Sciacca tra XV e XVI secolo fu teatro di lotte fino al sanguinoso conflitto tra le famiglie Luna e Perollo coinvolgendo Grifeo, Tagliavia, Ventimiglia, Peralta, Amato e molti altri casati

Parte prima – Come in ogni grande tragedia, anche per quello che poi sarebbe stato etichettato come “il famoso caso di Sciacca”, il momento primo scatenante riguardò un matrimonio combinato, senza amore, tipico delle alleanze tra famiglie per rafforzare poli di potere. Immaginatevi lo scenario in Sicilia, tra XV e XVI secolo, con l’aggiunta di una vasta lotta per il controllo dell’Isola. La morte di Re Martino I di Sicilia “il Giovane” (sovrano dal 1401 al 1409), la fine anche del padre Martino “il Vecchio”, Re di Aragona, Valencia, Sardegna e Maiorca, Re titolare di Corsica, Conte di Barcellona, Rossiglione, Cerdagna ed Empúries, primo Duca di Montblanc e, dal 1409 al 1410, anche Re di Sicilia.

Da questo vuoto di potere, ecco l’inizio della ricerca di un regnante locale con la conseguente nascita di partiti e candidati che si diedero battaglia. Il Regno di Sicilia era ricco, potente, in posizione strategica nel Mediterraneo. Un’onda lunga di lotte che arrivarono al XVI secolo. Un momento storico che diede seguito alle precedenti lotte che ho raccontato in un mio precedente articolo (link).

La cornice storica che inquadra i fatti di sangue successivamente avvenuti a Sciacca

La citata gran confusione politica e di potere si tradusse in duri confronti militari fra tre opposte fazioni:

  • un “partito” che caldeggiava le ragioni della Regina Bianca, ovvero Bianca I di Navarra, seconda moglie e vedova di Martino I, il quale era morto in Sardegna per malaria nel 1409 (sepolto nel Duomo di Cagliari) dopo aver riconquistato quell’Isola grazie alla vittoria di Sanluri contro le forze di Guglielmo II, Visconte di Narbona nonché Giudice di Arborea -durante l’assenza del marito Martino, Bianca governò la Sicilia come reggente-vicaria, trono su cui rimase sola, da vedova-. La Regina Bianca era la preferita degli abitanti di Sciacca;
  • un’altra fazione era quella catalana e la famiglia Luna vi apparteneva anche perché originaria della Catalogna – capeggiata da Bernardo Cabrera e Foix, Conte di Modica, nato a Barcellona il 10 agosto 1350, deceduto a Catania nel settembre del 1423 perché colpito dalla peste dopo il suo ritorno in Sicilia da Barcellona (1421) – in precedenza era stato incarcerato perché sconfitto dalle forze della Regina Bianca, poi fatto liberare e trasferito in Catalogna nel 1413 da Re Ferdinando I d’Aragona – fu inumato nella Cattedrale di San Giorgio a Ragusa;
  • la terza fazione era composta da alcuni potenti nobili siciliani, schieramento appoggiato da molti comuni ribellatisi alla Regina Bianca.

Situazione molto fluida e combattiva che fece da “terreno di coltura” o di fermentazione per il “famoso caso di Sciacca” e per quei fatti di sangue che lì si scatenarono, quelli che videro la contrapposizione della famiglia Luna contro la famiglia Perollo con il coinvolgimento di altri casati che primeggiavano, come quella dei Grifeo di Partanna chiamata in aiuto dagli stessi Perollo che erano pure parenti.

Premesse alla strage di Sciacca dove furono trucidati Girolamo Statella, Girolamo Graffeo, Giacomo Perollo, i loro soldati e amici. A colpire fu Sigismondo Luna (che, anni dopo, si suicidò)

I malumori e i primi affronti risalgono a quando Re Martino I di Sicilia, figlio di Maria Lopes de Luna, regina consorte d’Aragona, decise di far sposare lo zio, il Conte Artale Luna con Margherita Peralta, figlia di Nicolò Peralta.

Ma la giovane nobile amava Giovanni Perollo che, oltretutto, aveva più o meno la sua età. In mezzo ci si mise anche Bernardo Cabrera, conte di Modica: per pure logiche di potere nell’Isola, voleva Margherita Peralta per farla sposare a suo figlio.

Nulla da fare, presente il Sovrano, il matrimonio fu celebrato nel 1400. I Perollo e i Cabrera divennero avversari dei catalani. Poi l’inizio delle guerre di successione al Trono di Sicilia.

