000 occupati, pari al -2%.

La drammaticità della situazione viene rimarcata soprattutto dalla crescita degli inattivi, coloro che neppure lo cercano un lavoro, fra i giovani: nei primi dieci mesi del 2025 sono aumentati di +176.000 unità, pari a +3%.

Lo stesso lavoro in quanto tale appare meno efficiente e produttivo visto che a fronte di un aumento nel numero degli occupati pari al +3,7% e alla crescita delle ore lavorate del +5,3%, il PIL invece cresce solo dell’1,7%.
Conseguenza: : -2,0% il valore aggiunto per occupato e -3,5% il valore aggiunto per ora lavorata.

Solo l’automazione del lavoro in Italia fa balzi in avanti, tanto da farci balzare alla 14ma posizione mondiale proprio per l’intensità di automazione nei processi produttivi: il numero di robot installati in rapporto al numero di addetti è oggi superiore alla media europea, statunitense e asiatica.
L’Italia, con oltre 10.000 nuove installazioni robotiche, è al sesto posto nel mondo per numero di robot industriali installati nel 2023.

59° Rapporto Censis, la produzione industriale cala, ma non quella delle armi

L’industria in generale non se la passa bene da 32 mesi, periodo che per questo comparto ha segnato un costante calo produttivo, in particolare la produzione manifatturiera è andata indietro facendo segnare un -1,6% nel 2023 e un -4,3% nel 2024, quindi una tendenza negativa più pronunciata, ma anche i primi nove mesi del 2025 hanno fatto registrare un ribasso pari a -1,2%.

Vanno indietro tessile e abbigliamento -11,8% settore che ha la performance peggiore se confrontato con i mezzi di trasporto -10,6%, la meccanica -6,4%, la metallurgia -4,7%, la farmaceutica -1,7%.
Elettronica, alimentare, farmaceutica, legno e carta danno segni di inversione nel 2025, quindi si stanno affacciando verso una situazione positiva.

Nei primi nove mesi del 2025 il comparto della fabbricazione di armi e munizioni ha segnato un +31,0%, quindi fortissimo incremento.

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