Platone, il Simposio, Eros, l’Amore

Amore, fra gli dèi l’amico degli uomini,

il medico, colui che riconduce all’antica condizione.

Cercando di far uno ciò che è due,

Amore cerca di medicare l’umana natura.

Platone – Simposio, IV secolo a.C.

Simposio, Συμπόσιον, Sympósion

Per i più curiosi, per coloro che vogliono approfondire, adesso scrivo sul Simposio. Naturalmente lo faccio col mio stile prettamente libero, cercando di non fare il professore. Riadatto un po’, rendo più fruibile. I puristi potrebbero prendermi a legnate (spero di no… se proprio devono, che siano bastonate virtuali). Mi sono fatto aiutare dalla lettura del Bollettino telematico di Filosofia politica al capitolo riguardante proprio il Simposio di Platone e dalla consultazione del Perseus Project. In questo che è il suo più celebre e atipico dialogo, Platone parla attraverso Socrate.

Un banchetto tra amici offerto dal poeta tragico Agatone che in questo modo intende celebrare anche la vittoria della sua prima composizione negli agoni tragici alle Dionisie del 416 a.c. (celebrazioni in onore del dio Dionisio con rappresentazioni teatrali tragiche e comiche).

Testa di Platone, marmo bianco a grana fine, alta 34 centimetri, copia romana I secolo d.C. del ritratto eseguito da Silanon – Trovata nell’area sacra di Largo Argentina, oggi ai Musei Capitolini

Terminata la cena si comincia a bere – come si faceva in riunioni del genere – facendo girare la coppa del vino tra i conviviali seguendo un ordine preciso, dando così il via al confronto oratorio.

La teoria e il confronto su Eros, l’Amore. Questo è al centro dell’eloquio cui ognuno dei presenti viene invitato a esporre… e a esporsi. Argomento che è stato e sempre sarà al centro di discussioni. La sua natura, le sue molteplici forme…

Presenti Socrate e il suo discepolo Aristodemo, il commediografo Aristofane, il medico Erissimaco, poi Pausania, amante di Agatone, il suo amico Fedro, figlio di Pitocle nonché esperto di retorica.

A invitare tutti a esprimersi in un elogio di Eros è Erissimaco: il medico prende la palla al balzo dopo l’invito del padrone di casa fatto agli invitati per scegliere un argomento di discussione.

Questa l’atmosfera iniziale, potrei dire di impianto, del Convito-Simposio di Platone, attraverso il racconto fatto in una notte ateniese da Apollodoro ad interlocutori inizialmente non precisati, riferendo di una precedente domanda fattagli da Glaucone che chiedeva con insistenza di raccontargli di quella cena avvenuta anni prima.

Glaucone, che aveva sentito del banchetto da un tale Fenice figlio di Filippo, era informato in maniera così distorta da credere che Apollodoro stesso vi avesse preso parte.

Ma non era così.

È un racconto di “seconda mano”, sottolinea Apollodoro che rimarca di non essere stato presente e di aver ascoltato quanto era accaduto all’evento da Aristodemo di Cidateneo, un erastès-ἐραστής (amante) o ammiratore di Socrate e da quest’ultimo stesso.

Eros, l’Amore dalle parole degli invitati al simposio

  • A quel convivio Fedro mette Eros tra gli dei originari, il primo dio a scaturire dal Chaos assieme con Gaia, la terra. Ci fa vergognare di ciò che vergognoso e onorare ciò che è bello. È il dio che spinge amante e amato (erastes ed eromenos/ἐρώμενος) a gareggiare in coraggio, valore, nobiltà d’animo, tanto che se gli eserciti fossero costituiti solo da amanti e amati, diverrebbero del tutto imbattibili.

Gli innamorati sanno infatti morire per chi amano… perfino quando sono donne.

Così Fedro tira fuori esempi di sacrificio per gli amati: Alcesti che accetta di morire per salvare il marito, ma riceve dagli dei il privilegio di tornare dall’Ade; Orfeo, che pretende di riportare la moglie dal mondo dei morti restando vivo, ottiene di vederne solo il fantasma ricevendo la punizione dagli dei, quindi la morte; Achille invece fu onorato dagli dei perché vendicò l’amante Patroclo, pur sapendo che la sua scelta l’avrebbe destinato a una morte precoce.

