Napoli milionaria, manifesto contro ogni guerra! Così ho visto titolato un articolo sull’Avanti, un approfondimento su Eduardo De Filippo che si raccontava in quel periodo immediatamente dopo la liberazione dell’Italia, mentre osservava le macerie che erano parte della Napoli di allora, colpita da bombardamenti e da confronti armati, cumuli di rovine, distruzione, vite lacerate.
Un freno ai soliti stereotipi, per Eduardo non c’è più solo folclore, panni stesi nei vicoli. La cornice del racconto contiene ben altro. La storia e la drammatica realtà a lui contemporanea si incuneano profondamente nella sua opera.
“Poche settimane dopo la Liberazione mi affacciai al balcone della mia casa di Parco Grifeo, e detti uno sguardo al panorama di questa città martoriata: così mi venne in mente in embrione la commedia e la scrissi tutta d’un fiato, come un lungo articolo sulla guerra e sulle sue deleterie conseguenze…. Con Napoli milionaria inizia il mio nuovo Teatro”.
… e ancora in una risposta di Eduardo su Napoli milionaria e sulla frase finale “Ha da passa’ ‘a nuttata”:
“La nottata secondo me era un periodo di vent’anni, di trent’anni, settant’anni da Masaniello ad oggi. Un periodo sbagliato, una nottata che non era finita. Noi dopo la tragedia della guerra, i morti, la fame pensavamo in quell’epoca che tutto sarebbe cambiato. Comunque con quella frase io non ho inteso dare un valore circoscritto a Napoli o al fascismo o a che so io, ma a un periodo di lotta cui è sottoposto il popolo che è sempre lo stesso, dovunque. Dunque è finita la guerra, ma la nottata è rimasta”.
Eduardo De Filippo
Napoli Milionaria
Napoli Milionaria fu scritta rapidamente da Eduardo De Filippo proprio nel 1945 e andò in scena il 15 marzo di quell’anno al Teatro di San Carlo di Napoli. Più tardi fu girato anche un film, nel 1950, con la regia dello stesso Eduardo, produzione di Dino De Laurentiis, musiche di Nino Rota e direzione di Fernando Previtali: la storia venne cambiata in diversi particolari e presenze, come per la creazione del personaggio Pasquale Miele interpretato da Totò.
Tornando al racconto originario di Eduardo, protagonista è la famiglia Jovine che vive in una grande stanza, il tipico basso napoletano, lungo povero in vicolo di quella città già duramente colpita dai bombardamenti del 1942.

(Atto primo) : Enorme «stanzone» lercio e affumicato. In fondo ampio vano arcuato, con telaio a vetri e battenti di legno, che dà sul vicolo. Porta in prima quinta a sinistra. In prima a destra altra porta in legno grezzo, dipinta ad olio color verde mortella, da mano inesperta: «’a porta d’ ‘a vinella».
In fondo a destra un tramezzo costruito con materiali di fortuna che, guadagnando l’angolo, forma una specie di cameretta rettangolare angusta. Nell’interno di essa vi sarà, oltre a uno strapuntino per una sola persona, tutto quanto serve al conforto di una minuscola e ridicola camera da letto.
L’arredamento d’obbligo sarà costituito da un letto matrimoniale di ottone tubolare ormai ossidato e opaco che si troverà a sinistra dello spettatore, un comò ed una «cifoniera» con sopra santi e campane di vetro, un tavolo grezzo e sedie di paglia. Gli altri mobili li sceglierà il regista, ispirandosi al brutto Ottocento e curerà di disporli in modo da addossarli quasi l’uno all’altro, cercando di far sentire il disagio e la difficoltà di «traffico» cui è sottoposta la famiglia, talvolta numerosissima, costretta a vivere in simili ambienti. Sul tavolo si troveranno diverse tazzine da caffè, di forma e colori differenti e una «tiana» di rame piena d’acqua. Dal vano di fondo si scorgerà il vicolo, nelle prime ore del mattino, e i due battenti laterali dei bassi dirimpetto. Al centro di essi, un altarino in marmo eretto alla Madonna del Carmine dai fedeli abitanti del vicolo. Sulla mensola sottostante una piccola lampada votiva ad olio, sospesa. Siamo alla fine del secondo anno di guerra (1942).
Poveri, vivono un momento tragico. Nella commedia, Gennaro Jovine, tranviere disoccupato, la moglie Amalia e i loro figli Amadeo, Maria Rosaria e la piccola Rita.
Come riuscire a campare? Ci pensa proprio la signora Amalia a racimolare quel che può grazie al… contrabbando, vendendo generi molto ricercati in quel periodo (come il caffè) alla borsa nera. Gennaro non approva questo modo di fare, ma lui rimane inascoltato da tutta la sua famiglia.
