Nobiltà, ricchezza, povertà, snob. Vorrei subito sgomberare il panorama dai soliti stereotipi triti e ritriti. La Nobiltà, quella storica, con un patrimonio di passato familiare alle spalle, nulla ha a che vedere con il possesso di ricchezze. Il titolo o la nobiltà d’animo, oltre che a dover essere inscindibili – almeno in teoria -, vanno al di là del possesso di tanti denari o del fatto che si sia poveri in canna.
La storia, le imprese di avi e progenitori, la propria predisposizione per gli altri, nulla hanno a che vedere col portafogli.
Ed ecco che vengo al termine snob. Nel tempo si è trasformato in un vocabolo abusato e stra-abusato in un significato che è del tutto diverso dal s(ine) nob(ilitate) “senza nobiltà“. Un punto fermo c’è, esiste ed è quello reale: l’incompatibilità manifesta tra Nobiltà e l’essere snob. In ogni senso la si analizzi.
Curioso ed evocativo è un concorso di significati sul termine “snob” come è stato raccontato dalla Treccani in un esteso capitolo nella sezione “neologismi”. In Italiano il termine è tipico di “una persona che ostenta, anche volgarmente, modi aristocratici, raffinati, eccentrici, e talora di superiorità“. Il primo significato certo, documentato, arriva dall’Inglese, “quello di «ciabattino», di ambito dialettale e di registro colloquiale, a questo, in seguito, se ne aggiunge un secondo, estensivo, sviluppato nel gergo studentesco di Cambridge, secondo il quale lo snob è «una persona estranea all’ambiente» e, successivamente, per ulteriore estensione, «una persona non fine, non adeguata a un ambiente colto e raffinato»“.
Quindi, colui che ostenta, che mette distanza e si atteggia a superiore col suo essere snob, non può essere nobile in qualsiasi modo lo si intenda, è persona di bassa statura d’animo ed è tutto fuorché raffinata, elegante, corretta.
Questo punto mi è sempre stato chiaro, limpido. Poi mi è capitato di leggere “Nobiltà”, scritto dal duca Giovanni Maresca di Serracapriola, testo inserito nel Novissimo Digesto Italiano, volume XI, Torino, 1976.
Nell’opera è tracciata la descrizione di “nobile“, la sua individuazione e il “ruolo nazionale” in Italia da fondare sull’intero corpo nobiliare, «famiglie i cui componenti sono in attuale possesso dei tradizionali caratteri e requisiti nobiliari morali e sociali».
Lo scritto riporta punti storici e attuali, anche il processo di definizione e accertamento della nobiltà per un candidato all’ingresso nell’Ordine di Malta. Ai Cavalieri di Grazia e Devozione era chiesto di portare le prove – per un periodo non inferiore ai due secoli – sulla discendenza in linea paterna e della “distinta civiltà della famiglia della madre dell’aspirante, oppure cento anni in linea diretta paterna e cento anni di nobiltà nella linea paterna della madre. Ciò corrisponde alle più antiche prove di nobiltà, quando nel limitarsi a provare la nobiltà della linea paterna si pretendeva però che la madre fosse perlomeno in condizione libera. La prova dei quartieri o quarti di nobiltà serve a constatare la nobiltà delle varie famiglie da cui deriva un aspirante all’ammissione a cavaliere di un ordine nobiliare“.
Continuando a leggere queste pagine sono poi entrato nel vivo della definizione data dall’autore sul nobile e sulla nobiltà.







«… Ci sia consentito poi di rilevare che è un grave errore voler considerare la nobiltà principalmente in rapporto alla ricchezza, come si è andato mano mano verificando quasi dovunque nell’opinione di alcuni ceti sociali. Ciò perché l’antico principio della qualità nobiliare, che avrebbe dovuto sempre essere strettamente connesso con la virtù, fu inquinato dalle apparenze esteriori della nobiltà. Si considera da alcuni nobiltà anche quella che il GIOBERTI denominava l’ignobile aristocrazia dell’oro, dimenticando che la nobiltà è preferenza dell’onore all’interesse e non può conciliarsi con il sordido guadagno procacciato con mezzi disonesti.
È perciò una falsa immagine quella di prospettare la nobiltà come tutta cortigiana e vivente sfarzosamente tra pranzi, balli e feste nelle Corti dei Principi.
La verità è ben altra […]
Non bisogna neanche confondere la Nobiltà con il cosiddetto “gran mondo”. Tale società mondana è l’insieme di quelle persone che amano di incontrarsi nei ritrovi reputati eletti e brillanti; nelle feste e negli spettacoli in voga, e che ambiscono mettersi in evidenza attribuendo alla ostentazione e alla eleganza doti di superiori virtù. È in questa categoria di mondani, della quale fanno parte anche vari nobili di nascita, che si reclutano le schiere numerose e fatue degli “snobs“».
Sottolineo brevemente: il nobile e comunque chiunque abbia un animo nobile, non ostenta e non si dedica allo snobismo; il suo comportamento e l’atteggiamento che ha verso la vita sono diametralmente opposti all’ostentazione e allo snob.
Da sottolineare – Vittorio Alfieri chiese a suo padre, il gran Conte d’Asti:”Papà io sono nobile?“. Il gran Conte rispose:”Nobile sarai se tali saranno i tuoi atteggiamenti“.
Questo è il modo d’essere cui si dovrebbe tendere, quel cosiddetto “saper vivere“ che racchiude ulteriori punti, tutti indispensabili al miglior modo di porgersi agli altri e alla società comune. Quindi, norme di civiltà, il “savoir-vivre“, le buone maniere, la cortesia e l’educazione. Ma questo è un altro punto di una storia tutta da raccontare…
Il fatto stesso di parlarne e sottolineare le differenze, mi pare molto snob: PENITENZIAGITE! 🤣🤣🤣
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😄😄 meglio rimarcare le molte differenze da arrivisti e autentici snob. Esempio: la finta marchesa che imperversava in trasmissioni assurde col suo atteggiamento snobissimo (oggi c’è ancora chi la invita a serate nonostante sia stata più volte smascherata)
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A questo punto ci sta una citazione! 😀
Vedo nero
Coi miei occhi
Come disse la marchesa camminando sugli specchi:
Me la vedo nera
Ma nera nera!
Ma non mi arrendo
Alzabandiera!
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Ma non perdo il pelo e pronto alla pugna!
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Pugna… con la R! 😀
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Anche 😂🤣
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