In quest’ultimo caso Fedro specifica che Achille era l’eromenos e non l’erastes, perché era più giovane di Patroclo: il sacrificio dell’amato per l’amante è molto più apprezzabile. L’amante infatti è entheos – invasato dalla divinità – mentre l’amato reagisce di sua volontà.

Tutti esempi che sono utili a stabilire un punto, che Eros è il dio più venerando per età, più onorevole e potente, fonte di Arete (virtù ed eccellenza) e Eudaimonìa (il bene nella felicità come scopo fondamentale della vita) per gli uomini, sia vivi che morti.

“Se vi fosse dunque qualche possibilità perché una città o un esercito fossero costituiti per intero da amatori e da amati, non vi è modo per cui potessero disporre meglio la propria esistenza tenendosi lontani da ogni bruttura e gareggiando tra di loro in desiderio di gloria, e combattendo insieme gli uni con gli altri, essi vincerebbero, anche se in pochi, per così dire, tutti gli uomini. Infatti l’uomo che ama sarebbe disposto ad essere visto da tutti gli altri mentre abbandona la posizione o getta via le armi più che dal proprio amato e sceglierebbe di morire più volte invece di questo. E quanto ad abbandonare l’amato o non portargli aiuto quando corre pericolo non c’è nessun vile a tal punto che amore stesso non lo renda pieno di ardore in valore, tanto da eguagliarlo anche a chi è valorosissimo in natura… “.

Pausania fa una distinzione nella tipologia di Amore, due condizioni influenzate dall’esistenza di due Afroditi: l’Afrodite Urania, “celeste”, figlia di Urano che fa nascere proprio l’Amore Celeste, quello che trascende il desiderio del corpo, quindi il più elevato, tocca e unisce le anime; l’Afrodite Pandèmia o “comune”, figlia di Zeus e di Dione, proprio dell’Amore Volgare teso all’amore del corpo, al desiderio dei sens, poco vocato alla comunione delle anime.

Conclude con quello che viene definito Amore omofilo trovandone una giustificazione e definizione nel Nomos, lo spirito delle leggi dell’Antica Grecia, dove sussistono forti diversificazioni tra regioni e regioni, rimarcando come questa forma di amore sia disprezzata “nella Ionia e nelle altre regioni dominate dai barbari… “.

Sulla differenza tra amore volgare e quello celeste, “È cosa brutta quando si ha compiacenza per un abbietto e in maniera abbietta, è bella invece quando la si prova per uno meritevole e in maniera bella. Abbietto è l’amante volgare, innamorato più del corpo che dell’anima: non è un individuo che resti saldo, come salda non è nemmeno la cosa che egli ama. Infatti quando svanisce il fiore della bellezza del corpo del quale era preso “si ritira a volo” ad onta dei molti discorsi e delle promesse. Chi invece si è innamorato dello spirito quando è nobile resta costante per tutta la vita perché si è attaccato a una cosa che resta ben salda”.

  • Da parte sua Erissimaco, guidato dalla sue visione di medico, inquadra l’amore come una funzione normale, un fenomeno naturale distinguendone gli aspetti normali da quelli morbosi concordando con la classificazione appena esposta da Pausania anche se all’origine dell’Amore Volgare pone l’Afrodite “Polimnia” portatrice di disordine, un amore disordinato che porta contagi, malattie, guasti e distruzione. Perché questo? Perché l’Amore vero, quello di valore, è equilibrio, o meglio “comunione tra gli opposti“, giustificando l’Amore omofilo in maniera più radicale e originaria rispetto alla tesi di Pausania, quindi radicato nel principio e nella causa di tutte le cose, nella Natura stessa, nella physis – φύσις.
  • Il mondo dell’Amore espresso da Aristofane sprofonda nel mito antico, nell’origine umana più lontana e leggendaria, quando gli uomini avevano un aspetto molto particolare: uniti a coppie tra pancia e petto e di tre generi, maschili, femminili e androgini/ἀνδρόγυνος capace di amare e unirsi con i primi due generi.