Gli scontri a Sciacca iniziarono con forza e violenza tempo dopo, durante il regno di Alfonso Trastámara d’Aragona in Sicilia. Vedeva la contrapposizione dei Perollo, di origine normanna contro i Luna d’Aragona che, come si è capito, erano di origine catalana. Le due famiglie erano state su fronti diversi durante i confronti tra i tre partiti avversi per il controllo del Regno di Sicilia.

A rinfocolare gli animi tra i due casati anche una contesa territoriale sul controllo della Baronia di San Bartolomeo. Ma anche i regnanti o aspiranti tali, contribuirono ad accendere gli animi: il Conte Bernardo Cabrera occupò Sciacca nel 1411, ma non riuscì a prenderne il castello; la Regina Bianca intervenne e cacciò gli uomini di Cabrera; cinque anni dopo, il primato dei Perollo e il riconoscimento del dominio sul castello passarono ad Antonio de Luna per volontà di Re Alfonso.

Naturale che la situazione sarebbe esplosa in un gran bagno di sangue. Qui il passaggio al 1500, a testimonianza dei lunghi tempi dell’odio e di quanto questo si fosse autoalimentato fino alla volontà di annientamento degli avversari.

Come descritto dal dottore Francesco Savasta nel suo libro “Il famoso caso di Sciacca(Palermo: per Felicella e Magrì, 1726), a essere più o meno coinvolte in questo contrasto, come intervento “politico” e/o anche in armi, le famiglie Abbracciabene, Aidone, Amato, Antiochia, Argomento, Beatrice, Bendelmonte, Bicchetti, Blasco, Calandrini, Caltagirone, Campolo, Capriata, Caravelli, Carretti o del Carretto, Cubici, Ferraro, Ferreri, Graffeo di Partanna, Imbeagna, Incardona, Incisa, Infontanetta, Leofante, Loría, Lorefice, Lucchesi, Manno, Maurici, Medici, Montaliana, Peralta, Plaja, Siragusa, Tagliavia, Vasto, Ventimiglia.

Stemmi di alcune delle famiglie coinvolte, a diversi livelli, nella sanguinosa lotta di potere a Sciacca – ©GiuseppeGrifeo

La strage annunciata non trovò ostacoli e andò in scena

Portale di Palazzo Graffeo o Grifeo a Sciacca

Per brevità sorvolo su fatti precedenti che portarono a quella che fu un vero e proprio massacro. Sottolineo solo che tra i Perollo e i De Luna gli screzi furono continui. Al centro della disputa stava sì il controllo di Sciacca, ma anche la conquista del prestigio assoluto.

Dopo un primo scontro tra gli armati dei De Luna e quelli dei Perollo, fatto che seguì precedenti accoltellamenti, liti, scazzottate e chi più ne ha, più ne metta, ecco l’invio in zona di Girolamo Statella per decisione del Viceré di Sicilia Ettore Pignatelli, amico di Giacomo Perollo. Da lì seguirono le impiccagioni, come quella di venti uomini dei De Luna a Bivona il 16 luglio 1529, mentre la cattura del Conte Sigismondo Luna nel castello cittadino non avvenne: era già fuggito. Federico Perollo, figlio primogenito di Giacomo, fece saccheggiare il castello di Bivona e tutto il mobilio e le ricchezze furono consegnate al Fisco del Regno.

La richiesta di soccorso rivolta a Onofrio Graffeo di Partanna

I conflitti armati divennero sempre più violenti. Per sicurezza Federico Perollo, Capitano di Giustizia della Città di Sciacca, abitante vicino alla Chiesa di Santa Margarita, al lato del Convento del Carmine, chiamò in soccorso Onofrio Graffeo.

Il Capitano Perollo “Vedendo egli, che in una così improvisa invasione del nemico non poteva avere ajuto di dentro, per potere in qualche maniera riparare a tanto danno della Città, e che nemmeno aveva forze bastanti, per potere in sì manifesto pericolo soccorrere a Giacomo, suo strettissimo parente, pensò di andare in persona a chiedere soccorso di Gente d’armi dalli Signori di Partanna, suoi cordialissimi parenti; acciocchè con la sua presenza dasse un sollecito allestimento a tal soccorso richiesto. E per effettuare questo suo dissegno, si vestì con tutta secretezza da Pescatore, pensando d’uscire da certa parte delle muraglie della Città. Ma per non lasciare la moglie, con li figli, e con tutto il resto della sua Famiglia in mezzo a tanto grave pericolo della vita, e a discrezione de’ nemici, la raccomandò a suo cuggino, Onofrio Graffeo, acciocchè l’istessa notte, ottenutane la licenza, la facesse uscire fuori della Città per la porta, chiamata del Salvatore, col pretesto, che ella in tal modo voleva tirare il Capitano, suo marito, ad allontanarsi da Sciacca, ed a ritirarsi in Partanna”.


