Le cifre parlano chiaro e a certificarle e Annual Report Valoritalia che sottolinea come il valore complessivo dell’imbottigliato sfiori i 10 miliardi di euro. Per il Vino Italiano, vendite a +12% nel 2021 e non si tratta solo della spinta dovuta alle vendite online.
Un panorama gratificante dopo i tanti campanelli d’allarme, un andamento che dovrebbe essere confermato anche nel difficile 2022. La cosa inorgoglisce parecchio e per me che monitoro l’universo vino da oltre quindici anni, diventa veramente un momento eccezionale di stato delle viticoltura e vinificazione nazionale. Il settore ha basi più che solide grazie alla cura del prodotto, alla ricerca incessante della qualità, alla valorizzazione delle tradizioni territoriali.


Nel solo 2021 gli imbottigliamenti delle 218 Denominazioni di Origine certificate da Valoritalia sono cresciuti mediamente dell’11% e del 12% considerando i valori del 2019, l’anno precedente lo scoppio della pandemia.

L’Annual Report di Valoritalia (link) edizione 2022 è stato presentato nella romana Villa Aurelia. I documenti che ne fanno parte riportano i dati emersi dai processi di certificazione di 218 denominazioni di origine italiane, e dell’Osservatorio Nomisma Wine Monitor – Valoritalia, un’accurata analisi della percezione delle certificazioni tra le imprese vitivinicole e i consumatori di vino.
In particolare, sono state seguite due vie, il monitoraggio di tale percezione nel terzo anno della pandemia e il confronto tra consumatori italiani e tedeschi, sia nell’approccio ai vini certificati DOP e IGP che nei confronti di quelli BIO e Sostenibili.
“Un bilancio per molti versi sorprendente – ha sottolineato Francesco Liantonio, Presidente Valoritalia – se si tiene conto di quanto è accaduto nell’ultimo triennio. Le nostre Denominazioni di Origine hanno ottenuto una performance straordinaria, registrando una crescita record, frutto della capacità mostrata dalle nostre imprese di cogliere ogni opportunità, coprire ogni spazio, gestire al meglio il proprio potenziale, ottimizzare risorse e relazioni”.
A trainare il settore dei vini italiani rimane il nordest con il Pinot Grigio delle Venezie e il cosiddetto “Sistema Prosecco” (che comprende la DOC Prosecco e le DOCG del Conegliano-Valdobbiadene e dell’Asolo), con una crescita complessiva che nel biennio 2020-2021 ha toccato il 22,7%, per un totale di poco inferiore al miliardo di bottiglie.
Di grande rilievo anche le impennate di altre prestigiose denominazioni, come Brunello di Montalcino (+40%), Barolo (+27%), Gavi (+23%), Franciacorta (+12%), Chianti Classico (+11%), Nobile di Montepulciano (+10%).
Il valore complessivo dell’imbottigliato certificato da Valoritalia ha superato i 9,43 miliardi di euro, superiore di oltre 1,34 miliardi il dato del 2019. Anche in questo caso la graduatoria del valore è guidata dal Prosecco DOC con circa 2,7 miliardi, seguita dal Delle Venezie DOC con 1,06 miliardi, dal Conegliano Valdobbiadene con 623 milioni e, a ruota, da altre prestigiose denominazioni, come Franciacorta, Asti, Chianti Classico, Brunello ecc., queste ultime con valori compresi tra i 350 e i 200 milioni di euro.
“Sono veramente moltissimi e interessanti i dati che emergono dal nostro Annual Report – ha commentato Giuseppe Liberatore, Direttore Generale di Valoritalia – una mole di informazioni prodotta da uno staff di 231 collaboratori e 1250 consulenti qualificati, distribuiti praticamente su tutto il territorio nazionale. Una squadra compatta, che quotidianamente passa al setaccio 47 DOCG, 134 DOC, 37 IGT e gestisce circa 5000 tipologie di vino. Oggi certifichiamo quasi 20 milioni di ettolitri, equivalenti al 56% della produzione nazionale di tutte le DO, per un totale di quasi 2,1 miliardi di bottiglie. Nel nostro sistema vengono gestiti i movimenti di 95mila operatori che rappresentano buona parte dell’intero comparto vitivinicolo. Una macchina organizzativa estremamente sofisticata, unica nel suo genere, che costituisce una sorta di benchmark a livello mondiale”.