Ma questa popolazione da leggenda aveva anche forme strane. Corpi di forma circolare con quattro mani, quattro gambe, due organi genitali, due volti inseriti in una sola testa che ha, di conseguenza, anche quattro orecchie. Però Zeus giudicò quegli uomini troppo arroganti, doveva fare qualcosa. Non eliminarli perché non esisteva altra forma di vita a venerare gli dei. Doveva indebolirli, così separò quei corpi uniti a coppia rendendoli singoli e, secondo il re degli dei, li avrebbe indeboliti.

Da quella separazione l’uomo iniziò a desiderare esclusivamente la riunione con l’altro, quindi lo stringersi dei corpi alla ricerca dell’antica fusione tralasciando persino di nutrirsi rischiando di morire. Zeus dovette intervenire mandando Eros che trasforma lo “stringersi” in Amore che simula l’unione a coppie persa anticamente ma così finalmente raggiunta, quindi il piacere e la riproduzione, senza più dimenticare gli altri compiti cui sono chiamati gli uomini anche per la sola sopravvivenza.

“Da tempo è dunque connaturato che negli uomini l’amore degli uni per gli altri che si fa conciliatore dell’antica natura e che tenta di fare un essere solo da due e di curare la natura umana. Ciascuno di noi dunque è come un contrassegno (σύμβολον) d’uomo, giacché è tagliato in due come sogliole, da uno diventa due” […] “Questo è il motivo per il quale la nostra natura antica era così e noi eravamo tutti interi: e il nome d’amore dunque è dato per il desiderio e l’aspirazione all’intero”.

  • La discussione viene coronata dal padrone di casa, da Agatone, con la sua definizione di dio più bello e nobile in Eros.

“Amore è il più felice perché è il più bello e il migliore. È il più bello perché è tale: anzitutto è il più giovane tra gli dei” […] “è il più giovane e il più soave, e oltre a ciò è come flessuoso nell’aspetto. Non sarebbe infatti in grado di abbracciarsi ovunque, né di entrare in ogni anima di nascosto e poi uscirne se fosse inflessibile”.

Agatone prosegue con l’eterna lotta tra Amore e Bruttezza in quanto il primo ha precise virtù: giustizia, morigeratezza, potenza e sapienza. E in onore di Amore compone un elogio poetico,Pace fra gli uomini e sul mare una tranquillità senza vento, luogo di quiete e di sonno nell’affanno dei soffi impetuosi“.

  • Socrate si chiama fuori dalla gara tra coloro che lo hanno preceduto riconoscendo la propria inadeguatezza e conclude sottolineando che per descrivere al meglio cose e situazioni basta dire la verità a prescindere dalla personale capacità oratoria. Quindi anche sul tema di Eros incardina il suo pensiero sulla verità: preferirebbe parlare alla propria maniera, senza retorica, per evitare di rendersi ridicolo.

Eros” è un termine che, similmente a “padre”, “madre”, “fratello”, “sorella”, designa una relazione. Come chi è padre deve essere, per definizione, padre di qualcuno, così l’eros è amore di qualcosa.

Dopo aver concordato che l’amore deve avere un oggetto, Socrate chiede se l’eros desidera ciò che ama. Agatone dice di sì.

Ma quando si desidera e si ama, si possiede l’oggetto del desiderio o no?

Agatone è costretto a rispondere di no.

Socrate continua sottolineando che si desidera necessariamente non quanto abbiamo già, ma ciò di cui siamo privi nel presente o ciò che temiamo possa venire a mancarci nel futuro.

“Amore è amore di alcune cose” […] “di quelle di cui si avverte mancanza”

Agatone, come ricorda Socrate durante il suo discorso, aveva sostenuto che gli dei hanno risolto i loro conflitti grazie all’amore di ciò che è bello, termine, questo, che nell’uso greco, equivaleva a “buono”.

Ma se l’eros è desiderio di ciò che manca, allora non può essere né bello né buono.
L’amore, come aveva oscuramente intuito Aristofane, è mancanza.

Agatone riconosce di non essere in grado di contraddire Socrate. Quest’ultimo gli risponde che a non poter essere contraddetta è la verità. Il sapere degli individui è sempre storico ed esposto alla confutazione. La verità che essi ricercano, platonicamente, no.

