Sicilia, lo “sceccu”: l’origine di questo termine dialettale che significa asino e, per estensione, anche il fesso, l’ignorante

“Sceccu”, termine siciliano per “asino” o “asinello”, ma non solo. Ogni tanto mi diverto a leggere due cose: il Wikizziunariu, dizionario di Lingua siciliana su Wikipedia e il “Vocabolario Siciliano-Italiano illustrato” di Antonio Traina risalente al 1868. La Lingua di Sicilia è divertente, un mix di vocaboli che arrivano da tradizioni greche, latine, arabe, normanne, catalano-spagnole, francesi, tedesche, il tutto mescolato in un calderone di termini originali e dall’Italiano volgare che qui ebbe le sue prime forme, nell’Università d’epoca imperiale con Federico II.

La definizione lapidaria di “Sceccu” sul Wikizziunariu è questa:

  1. armalu di soma sìmuli ô cavaddu ma cchiù nicu, câ testa grossa, aricchi longulini e manteddu di culuri griciu uniformi
  2. cristianu ‘ngnuranti

Viene pure sottolineato che «Stu sustantivu sicilianu veni dû turcu aquivalenti “eşek”».

Se qualcuno avesse bisogno di una traduzione, sempre a disposizione… ma a me sembra palese: “nicu” sta per piccolo, “armalu” è animale, “longulini” è lunghe o più lunghe, “cristianu” sta per persona.

Più articolata la definizione sul “Vocabolario Siciliano-Italiano illustrato” di Antonio Traina che per “sceccu” così recita:

s. m. Asino: ciuco (PASQ. dice venga dall’Ebr. schech quieto o schiach. dimesso. Chi dice che è voce turca. A me pare che da ciuco si sia fatto sciuccu in sceccu. Onde ne viene il Napolitano ciuccu)“.

La stessa voce del vocabolario prosegue con modi di dire e frasi dove viene utilizzato il termine “sceccu”. Per esempio, “E chi figghiò qualche sceccu masculu!“, modo per esprimere concetti come quando succede qualcosa di difficile e di molto complicato o che un avaro diventa all’improvviso generoso, oppure che un sudicio, lurido, all’improvviso inizia a lavarsi.

Pigghiari un sceccu“, oppure “Aviri un cauciu di sceccu” non hanno traduzione letterale (prendere un asino o prendere un calcio da un asino) ma, intorno al 1868, quando fu pubblicato il vocabolario di Antonio Traina, significava che si era stati contagiati dal mal francese, la Sifilide cui l’odierno vocabolario Treccani affibbia altre due remote definizioni, morbo celticomorbo gallico.

Dalla voce del vocabolario Traina spuntano altri detti sull’uso più appropriato di uno sceccu: “cavallo e cavalla cavalcali sulla spalla, sceccu e mulo cavalcali al culo“, quindi per asino e mulo bisogna cavalcarli o mettere la soma più vicino alla groppa.

E ancora, “Cui sceccu fa cavaddu, lu primu cauciu è so” che sta per “chi innalza o beneficia un ingrato sarà ricompensato con irriconoscenza“.

Infine, “Cu’ sceccu si curca, sceccu si leva“: chi asino nasce, asino muore.

Sceccu-asino, l’origine storica e nei fatti che hanno caratterizzato la Sicilia

Altre definizioni sulla storicità del termine “sceccu” sottolineano come il vocabolo abbia un’origine curiosa: veniva utilizzato per disprezzo contro i signori arabi, dominatori della Sicilia. Questi erano gli sceicchi, “Shaikh“… da cui “Sceccu” per il popolo siciliano, asino.

Ma perché questo?

Una storia ammantata di leggenda racconta che musulmani proibirono ai siciliani di andare in giro a cavallo e armati.

La reazione fu immediata: i siciliani avvelenarono l’acqua degli abbeveratoi dei cavalli per far andare a piedi anche i dominatori figli del Corano.

A quel punto gli sceicchi decisero di farsi spedire dalle coste tunisine una nuova fornitura di cavalli. Ma qui si mise di traverso il mare: una grande tempesta fece naufragare le navi con i cavalli. Riuscì a salvarsi e ad approdare in Sicilia solo una nave, quella che trasportava asini.

Così le autorità e i nobili musulmani e l’Emiro furono costretti a utilizzare solo asini per i loro spostamenti.