Arriva l’occupazione, il povero Gennaro viene catturato durante un rastrellamento e portato in un campo di concentramento tedesco. Per alcuni anni non si hanno più notizie di lui.
Al suo riapparire dopo la guerra trova in casa una strana situazione. Stanno economicamente bene, il basso è stato ristrutturato.
(Atto secondo) : ‘Lo sbarco alleato è avvenuto. La casa di donn’Amalia Jovine ha un volto di lindura e di «sciccheria» fastosa. Le pareti sono color ciclamino, il soffitto color «bianco ricotta» decorato in oro e stucchi. In fondo, a destra, la «cameretta» di don Gennaro non esiste più. Quella parete, invece, fino a una certa altezza e per la lunghezza di circa un metro e mezzo è tutta rivestita di mattonelle bianche maiolicate che fanno da pannello a una mensola di marmo infissa nel muro. Su questa mensola troneggia una enorme e lucente macchina da caffè; l’arredamento dell’ambiente è fiammante, lustro, in stile Novecento. Sul letto matrimoniale, una lussuosa coperta di seta gialla.


Di contro, dal clima familiare è sparita ogni unione, tutto è stravolto, ogni unione è sparita.
La moglie Amalia ha fatto tanti danari con lo strozzinaggio, col suo traffico associandosi anche con Errico Settebellizze, un autista di camion, sfruttando il bisogno della gente.
Il figlio Amadeo è diventato un ladro, ruba pneumatici delle auto con l’aiuto di Peppe ‘o Cricco, così soprannominato perché sa alzare le auto con la spalla in modo da poter per staccare le ruote.
La piccola Rita sta male, mentre la figlia maggiore, Maria Rosaria, è incinta, sedotta e abbandonata da un uomo, un soldato americano ripartito per gli Stati Uniti.
Un disastro. In più, al momento del suo arrivo in questa realtà familiare che non conosce e che gli è letteralmente esplosa in faccia, si deve festeggiare il compleanno di quel Settebellizze che intrallazza in commerci illegali con Amalia.
Gennaro vede che a nessuno interessa stare a sentire i momenti terribili che ha passato mentre loro lo davano per scomparso. Non partecipa al festeggiamento e preferisce stare vicino alla figlia ammalata.
Nonostante tutti continuino a ripetere che la guerra è finita, Gennaro è consapevole che sta per iniziare (o è già in corso) quella tra la gente, tra i poveri schiacciati dal conflitto mondiale, quelli che seguivano antichi valori e che adesso dovrebbero recuperarli.
“A sta guerra cca’ se torna buone… can un se vo’ fa male a nisciuno. Nun facimmo male, Amà… Nun facimmo male”. Questo dice Gennaro che cerca di riunire le forze utilizzando quella che lo ha sostenuto sopravvivendo nel campo di concentramento.
Rita sta troppo male, è in fin di vita. Serve una medicina ben precisa, ma non si trova. La stessa Amalia, così brava a scovare la merce da rivendere, non trova il farmaco sospettando che gliela nascondano per alzare il prezzo.
Alla fine sarà il ragioniere Riccardo Spasiano che la porterà in casa Jovine regalando la medicina necessaria alla sopravvivenza di Rita: non se la fa pagare. É lo stesso personaggio che anche Amalia ha spennato nel passato trovandogli della merce o non dandogli nulla se non poteva pagare. Quest’uomo dà una grande lezione alla signora-contrabbandiera facendo notare che in quei momenti in cui lottava per non far morire di fame i suoi figli, Amalia non fu altrettanto prodiga: “Chi prima, chi dopo, ognuno deve bussare alla porta dell’altro”.
A quel punto tutto cambia, Rita ha la possibilità di sopravvivere, Amedeo decide di darsi a un vero e onesto lavoro. Maria Rosaria resterà in famiglia con il neonato. Amalia comprende di essersi fatta trascinare dal desiderio del denaro calpestando ogni principio e si ricrede confortata dalle parole del marito.
Amalia: “Come ci risaneremo? Come potremo ritornare quelli di una volta? Quando?”.
Gennaro: “Mo avimm’aspetta’, Ama… S’ha da aspetta’. Comme ha ditto ‘o dottore? Ha da passa’ ‘a nuttata”.
Grazie per questo super post, Giuseppe! E buon pomeriggio😊
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😜 occasione giusta per citare Eduardo e la sua opera… anche se sarebbe stato preferibile che fosse mancata la “occasione” potendo citare il grande in tutta libertà
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Come darti torto! Peró.. fingiamo per un nano secondo che non ci sia l’occasione e apprezziamo Eduardo (finalmente con la lingua, scritta correttamente 😂).
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Vero è! 😜😄
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😀 :-p
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