Un prodotto unico per la sua filosofia di preparazione, un ritorno nella storia di Sicilia per quanto riguarda la raffinazione dello zucchero e la più tarda preparazione di questo distillato di “Cannamela” che in Lingua Siciliana sta per Canna da zucchero. L’evoluzione di questa avventura è giunta a questo 2022 con la nascita del Consorzio della Canna da Zucchero capace di riunire distillatori da Messina a Siracusa. Una storia lunga quella di questa pianta e del suo utilizzo, un percorso che vede il suo inizio dal dominio musulmano, il determinante passaggio dall’epoca di Federico II fino all’attuale Consorzio. Al centro di tutto l’Avola Rum dell’Azienda Agricola Corrado Bellia, progetto che ha visto i suoi primi frutti nel 2021, il distillato ricavato appunto dal succo di canna da zucchero e non dalla melassa – sottoprodotto di lavorazione della pianta nell’estrazione dello zucchero – utilizzata invece nei paesi d’oltre oceano dove la produzione del Rum è diventata tradizione ininterrotta dal 1600.
L’idea di Corrado Bellia è venuta fuori come una sorta di processo all’indietro, di scoperta e ricerca delle origini agricolo-industriali archeologico-storiche. La canna da zucchero ha avuto percorsi di esportazione e di coltura in terre sempre più lontane dal suo punto d’origine, un processo favorito inizialmente dai commerci del mondo musulmano, tanto che i velieri orientali e poi quelli spagnoli, francesi e inglesi, portarono la pianta fino ai Caraibi e alle Americhe.


Questa coltura che sta alla base della produzione dello zucchero e poi del Rum, si diffuse nel Mediterraneo, anche in Sicilia che era il crocevia dei commerci nel Mare Nostrum. Lo stesso distillato di Canna da zucchero ebbe i suoi precursori antichissimi in Cina, in Malesia e in India, metodi di preparazione che poi si diffusero verso occidente: anche Marco Polo scrisse di un “ottimo vino di zucchero” che gli venne offerto in Persia, oggi Iran.
Nei secoli la diffusione dei metodi per la preparazione dello zucchero e del distillato – poi Rum -, passò per l’Isola britannica, il Mediterraneo e verso l’Atlantico. Un legame indissolubile già dal 1500 e dal 1600, quello tra il rum e i marinai, anche per assicurare condizioni igieniche migliori ai naviganti. Erano tempi che non brillavano per pulizia e cura degli ambienti, specialmente nei vascelli più o meno regolari. Non andava meglio nelle navi da guerra e da trasporto delle grandi Marine inglese, spagnola, portoghese, olandese. Questo distillato era poi il preferito degli equipaggi nelle navi pirata.


Quindici uomini sulla cassa del morto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
Quindici uomini sulla cassa del mortoyo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
Il rum e il mio demonio han pensato al resto
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!
Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto,
yo-ho-ho e una bottiglia di rum!
Satana agli altri non ha fatto torto,
con la bevanda li ha spediti in porto
yo-ho-ho e una bottiglia di rum!
Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto,
yo-ho-ho e una bottiglia di rum!
Il testo della celebre canzone dei pirati è da L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, anno 1883. Avrebbe un fondamento storico/leggendario. Il testo originale è di una vera canzone piratesca del XVIII secolo. Un racconto sul pirata Edward Teach più noto come Barbanera dice che punì trenta ammutinati abbandonandoli per un mese su un isolotto sperduto, il “Dead Man’s Chest” (“Cassa di uomo morto”) nell’arcipelago delle Isole Vergini. Diede a ognuno di loro solo una bottiglia di rum e nemmeno un tozzo di pane. Dopo trenta giorni Barbanera tornò all’isola e trovò solo 15 sopravvissuti. Da qui l’origine della canzone piratesca.
Sicilia, lo zucchero prima e poi il Rum
Nella nostra Sicilia la Canna da zucchero ebbe successo già prima dell’anno Mille grazie ai commercianti musulmani che la portarono con i loro traffici: insegnarono la coltivazione della pianta, come estrarne lo zucchero in modo da sostituire il miele nelle cucine e sulle tavole.