Immaginatevi le risate e il divertimento dei siciliani al passaggio di sceicchi, cavalieri musulmani e loro altri capi, tutti a dorso d’asino. Da allora Sceccu fu il termine accomunante sceicchi e asini usato dagli abitanti dell’Isola.

Certo, di mezzo ci andarono i poveri cavalli tra avvelenamento e naufragio.

Poi giunge una definizione che si rifà a un passato particolarmente remoto. C’è chi intende far derivare “sceccu” dal proto-Sanscrito. Possibilissimo per una lingua, quella siciliana, che ha origini lontane e commistioni plurimillenarie.

Nessun fondamentalismo: nella definizione di vocaboli siciliani è più adatto proprio un certo possibilismo. Le ipotesi vanno considerate tutte e soppesate insieme alle prove e/o alle ipotesi che prevalgono più è lontana nel tempo l’origine/definizione originaria.

I Siculi arrivarono nella penisola italiana e nell’Isola sul finire del II millennio a.C. grazie a una prima ondata migratoria dalle regioni indoeuropee, giunsero dalle steppe euroasiatiche e dall’area indiana sospingendo i già presenti Sicani verso la parte occidentale della Sicilia. Siculi che portarono anche il cavallo e il suo utilizzo, animale indicato col termine “héḱus” che ben più tardi potrebbe aver dato origine al lemma latino “equus“…

Però, proprio héḱus anteceduto dal remotissimo fonema “sh” acquisì la forma più simile al termine “sceccu” che con i secoli fu utilizzato solo per gli asini. Al contrario, per l’equino “cavallo” prevalse proprio quest’ultimo vocabolo di origine gallica.

Purtroppo, su “equus”, equino e cavallo tutto si complica. Come ricorda Ettore Rossoni di Melegnano, studioso ed esperto di terminologia e cognomi, il “termine EQUINO trae le sue origini dall’antico indoeuropeo EKWO, il termine sanscrito ACVAH fa pensare che anche il vocabolo CAVALLO possa derivare tramite il latino CABALLUS, il tardo greco KABALLES da una derivazione del termine EKWO le due consonanti k e w si ripropongono nel vocabolo ca(KA)va(WA)llo. La presenza della elle si riscontra anche nello slavo antico KOBYLA e nel provenzale CAVALS […]”.

A questo punto coesistevano tre termini molto remoti: dal sanscrito Héḱus e Acvah o Ashva (अश्व), oltre all’indoeuropeo Ekwo.

Comunque , quando si parla e si scrive di siciliani, esiste pure un altro utilizzo della lingua fatto dai furbi e tenaci isolani intorno al XIII secolo. Fu durante la rivolta dei Vespri contro la dominazione Angioina con eliminazione anche “fisica” dei francesi.

Leggete con attenzione…

Durante la caccia all’uomo dell’epoca, la caccia al francese da eliminare e mandare via dall’Isola, come fare per individuare subito i transalpini?

A loro si faceva pronunciare il termine siculo “ciciri” che sta per “ceci“. I francesi non ci riuscivano: gli veniva fuori un “Scisciri“… quindi erano subito scoperti, catturati ed eliminati.

Poveri francesi, che scecchi, che asini!.. purtroppo quei tempi davano spazio a metodi truculenti, anche se scatenati da ripetute e prolungate angherie subite dai siciliani.

Intanto, auguro ai lettori anche un buon ascolto grazie a un brano interpretato da Domenico Modugno! ↓↓ ↓↓

10 commenti Aggiungi il tuo

  1. Antonio Gaggera ha detto:

    La storia dello stratagemma usato per scoprire i francesi ai tempi della rivolta dei Vespri, me l’aveva raccontata il mio maestro delle elementari.
    A proposito di scecchi, come dimenticare la canzone popolare “U Sciccareddu”?

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    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Mi hai dato un’ottima idea aggiuntiva

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    2. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Cambiamento apportato con una cosa che mi hai fatto ricordare all’istante con il video Youtube

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      1. Antonio Gaggera ha detto:

        Bello. Non conoscevo questo pezzo di Modugno, che è un grande, cui si perdona anche il siciliano maccheronico 😉😉

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        1. Giuseppe Grifeo ha detto:

          Assolutamente sì, una bella interpretazione con un Siciliano in alcuni punti “particolare”, comunque brano pregevole

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  2. Alessandro Gianesini ha detto:

    Sempre interessante l’origine dei modi di dire! 🙂

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    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Anche questo è un modo per scoprire mondi popolari e regionali 😉

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