Federico Perollo verso Partanna e gli amici-parenti Graffeo nella speranza di salvare moglie e figli e iniziare a radunare rinforzi da portare a Sciacca

Per rendere viva l’atmosfera e ammantarla col suo velo di antica tragedia e di remote emozioni, è bene continuare con le parole del testo settecentesco del professore Francesco Savasta:

Il tutto sortì come era stato pensato; poicchè Federico nella maniera stabilita sene uscì dalla Città, e non molto lungi da essa si fermò, per attenderne il successo: e quei Nobili, che stavano alla guardia della porta, avendo ogni buon rispetto al merito d’una Dama sì nobile, le diedero facilmente libera l’uscita, insieme con li suoi figli, e con tutta la sua gente di casa, e con il Cavaliere Onofrio Graffeo, suo conduttore: anzi, per maggiormente mostrare il gran riguardo, che avevano a questa Signora, per qualche distanza la fecero per più sicurezza accompagnare da molti soldati”.

La paura doveva essere tanta, ben presente il pericolo di incontrare le truppe del Conte Luna, ma l’avanzata verso l’interno e la salvezza a Castello Grifeo di Partanna si avvicinava.

“E doppochè quelli ebbero camminato molte miglia, s’unirono con Federico Perollo, che nel designato luogo li stava attendendo; ed ivi egli rivestitosi, e postosi a cavallo, tutti se n’entrarono a salvamento in Partanna, dove furono ricevuti da quei Signori con cordialissime espressioni d’affetto; li quali, avendo intesa la rilevante cagione della loro venuta, subito scelsero 200 uomini armati a cavallo de’ più coraggiosi della medesima Terra“.

Si avvicina il momento dello scontro a Sciacca e del massacro voluto da Sigismondo Luna

Il Viceré intimò a Sigismondo Luna di sciogliere le sue truppe entro il 22 luglio 1529, ma il Conte fermò momentaneamente i suoi armati nel feudo Verdura temporeggiando e cercando di decidere sulle prossime mosse. Contemporaneamente, Federico Perollo, figlio di Giacomo, partì con sessanta cavalieri per raggiungere lo stesso Viceré Pignatelli in modo da chiedere rinforzi.

Sigismondo però anticipò i tempi. Ai suoi soldati e cavalieri disse:

Ecco, miei fidi Guerrieri, e valorosi Soldati, arrivato già quel tempo, nel quale sono risoluto di morire piuttosto coraggiosamente sotto l’incarco dell’armi, che lasciare la mia vita sotto il taglio di una vile mannaja. Non è più tempo di tardare, o di mettere in Consulta il mio pensiero; poicchè, se tardassimo, il tutto ci anderebbe in fallo, mentre il mio nemico, per opprimermi, aspetta da Messina Federico, suo figlio, con nuove Truppe ausiliarie, oltre a gli altri soccorsi, che infallibilmente li verranno somministrati da altre Potenze, con esso lui collegate”.

E ancora:

“Se ciò sortirebbe, saressimo al certo perduti. Dunque per noi non resta altro rimedio, che assaltare con tutta prestezza il nemico; poicchè l’assaltarlo in questa guisa è lo stesso, che vincerlo. L’operare differentemente per noi è follia, mentre per noi è già sbandito il perdono. Via dunque, o miei cari, accingetevi animosi all’Impresa, e risolvetevi coraggiosi o a vincere, o a morire”.

Così, nella notte del 19 luglio del 1529 il Conte Sigismondo Luna riuscì con l’inganno a penetrare con le sue truppe a Sciacca. Entro l’alba del 20 luglio fece circondare le residenze degli Statella e dei Perollo.