Come sottolineato da Francesco Liantonio, presidente di Valoritalia, questa crescita è dovuta sì al “rimbalzo” che nel 2021 ha interessato l’economia di tutti i paesi occidentali, quelli che coincidono con i principali mercati di sbocco dei nostri vini di qualità.
Ma c’è di più.
Probabilmente ancora più importante si è rivelata, a mio avviso, la capacità del nostro sistema di imprese di cogliere ogni opportunità, di coprire ogni spazio che si presenti, di gestire al meglio il potenziale disponibile, di ottimizzare risorse e relazioni. È il dinamismo delle imprese italiane ad aver consentito questo risultato.
Tra le peculiarità di questo andamento, la più evidente riguarda le prestazioni ottenute dalle denominazioni che utilizzano una menzione IGT, oppure DOC o DOCG, con le prime che nel biennio ’20-’21 hanno fatto registrare un arretramento medio del 5%, mentre nello stesso periodo le DOC sono cresciute del 17% e le DOCG del 16%. Quindi, nei fatti, durante il periodo pandemico il mercato ha premiato il vertice della piramide qualitativa: un risultato davvero inaspettato considerando la situazione di crisi che ci lasciamo alle spalle.
Le novità e gli arricchimenti nell’Annual Report Valoritalia
Per la prima volta vengono resi disponibili i profili chimico-analitici di 56 tra DOC e DOCG. Un approfondimento che ha generato 60 tabelle la cui base è costituita da circa 176.000 analisi, realizzate tra il gennaio 2017 e il marzo 2022 da una rete di laboratori accreditati.
Un preziosissimo strumento in grado di fornire informazioni sui principali indicatori che caratterizzano le differenti annate di ogni denominazione, come il grado alcolico medio, l’acidità e l’estratto secco.
L’obiettivo futuro di Valoritalia è rendere progressivamente fruibile a imprenditori, ricercatori e specialisti, in primo luogo enologi, un data base completo e sistematico del profilo analitico di tutte le denominazioni certificate, comprensivo delle differenti tipologie. Uno strumento che contribuirà a definire le specificità di ogni vino e attribuire con precisione i caratteri dell’annata.
Al centro della ricerca indagini dirette che, nella fattispecie, hanno riguardato: ► 141 imprese vitivinicole italiane (ripartite per il 56% al Nord, 27% al Centro e 17% al Sud in maniera analoga all’indagine 2021 così come in merito alla dimensione per fatturato); ► 1.000 consumatori italiani di vino di età compresa tra 18 e 65 anni; ► 1.000 consumatori tedeschi di vino, sempre compresi tra 18 e 65 anni di età. Tutte e tre le indagini sono state realizzate nel bimestre febbraio-marzo 2022.
La novità nell’indagine Nomisma
Nomisma ha dato spazio al confronto tra consumatori italiani e tedeschi. Una scelta non casuale, tenendo conto del fatto che quello teutonico rimane, dopo quello statunitense, il principale mercato di riferimento per i nostri vini, con un valore dell’export che nel 2021 ha raggiunto gli 1,1 miliardi di euro.
In Germania le nostre etichette battono quelle francesi nella frequenza di consumo (il 64% dei tedeschi ha bevuto almeno un vino italiano negli ultimi 12 mesi), mentre ci piazziamo alle spalle dei cugini d’oltralpe nel challenge sulla percezione della qualità.
In Italia e in Germania a indirizzare le scelte dei consumatori sono elementi come la notorietà del brand, il marchio biologico e la certificazione della sostenibilità, con una spiccata sensibilità nei confronti di metodi di produzione rispettosi delle risorse ambientali, origine e tracciabilità della filiera.
Infine, tra le due nazioni non mancano i consumatori più sensibili, che puntano i riflettori sulla responsabilità sociale ed economica dell’azienda. Un messaggio che il mondo produttivo italiano sembra aver colto e che determina da tempo le strategie delle imprese, sia in termini di produzione che di comunicazione e marketing. Il futuro, almeno secondo il 75% delle 141 imprese intervistate da Nomisma, appartiene ai vini sostenibili e biologici. Una percentuale ancora minoritaria, ma comunque in crescita rispetto agli anni precedenti, punta poi su vini a basso contenuto alcolico, vegani o addirittura senza alcol.
“L’indagine, condotta su un campione di 1000 consumatori italiani e altrettanti tedeschi evidenzia diverse similitudini ma anche approcci decisamente differenti – ha spiegato Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare Wine Monitor presso Nomisma – Per esempio, nel consumo casalingo entrambi guardano principalmente all’origine territoriale e alla notorietà del brand. Ma quando si esce di casa e si consuma in un ristorante o in un winebar, le cose cambiano. Per gli italiani sono poche le differenze rispetto al consumo indoor, mentre il consumatore tedesco preferisce lasciarsi guidare dal titolare o dal personale di sala. Gli italiani puntano molto sull’indicazione geografica, i tedeschi maggiormente sul vitigno”.