καὶ μὴν καλῶς γε εἶπες, φάναι, ὦ Ἀγάθων. ἀλλὰ σμικρὸν ἔτι εἰπέ: τἀγαθὰ οὐ καὶ καλὰ δοκεῖ σοι εἶναι;
ἔμοιγε.
εἰ ἄρα ὁ Ἔρως τῶν καλῶν ἐνδεής ἐστι, τὰ δὲ ἀγαθὰ καλά, κἂν τῶν ἀγαθῶν ἐνδεὴς εἴη.
ἐγώ, φάναι, ὦ Σώκρατες, σοὶ οὐκ ἂν δυναίμην ἀντιλέγειν, ἀλλ᾽ οὕτως ἐχέτω ὡς σὺ λέγεις.
οὐ μὲν οὖν τῇ ἀληθείᾳ, φάναι, ὦ φιλούμενε Ἀγάθων, δύνασαι ἀντιλέγειν, ἐπεὶ Σωκράτει γε οὐδὲν χαλεπόν.

Simposio (201c)

Socrate inserisce il pensiero di Diotima-Διοτίμα, sacerdotessa di Mantinea, che sulla concezione di Amore fu sua maestra. Diotina così evocata da Socrate dialoga con lui e ne confuta la posizione.

Se si riconosce che Eros non è bello […] e non è neanche buono, bisogna ammettere che è brutto e cattivo?“.

La sua natura è di esistenza intermedia tra il divino e l’umano perché frutto di Penia, la Povertà, che approfittò e si unì con Poros (Espediente) in quel momento ubriaco durante la festa del compleanno di Afrodite. In quanto di natura mista, assomma in sé qualità positive e negative.

Essere non-bello non significa necessariamente essere brutto. In termini logici, fra “bello” e “brutto” c’è una relazione di contrarietà e non di contraddittorietà. Non si può essere contemporaneamente belli e non belli senza violare il principio di non contraddizione. Invece è possibile essere allo stesso tempo non-belli e non-brutti.

Come chi non è sapiente non è necessariamente ignorante visto che esistono diversi gradi intermedi, stessa cosa è tra l’estremo del bello e quello del brutto: è possibile affermare che chi è brutto non è bello e chi è bello non è brutto, ma l’essere non-bello di un termine non implica affatto che esso sia brutto, potrebbe infatti trovarsi, nella scala della piacevolezza estetica, a un grado intermedio, diverso da quello, estremo, della bruttezza.

L’equivoco più diffuso tra gli uomini secondo Socrate è quello di vedere in Amore solo gli aspetti migliori, più belli perché identificato con l’amato e non con l’amante.

Cosa spinge l’amante verso l’amato? Non può essere solo l’attrazione per la bellezza, è una condizione limitata.

Bisogna essere fertili nell’anima cercandone un’altra bella cui unirsi.

Bisogna “capire che tutto il bello che riguarda il corpo è cosa ben da poco”.

Pubblicità

13 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    Articolo molto bello! 🙂

    Piace a 1 persona

    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Grazie! Con “leggera” personalizzazione del Simposio 😁

      Piace a 1 persona

      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        Platone era un commediografo, in fin dei conti: non hai fatto nulla di male! 😉

        Piace a 1 persona

        1. Giuseppe Grifeo ha detto:

          Le mille forme dei commediografi 😄😄

          Piace a 1 persona

          1. Alessandro Gianesini ha detto:

            Non è una definizione mia: è di Luciano De Crescenzo, che la fa dire dai personaggi nei suoi libri (specie da Eraclito, nel Panta Rei) 😉

            Piace a 1 persona

            1. Giuseppe Grifeo ha detto:

              Mi pento, ma rimedierò, di non aver approfondito De Crescenzo

              Piace a 1 persona

              1. Alessandro Gianesini ha detto:

                A me piace un sacco: mi saprai dire! 🙂

                Piace a 1 persona

  2. Giusy ha detto:

    ..qui (per restare in tema).. servirebbe una buona bottiglia e tanta chiacchiera 😀

    Piace a 1 persona

    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Ah si. Oltretutto, in vino veritas e non solo. Parlare e gustare sono da ottimo abbinamento

      Piace a 1 persona

      1. Giusy ha detto:

        è un gusto al quadrato! 🙂

        Piace a 1 persona

    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Grazie, grazie, grazie 😁

      Piace a 1 persona

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...