Si tratta di una lunga tradizione che richiama alla mente l’oro bianco-zucchero la cui produzione fu favorita e grandemente sviluppata dall’Imperatore Federico II di Svevia. In secoli successivi giunse anche la produzione del Rum. Questi, con alterne vicende, rimasero tutti tra i punti di forza della produzione isolana per circa 900 anni.
Come descritto anche dall’azienda Bellia, “nel XIV secolo a Palermo operavano più di 30 trappeti dove si spremevano le canne e si bolliva il succo che, per evaporazione, produceva lo zucchero”.
La situazione mutò rapidamente tra 1700 e 1800: già durante i primi decenni del XVIII secolo la produzione diminuì per forti cambiamenti climatici che fecero fortemente calare la disponibilità di acqua. In quelle condizioni la Canna da zucchero non riusciva ad andare avanti. Unica eccezione ad Avola, grazie ai Marchesi Pignatelli Aragona Cortes. In quel luogo la coltura della Canna da zucchero si mantenne florida nonostante il terremoto del 1693 e tale rimase fino alla prima metà del 1900. La produzione del distillato fu una conseguenza della perdita di mercato dello zucchero da canna.
Il Rum siciliano era considerato di ottima qualità, un prodotto per le élite. Prova ne è anche la grande tradizione pasticcera siciliana che ha sempre utilizzato questo prodotto come parte integrante di molti dolci.

Alla fine del pranzo venne servita la gelatina al rhum. Questo era il dolce preferito di don Fabrizio e la Principessa, riconoscente delle consolazioni ricevute, aveva avuto cura di ordinarlo la mattina di buon’ora. Si presentava minacciosa, con quella sua forma di torrione appoggiato su bastioni e scarpate, dalle pareti lisce e scivolose impossibili da scalare, presidiata da una guarnigione rossa e verde di ciliegie e di pistacchi; era però trasparente e tremolante ed il cucchiaio vi si affondava con stupefacente agio. Quando la roccaforte ambrata giunse a Francesco Paolo, il ragazzo sedicenne ultimo servito essa non consisteva più che di spalti cannoneggiati e di blocchi divelti. Esilarato dall’aroma del liquore e dal gusto delicato della guarnigione multicolore, il Principe se la era goduta assistendo allo smantellamento della fosca rocca sotto l’assalto degli appetiti. Uno dei suoi bicchieri era rimasto a metà pieno di Marsala; egli lo alzò, guardò in giro la famiglia fissandosi un attimo più a lungo sugli occhi azzurri di Concetta e “alla salute del nostro caro Tancredi” disse.
…
Disprezzò la tavola delle bibite che stava sulla destra luccicante di cristalli ed argenti, si diresse a sinistra verso quella dei dolci. Lì immani babà sauri come il manto dei cavalli, Monte-Bianco nevosi di panna; beignets Dauphine che le mandorle screziavano di bianco ed i pistacchi di verdino; collinette di profiteroles alla cioccolata, marroni grasse come l’humus della piana di Catania dalla quale, di fatto, attraverso lunghi rigiri esse provenivano, parfaits rosei, parfaits sciampagna, parfaits bigi che si sfaldavano scricchiolando quando la spatola li divideva, sviolinature in maggiore delle amarene candite, timbri aciduli degli ananas gialli, e “trionfi della Gola” col verde opaco dei loro pistacchi macinati, impudiche ‘paste delle Vergini.” Di queste Don Fabrizio si fece dare due e tenendole nel piatto sembrava una profana caricatura di Sant’Agata esibente i propri seni recisi. “Come mai il Santo Uffizio, quando lo poteva, non pensò a proibire questi dolci? I ‘Trionfi della Gola’ (la gola, peccato mortale!), le mammelle di S. Agata vendute dai monasteri, divorate dai festaioli! Mah!”
Prima parte: descrizione della gelatina al Rum. Seconda parte: vasta presentazioni di dolci siculi serviti al gran ballo – da Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, edizione Feltrinelli: “Distensione al pranzo”, parte I, pagine 52 e 53 – parte VI sul gran ballo, pagine 305 e 306
Il monsù, voce tipica della sicilianità e della meridionalità in genere, termine che è contrazione del monsieur-cuoco francese, era un artista del gusto che lavorava per le ricche dimore aristocratiche e borghesi. Si dava da fare per presentare sulle tavole delle vere e proprie opere d’arte culinarie. Nel 1800 l’influsso della cucina francese fu grande, ma nell’Isola si fuse con la ben più ricca e storica cucina siciliana.
Il clima e i terreni di Sicilia regalavano ottimali condizioni per la coltivazione e lo sviluppo della Canna da zucchero, fattore che si rifletteva automaticamente sulla preparazione dei prodotti derivati che erano di primissima qualità. Tanto perché voglio sintetizzare, è lo stesso processo che fu capace di rendere l’Isola un vero e proprio florido granaio e terra di grande colture agricole fin da prima dell’Impero Romano.