Per dare un’idea possibile delle battaglie dell’epoca, rappresentazione di Jan Cornelisz Vermeyen, Archibugieri spagnoli alla conquista di Tunisi nel 1535

La situazione precipitò senza che nessuno si opponesse anche perché il Consiglio dei Nobili di Sciacca si suddivise tra chi voleva frenare l’arroganza del Conte Luna difendendo i Perollo (Graffeo, Incardona, Ventimiglia, Antiochia, Beatrice, Caravelli, Cubici, Ferraro, e Ferreri), chi invece voleva la vittoria dei Luna contro i Perollo (Peralta, Tagliavia, Montaliana, Amato, Bicchetti, Calandrini, Imbeagna, Infontanetta, Loria, Lorefice, Lucchesi, Maurici, Siragusa, Vasto) e i tanti che invece temporeggiavano non schierandosi (Incisa, Carretto, Leofante, Manno, Medici, Aidone, Plaja, Capriata, Abbracciabene, Argomento, Bendelmonte, Blasco, Caltagirone, Campolo, Virgilio).

Il primo assalto e l’epilogo momentaneo con l’uccisione del Barone Statella e di Girolamo Graffeo

Quel venerdì 20 luglio il sole ebbe appena il tempo di levarsi che ebbe inizio il massacro. Sempre dal racconto-ricostruzione del dottor Francesco Savasta:

il Conte Luna, fieramente aggitato dalle furie della vendetta, si pose a cavallo, ed indi, fatto dare il segno della raccolta alle sue Truppe, in questa guisa le dispose. Lasciò coll’Impugiades li 100. Cavalli nel cortile del Monastero delle Giummare; e lasciò pure ben custodito da ogni parte il Castello del Perollo; e poi con tutto il resto delle sue Milizie, si avviò egli per assaltare nel proprio Palazzo il Barone Statella, contro di cui non meno, che contro del Perollo, anelava di sfogare il suo sdegno. Incominciò dunque la sua vendetta dal Barone Statella, col riflesso, che, disbrigatosi con tutta facilità da questo nemico, avrebbe poi impiegate tutte le sue forze alla rovina del Barone Perollo, suo principale avversario, la di cui caduta ricercava forze di maggiore considerazione”

L’assalto ebbe inizio fra urla e strepiti, scale appoggiate alle mura della residenza Statella in modo da portare le truppe all’assalto dentro gli ambienti dell’edificio calandosi dall’alto mentre altri iniziarono a sfondare gli ingressi: una manovra a morsa, “altri collo sparo degli archibuggi colpivano le finestre, per disserrarle; e tutti cercavano a folla d’inoltrarsi, per entrare in quel Palazzo. Non vi era in detto Palazzo chi si potesse affacciare alle finestre, per colpire i nemici; poicchè ne restava subito ucciso da quei, ch’erano fuori“.

Sangue ovunque, si lottava in ogni ambiente, stanze, scale, lotte corpo a corpo, coltelli e spade che laceravano corpi, gli uomini di Statella, inferiori per numero, se la videro subito male:

“O che baruffe, o che straggi, o che uccisioni sortivano dall’una, e dall’altra parte! tantochè quelli, che militavano a favore del Barone Statella, per esser pochi, si viddero ridotti a pochissimo numero, e furono questi forzati a cedere alla violenza de’ numerosi aggressori”.

Girolamo Statella si comporta da grandissimo cavaliere, si butta nella mischia cercando di frenare gli assalitori inviati all’assalto dal Conte Sigismondo Luna, riesce a difendersi e a difendere chi gli è più caro. Colpisce con la spada senza pietà, ma spinto anche dalla disperazione. Per molto tempo molti parleranno del suo valore:

Vedeva il capitano Statella la grande stragge de’ suoi; e perché, quanto era nobile, era altrettanto intrepido; e coraggioso, teneva nella destra impugnata strettamente la spada, ed al ruotarla sembrava un fulmine, che il tutto co’ suoi colpi atterrava. Andava egli dappertutto, girava per ogni parte, sollevava gli oppressi, animava i pusillanimi, esponeva il suo petto in difesa de’ più deboli, correva, ove più si vedevano le straggi; ed ultimamente a veduta de’ suoi nemici, che, già impadroniti affatto della sua Casa, facevano orrenda stragge del misero avanzo de’ suoi Ministri, sembrò un Marte, dando colla sua spada in mano a divedere, che il suo valore era di un semideo, e piucchè umano”.

Nulla frena gli attaccanti, mentre i difensori sono sempre di meno. Girolamo Statella si rifugia per l’ultima difesa nella torre principale cercando di richiamare urlando l’attenzione della gente di Sciacca:

Sopraffatto alla fine dalla calca di quelle avanzate truppe, cedè alla violenza della rea fortuna; e ritiratosi sulla sommità della Torre di detta Casa, incominciò a gridare: «Giurati, Capitani, Popoli d’una Città sempre fedelissima a’ suoi Regnanti, soccorso, all’armi: le straggi, le offese, gli affronti, che si fanno contro la mia persona, si commettono contra quella del vostro Sovrano: poicchè porto in fronte il carattere di suo Ministro, sono per rappresentanza la sua stessa persona. Ajutatemi dunque, soccorretemi».