Canna da zucchero, il ritorno siciliano
La rinascita nei tempi odierni è iniziata operativamente intorno al 2018. La “Cannamela” ha riacquistato uno spazio centrale, ancora una volta ad Avola. La prima serie di prodotti, a cominciare dal Rum, è del 2021 grazie all’Azienda agricola Corrado Bellia unitasi in consorzio con la Distilleria Giovi (link) di Valdina (Messina) e con la Distilleria Alma di Modica. Da quel passo iniziale (tre ettari a canna da zucchero e produzione di circa 200 bottiglie di rum) tutto è in evoluzione.
“Il Consorzio è lo strumento necessario per riunire le nostre forze – ha sottolineato Corrado Bellia – per promuovere la rinascita in Sicilia della produzione di canna da zucchero, secondo metodi rispettosi dell’ambiente e dei consumatori”.
È tra dicembre e aprile che avviene la raccolta della canna: la scelta viene fatta in base al grado zuccherino raggiunto dalla pianta. Le canne vengono recise alla base dove i culmi concentrano la maggiore quantità di componente zuccherina. Foglie e apici vengono tagliati e ben conservati perché potrebbero essere ripiantati in primavera in modo da dare vita a nuove piantagioni.
Per quanto riguarda lo zucchero prodotto dalla coltura sicula, il confronto adesso è con il Consorzio di Tutela del Cioccolato di Modica in modo da utilizzarlo per l’ottima e celebre produzione modicana. Anche qui siamo in piena tradizione storica, visto che le fave di cacao sarebbero state portate in Sicilia dagli spagnoli tra XVI e XVII secolo.
“Il rum a cui siamo interessati è differente dagli altri, in primo luogo perché in Sicilia il clima è diverso, estati calde e inverni miti, rispetto al clima tropicale. Questo influenza la componente aromatica – sottolinea Corrado Bellia – In secondo luogo, siamo interessati ad un disciplinare che preveda l’estrazione del rum dal puro succo di canna e non dalla melassa su cui si basa il 90% del prodotto in commercio, applicando il metodo discontinuo che prevede una doppia distillazione per estrarre il cuore della componente. È importante connotare territorialmente il prodotto e punteremo su quantità limitate nell’ordine di alcune migliaia di bottiglie, non certo le centinaia di migliaia della produzione industriale. A questa nostra idea stanno iniziando a mostrare interesse anche importanti aziende del settore dei distillati”.
Comunque, altri fronti si potrebbero aprire per la produzione della Canna da zucchero di Avola, dalla cosmetica alla produzione di stoviglie compostabili grazie alla cellulosa che rimane come scarto dopo la lavorazione della pianta, utile anche come concime.
Da considerare che la Canna da zucchero ha ottime proprietà ambientali, capace di alto assorbimento di CO2, fattore che la accomuna alla pianta di Canapa che ha dalla sua una molteplicità di utilizzi, anche per la depurazione di terreni contaminati, canapa che sta trovando spazio in Sicilia per la produzione di semi utile nel settore alimentare per farine e olio… ma questa è un’altra storia.
Azienda Agricola Corrado Bellia
Piazza Teatro, 17
96012 Avola – Siracusa
Sicilia – Italia
e-mail: avolarum@gmail.com
cell.: +39.3479257136