La cosa fece infuriare ancora di più il Conte Luna e i suoi uomini diedero l’ultimo e definitivo assalto alla torre. Uccisero subito Pietro Margetti che era stato mandato a servizio degli Statella dal nobile Perollo. Massacrati subito dopo i ministri della Giustizia, come lo furono, “Consultori, Fiscali,
Notari, ed altri
“.

Girolamo Statella fu finito da una stoccata di “Giorgio Comito, Capo de’ Greci” che con quell’affondo di spada gli spaccò il cuore trapassandone il petto da parte a parte.

Cadde pure per l’istessa mano trafitto il suo tanto stimato Girolamo Graffeo, fratello del sopracennato Onofrio; quale ancora valorosamente difendeva un’altra porta dell’altro appartamento, come quello, che teneva in quel luogo le veci di Giacomo Perollo. Alla caduta di questi due famosi Eroi, Statella, e Graffeo, cadde pure trucidato ogn’altro, che forse vivo era restato, senzachè di tutta la Corte, e Famiglia del Capitano Statella ne restasse pur uno”.

Dopo il massacro, il comportamento del Conte Luna e delle sue truppe fu vergognoso e atroce. Spogliarono i cadaveri, molti li fecero anche a pezzi, poi buttarono quei corpi smembrati per strada che non furono raccolti e ricomposti per tre giorni, in pasto a cani randagi e ad altri animali.

Il cadavere del Barone Statella fù precipitato dall’alta Torre sopra i sassi della strada, e per lo fracassamento della testa gli uscì, e saltò fuori la midolla, quale da Marco Rappa fù pietosamente raccolta, e sepolta nella vicina Chiesa di San Cataldo”.

Il Palazzo del Barone Statella fu dato alle fiamme per non lasciarne pietra su pietra, un’opera di totale cancellazione, mandando in fumo anche l’Archivio di Giustizia che vi era custodito, quello la cui documentazione era trasmessa al Magistrato della Corte Suprema per informarlo su delitti e reati.

Il Conte Sigismondo Luna ordina l’assalto al Castello Vecchio

Raffigurazione di Castello Vecchio a Sciacca – da sciacca.it, vecchio disegno di Ignazio Di Mino

Dal luogo della strage di Palazzo Statella, il Conte Luna richiamò le truppe e diede l’ordine di marciare verso il Castello Vecchio dove si trovavano i Perollo. Voleva completare in fretta l’eliminazione dei suoi nemici. Sigismondo Luna si mise davanti a cavalieri e soldati urlando e strepitando per motivarli, ma anche perché felice delle prime uccisioni che gli avevano permesso di massacrare il Barone Statella, l’alleato Grifeo e le truppe da loro comandate.

Sigismondo Luna non era ancora sazio di sangue.

… chiudo temporaneamente questo scritto per non esagerare con l’accumulo di parole. Per scoprire il seguito di questa storia bisognerà attendere di poter leggere il mio successivo racconto. Aspettatevi aspri combattimenti al Castello Vecchio difeso dai Perollo, momenti di sangue e morte, la strenua difesa dell’ultima torre dove erano rifugiate tutte le donne e i figli dei difensori della fortezza, l’intervento per fermare gli assalitori da parte della Baronessa Moncada, moglie di Giacomo Perollo, figlia di Ferdinando Moncada, Barone di Francofonte. Lei era imparentata anche con Sigismondo Luna perché suo padre Ferdinando Moncada era fratello di Diana Moncada, moglie di Gian Vincenzo Luna, predecessore dello stesso Sigismondo.

Nel prossimo racconto troverete la descrizione della fine di Giacomo Perollo, Barone di Pandolfina, Regio Portulano della Città di Sciacca: era sfuggito al massacro del Castello insieme al suo servitore Andrea Carusello, ma il barone fu comunque tradito, catturato. Alle ore 10 della sera di lunedì 23 luglio 1529 Giacomo fu colpito, infilzato e ucciso dalle spade di tanti avversari quando era già prigioniero, il suo corpo fatto a pezzi, dilaniato prima di essere portato davanti al trionfante Sigismondo che lo avrebbe voluto vivo per avere un confronto.

C’è tanto da raccontare ancora, quindi, a presto!

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